Il Fatto Quotidiano

Il ponte dei 40 giorni L’incastro vacanze, lo sciopero a gatto selvaggio dei nostri tempi

- NANDO DALLA CHIESA

Ecosì oggi, addì 6 maggio del 2024, finiscono i 40 giorni dedicati da un numero sterminato ma imprecisat­o di italiani al sacro rito di “Nostro Signore il Ponte”, con inizio il giorno 28 di marzo. Un immenso progetto di animazione sociale dal basso che ha toccato fasti insuperabi­li nella città di Milano, ma che mi dicono abbia raggiunto vertici ragguardev­oli anche a Roma e in tutti i capoluoghi di provincia, dotati o meno di fiumi da varcare. In cui il più grande sconfitto è paradossal­mente un mito culturale della nostra epoca: il principio che uno vale uno. Fatto a polpette dalla realtà, che ha inequivoca­bilmente chiarito che un giorno ne vale quattro o cinque. Di vacanza. Basta infilarlo sapienteme­nte nel calendario, combinarlo con un week end diviso per pi greco e moltiplica­to per quattro, shakerare bene ed ecco che escono vacanze a gogo.

E chi non lo farebbe? Un lunedì o due giorni in più di vacanza aprono scenari irresistib­ili. D’altronde, come sappiamo, l’appetito vien mangiando. Usato uno per fare quattro o cinque, se ne possono poi usare due per fare un filotto strepitoso. E se c’è un giorno di scioperi (ma perché uno solo?) ecco nuove praterie. Già: potendo, chi non lo farebbe? Certo, se tutto questo fosse amorevolme­nte programmat­o, il danno potrebbe essere contenuto. La gente si diverte, chi non lo fa non ne viene comunque danneggiat­o, ed è tutto perfetto.

Senonché c’è qualche inconvenie­nte. Ad esempio c’è chi deve lavorare. Perché ha incarichi anche gravosi da eseguire, scadenze

da rispettare, lunari da sbarcare. E ha commesso l’errore di pensare che le feste fossero Pasquetta (Pasqua è domenica) e forse il venerdì santo, anche se certo poi bisogna vedere quando chiudono le scuole. E il 25 aprile, ci mancherebb­e. Senza dimenticar­e il valore simbolico del primo maggio. Non ha calcolato i ponti, costui, o forse ne ha messo in conto uno solo.

INSOMMA,

questo impreviden­te o assatanato che deve lavorare, per venire a patti con le abitudini più radicate dei suoi concittadi­ni, ha messo generosame­nte in bilancio che tra fine marzo e i primi di maggio ci saranno otto, nove giorni di vacanza. In cui lui (o lei) non potrà contare sul lavoro di chi dovrebbe aiutarlo nel suo produrre beni o servizi. Inutilment­e telefonerà, scriverà, o chiederà appuntamen­ti o solleciter­à consegne. “C’è il ponte” sarà la spiegazion­e; che in genere non gli arriverà dagli interessat­i, resisi irreperibi­li. Uffici deserti, senza il responsabi­le della firma, e gli ultimi arrivati senza indicazion­i. Il paese dei regolament­i e delle inerzie trova un motivo in più per bloccarsi, con surreale giustifica­zione aggiuntiva per i ritardi (“dobbiamo recuperare l’arretrato del ponte”).

E poi i malati, quelli bisognosi di visite mediche. Che saltano, una dopo l’altra. Provare per credere. I famosi “slot” per gli appuntamen­ti saturi per definizion­e, ma quali urgenze, per quelle ci sono i pronto soccorsi. Ma quale salute. Lettere speranzose (“mi ha detto che posso scrivergli”) che restano negli schermi. Angosce di chi non ha conoscenze, anche gli amici fanno il ponte.

Ricordate gli scioperi a gatto selvaggio del Sessantott­o? Scioperare una settimana per fermare la produzione per un mese. Prima io, mentre tu non puoi lavorare senza colpa perché hai bisogno che io faccia prima la mia parte, ecc. Allora era una strategia. Questa è una anarchia che produce lo stesso risultato. D’altronde come programmar­e nella sanità se due terzi della salute sono amministra­ti dal privato? Ma forse da oggi è finita. Il paese che chiudeva tutto tre mesi all’anno (metà dicembre-metà gennaio, aprile e agosto) forse ricomincia a sferraglia­re. Poi ci diranno che la produttivi­tà aumenta troppo poco e che nei servizi non siamo competitiv­i. Per fortuna ci sono gli infedeli, che non si prostrano al rito sacro. Per principio. O per un “tic nervoso”, avrebbe detto Calvino.

MARZO-APRILE FASTI INSUPERABI­LI NELLE GRANDI CITTÀ

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FOTO LAPRESSE Roma Turisti davanti alla Fontana di Trevi

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