Vladimir Volkoff L’esule russo che vide (da destra) il declino dell’occidente anche prima di molti altri
Recensendolo circa quarant’anni fa, lo scrittore, giornalista e musicologo Paolo Isotta scrisse che il romanzo Il montaggio di Vladimir Volkoff (ora pubblicato dalle Edizioni Settecolori) era un “samidzat a uso dell’occidente”. Aveva ragione. Perché il libro di questo narratore (1932-2005), nato a Parigi da émigré russi fuggiti in Francia dopo la Rivoluzione d’ottobre del ’17, sebbene abbia al centro le trame spionistiche del Kgb soprattutto tra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta, in realtà è una denuncia lucida, disperata e appassionante (visto che è pur sempre una spy-story di gran livello) dei mali profondi dell’occidente.
Volkoff vedeva le cose da destra, o almeno da ferreo anticomunista, nostalgico della vecchia Russia zarista. Ecco la descrizione delle tecniche manipolatorie e delle costante pratica della “disinformazione” messe in atto dall’urss durante la guerra fredda, a uso esterno e interno. Fin qui niente di sensazionale, c’era già stato George Orwell (e non soltanto lui). La novità nel suo romanzo, uscito in Francia nel 1982, era (ed è) invece la critica spietata del cosiddetto mondo libero e del suo ventre molle, dove il vero, come diceva Guy Debord, è ormai un momento del falso. Dunque un Occidente dispostissimo a farsi manipolare e a manipolare a sua volta. Quindi un libro, questo di Volkoff, più attuale che mai, dato che viviamo in un mondo fatto di fake news, di balle dei social, di ignoranza, di censure delle idee che esulano da quelle correnti o di moda. Restano la propaganda, la disinformazione; si oscura chi è antagonista o critico dell'esistente. E si usa la storia (che si ignora) come un supermarket, un discount.
Agli inizi del Duemila, l’autore del Montaggio avrebbe spostato il tiro sul “politicamente corretto”, bollato come messianismo del nulla che “denigra tutte le verità, quali che siano, e non mette niente al loro posto”. Nasceva la “cancel culture”: riscrittura della storia a uso e consumo delle anime presuntamente belle e che ritengono di essere nel giusto. La storia non è più giudicata nel contesto in cui ebbe svolgimento, bensì riferita e rifatta secondo una visione odierna (ideologica) del mondo. I “politicamenti corretti” genericamente pensano di essere a sinistra, non mancano i “corretti” che rifanno la storia dal campo avverso. L’eccesso del “politicamente corretto”, o presuntamente “corretto”, genera il suo contrario più caricaturale e becero (si prenda a esempio quel tale, quel generale Vannacci). Tutto, in ogni modo, si deve adeguare a un certo modo di pensare. Così si mistifica, si deforma, e lo si fa sempre per “sentito dire”, non perché si sa. È un pensiero unico fondato sul falso spacciato per vero.
Il romanzo di Vladimir Volkoff è perciò una lettura salutare. Lo è per comprendere che cosa ci aspetta se non ci saranno più verità (seppur relative) e confronto tra le differenze. Tutto sarà eguale dove le idee non si discutono, ma si occultano o si falsificano. L’unione Sovietica di Volkoff era una dittatura poliziesca, con la storia costantemente rivoltata o cancellata. Le democrazie occidentali, dopo il crollo nell’89 del Muro di Berlino, sembrano avere fatto proprie molte di quelle pratiche “made in Urss”.