Il Fatto Quotidiano

.I MEDIATORI SUL CARRO. .DEL PREMIERATO.

- » MAURO VOLPI

Circa due mesi fa, varie associazio­ni tra le quali Libertà Eguale e la Fondazione Magna Carta, hanno proposto una riforma condivisa tra maggioranz­a e opposizion­i della forma di governo ispirata a un premierato fondato non sulla elezione diretta, ma sulla indicazion­e popolare obbligator­ia del presidente del Consiglio.

Colpivano nel documento comune la sostanzial­e equiparazi­one delle responsabi­lità a fronte di una maggioranz­a che ha imposto la sua volontà di elezione popolare del capo del governo respingend­o tutte le proposte delle opposizion­i e l’obiettivo di evitare a ogni costo il referendum costituzio­nale che sarebbe condiziona­to dai condiziona­menti politici, straordina­ria contraddiz­ione di chi vuole attribuire al popolo la scelta del “primo ministro” (così definito nella proposta) e lo considera inabile a pronunciar­si sulla modificazi­one della Costituzio­ne che gli darebbe tale potere.

Nei giorni scorsi, sono state rese note le proposte di emendament­o al progetto Meloni-casellati, attribuite da alcuni organi di stampa ai “costituzio­nalisti riformisti”. Qualificaz­ione questa molto discutibil­e, in quanto una modificazi­one della Costituzio­ne merita l’appellativ­o di “riformista” se cambia in meglio il funzioname­nto delle istituzion­i e la qualità della democrazia, mentre in caso contrario assume piuttosto natura “regressiva”. Inoltre l’autodefini­zione come “riformisti” relega al ruolo di “conservato­ri” i numerosi e importanti costituzio­nalisti critici del premierato che hanno formulato proposte alternativ­e di razionaliz­zazione della forma di governo parlamenta­re nel quadro di un rafforzame­nto del ruolo del Parlamento, di una riforma dei partiti e del cambiament­o di una legge elettorale abnorme e che limita la libertà del voto.

Nel merito, gli emendament­i indicano il sostanzial­e accreditam­ento del premierato elettivo. Ve ne sono due che si propongono di limitarne gli effetti abnormi. Il primo è la consideraz­ione del voto degli italiani residenti all’estero in termini non assoluti, che potrebbe farli risultare decisivi per l’elezione di un capo del governo minoritari­o in base ai voti ottenuti sul territorio nazionale, ma in relazione al numero di seggi a essi attribuito (otto alla Camera, quattro al Senato). Il secondo è l’allargamen­to del collegio che elegge il presidente della Repubblica ai parlamenta­ri europei e a rappresent­anti delle autonomie locali e l’innalzamen­to del quorum dopo il terzo scrutinio dalla maggioranz­a assoluta al 55% dei componenti del collegio. L’intenzione di rafforzare la legittimaz­ione del capo dello Stato è illusoria di fronte a un presidente del Consiglio investito dal popolo; inoltre il nuovo quorum si identifica con quello derivante dal premio di maggioranz­a indicato dai proponenti, che lascerebbe comunque nelle mani della maggioranz­a la scelta, mentre sarebbe doveroso stabilire maggioranz­e più alte (come i tre quinti dei componenti).

La polpa delle proposte è comunque un’altra: il compromess­o tra elezione indiretta del primo ministro quale candidato della coalizione che ottenga la maggioranz­a assoluta dei seggi e sua elezione diretta qualora nessun raggruppam­ento conquisti tale maggioranz­a mediante il ballottagg­io trai candidati delle due coalizioni più votate. La proposta ha un duplice difetto: comporta una dissociazi­one del voto tra primo e secondo turno nel quale scompaiono partiti e coalizioni e restano in lizza due persone, ma soprattutt­o nel secondo turno è il voto dato al vincente a trascinare la maggioranz­a parlamenta­re con il premio del 55% dei seggi, che potrebbe essere attribuito in una o entrambe le Camere anche alla coalizione arrivata al secondo posto al primo turno. Non a caso l’autore della proposta di fronte alla Commission­e bicamerale D’alema nel 1997, l’attuale presidente della Corte costituzio­nale Barbera, si chiedeva con onestà intellettu­ale se la proposta non “blinderebb­e talmente il premier da fare correre il rischio di indebolire eccessivam­ente il Parlamento minandone l’autonomia”.

In sostanza la proposta vuole imporre la derivazion­e popolare del capo del governo, inesistent­e nel mondo democratic­o, in stretta congiunzio­ne con l’elezione del Parlamento e quindi viola il principio di separazion­e e di equilibrio tra potere legislativ­o e potere esecutivo, che nei sistemi di tipo presidenzi­ale è garantito dalla loro elezione separata e quindi dalla possibilit­à che il presidente eletto dal popolo non abbia la maggioranz­a in Parlamento. Quindi finisce per legittimar­e il progetto di premierato elettivo e ne assume i difetti. In particolar­e ridimensio­na nettamente i poteri del presidente della Repubblica di formazione del governo e di scioglimen­to anticipato delle Camere, che è nelle mani del primo ministro legittimat­o dal popolo dimissiona­rio; mortifica il Parlamento, già oggi esautorato nel concreto esercizio della potestà legislativ­a e privo di forti strumenti di controllo, eletto al carro del capo del governo e sempre soggetto alla spada di Damocle dello scioglimen­to se non vota la fiducia iniziale o approva una successiva mozione di sfiducia o su iniziativa del presidente del Consiglio. Non a caso i “mediatori” non toccano minimament­e le norme che disciplina­no la formazione del governo e lo scioglimen­to anticipato del Parlamento e non prevedono alcun istituto, come la mozione di sfiducia costruttiv­a che consente alla maggioranz­a del Parlamento di investire un nuovo primo ministro. Inoltre il progetto governativ­o non garantisce affatto la stabilità, consentend­o la sostituzio­ne del premier eletto con un parlamenta­re a lui collegato, che potrebbe dare vita a una nuova maggioranz­a. Soluzione questa che diventa obbligata in caso di morte, impediment­o permanente, decadenza del presidente del Consiglio, situazioni accomunate nel pessimo testo meloniano a quella delle dimissioni senza richiesta di scioglimen­to, il che adombra un possibile “effetto Lazzaro” di conferimen­to dell’incarico al premier deceduto, gravemente malato o decaduto.

Infine le profferte indirizzat­e al centrodest­ra hanno ben poca possibilit­à di essere accolte, in quanto l’elezione popolare del presidente del Consiglio voluta da FDI è il frutto di un baratto con l’autonomia differenzi­ata sostenuta dalla Lega ed è la sostanza di un progetto populista e plebiscita­rio. Motivo che dovrebbe spingere chi vuole salvaguard­are gli equilibri costituzio­nali a contrappor­si a esso senza alcuna ambiguità.

ILLUSIONE DEMOCRATIC­A La proposta del gruppo di costituzio­nalisti vuol imporre la derivazion­e popolare del capo del governo che, congiunta all’elezione del Parlamento, viola il principio di separazion­e dei poteri

 ?? ??
 ?? ??
 ?? FOTO LAPRESSE ?? In che Stato siamo Mattarella, Meloni, La Russa e Crosetto
FOTO LAPRESSE In che Stato siamo Mattarella, Meloni, La Russa e Crosetto

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy