OVADIA: “I RUSSI SONO UN POPOLO FRATELLO”
L’ambiente sfavillante di Villa Abamelek, un’aria da vecchia Urss con la bandiera con falce e martello distesa dietro al palco, l’orgoglio per la vittoria contro il nazismo. Questo lo sfondo in cui l’ambasciata russa ha festeggiato il Giorno della Vittoria con un ospite d’onore orgoglioso di celebrare “la data più importante del secolo scorso”. Moni Ovadia, insieme al Sestetto moderno, ha recitato e cantato, in russo, poesie e canzoni come la celebre Katjusa o Fosse comuni di Boris Pasternak. A organizzare la serata l’editore Sandro Teti che ha fatto da riferimento agli invitati italiani. Pochi per la verità, tra cui lo storico Franco Cardini, il giornalista Giorgio Bianchi e Vauro, mescolati a molti funzionari russi e rappresentanti di governi amici, come gli ambasciatori di Azerbaijan, Kazakistan Tagikistan o gli addetti militari di Cina e Serbia. Nessuna presenza istituzionale italiana. L’ambasciatore russo, Alekseji Paramonov, ha definito “il 9 maggio la data più importante del calendario”. Non ha mai citato la guerra in corso, se non quando ha ricordato il discorso di insediamento di Putin del 7 maggio e la sua “disponibilità al dialogo con i Paesi europei purché non cerchino di frenare lo sviluppo della Russia” e quando ha lamentato che oggi “in Europa c’è chi rivaluta gli scagnozzi di Hitler”. Ha esaltato “l’eroica resistenza italiana” e ricordato il ruolo di due presidenti della Repubblica, Sandro Pertini e Giorgio Napolitano, di cui ha sottolineato “il grande contributo alle relazioni con la Russia”. Ovadia ha spiegato che paga un debito personale a questa ricorrenza, essendo nato in una Bulgaria “appena liberata dall’armata rossa”. La dimenticanza del ruolo russo contro il nazismo la definisce una “vera infamia” e, riferendosi ai prezzi da pagare per la sua esposizione, dice di “non avere paura”: “Non avrò pace fino a quando questa russofobia non sarà cessata, fino a quando il popolo russo non sarà guardato come popolo fratello”.