Il Fatto Quotidiano

Addio Marini, chitarra e voce del canto pasolinian­o

- STEFANO MANNUCCI

la superficie. Giovanna raccontava di quando Pasolini, non ancora marchiato dall’infamia, portò gli studenti in una chiesa a Casarsa. L’insegnante trovò strano che le pareti del tempio fossero bianche, senza dipinti. Diede ai ragazzi delle cipolle e li invitò a sfregarle sui muri: emersero affreschi. La Bellezza era là sotto, andava cercata. Di tutti gli incontri della vita – Fo, Moravia, Flaiano, Calvino, Pete Seeger, De Gregori nel “Fischio del vapore” – la Marini portò sempre al centro dell’anima Pier Paolo. Si erano conosciuti nel ‘60, la luce gloriosa di un attico su piazza di Spagna, distante anche come coté dal Folkstudio e da quella che sarebbe stata, molto dopo, la Scuola Popolare della musica di Testaccio. Quel giorno la sinistra charmante era nel salotto della giornalist­a Berenice. Giovanna suonava la Ciaccona di Bach, il poeta le chiese di cantarci sopra. Impossibil­e, replicò la ragazza. Troviamo qualcosa di vero, di vivo, insistette lui, e propose Gabriella Ferri. Si accapiglia­rono su una lauda di Cortona, polvere museale, sepolta dai secoli. “Ma non siamo tra intellettu­ali?” disse l’ex allieva di Segovia. Siciliano ed Eco le fecero notare che nel Paese c’era un fermento di scoperta delle voci dei meno garantiti. Gli operai, i contadini, le mondine. Il Salento di De Martino, l’emilia, la radice partigiana. I Cantacrona­che. Quattro anni più tardi gli artisti-studiosi del Nuovo Canzoniere Italiano (tra loro la Marini) andarono a schiena dritta a Spoleto con Bella Ciao ,i fascisti insorsero.

Dopo l’idroscalo Giovanna compose Persi le forze mie, che poi trasformò in Lamento in morte di Pasolini; ne portò a Parigi il lavoro I Turcs tal Friul, scrisse l’oratorio su Le ceneri di Gramsci.

Ritrovò lo spettro dell’amico nello spettacolo-indagine Sono Pasolini. L’aveva riabilitat­o, grattando via il disprezzo.

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