Tajani attacca Giorgetti: lo manda Confindustria
Non si è ancora insediato alla presidenza di Confindustria – l’assemblea si tiene il 23 maggio – ma ha già avuto uno scontro con il governo. Emanuele Orsini, eletto a capo degli industriali lo scorso aprile dal Consiglio generale e in attesa di sostituire ufficialmente Carlo Bonomi, non ha preso per niente bene la decisione di Giancarlo Giorgetti di spalmare su dieci anni i crediti del Superbonus. Il ministro dell’economia ha previsto infatti di emendare il decreto Superbonus (il testo, previsto ad horas, è però in ritardo) scombussolando di nuovo il settore. E Orsini ha reagito: la retroattività non va bene, significa rompere la fiducia con le imprese.
NON RISULTANO
telefonate con il ministro dell’economia, ma Orsini ha parlato sia con Matteo Salvini che con Antonio Tajani. E se il primo di fatto ha rimpallato le responsabilità, spiegando che Giorgetti fa tutto da solo e non si consulta, Tajani ha invece assicurato che si sarebbe “dissociato”. Ieri, infatti, la dichiarazione del ministro degli Esteri, che più che una dissociazione manifesta “perplessità”: “Come Forza Italia vogliamo ascoltare le imprese e le banche per capire se ci sono dei danni o se bisogna intervenire in Parlamento per fare delle proposte, fermo restando l’intervento indispensabile per fermare i danni del superbonus”, ha spiegato Tajani, dubbioso sul passaggio dei rimborsi da quattro-cinque a dieci anni che “forse sono troppi”.
L’ira di Orsini, quindi, pare aver prodotto un parziale risultato se le due posizioni italo-leghiste saranno destinate a trovare una composizione. Gioranni,
TELEFONATE L’AZZURRO SENTE ORSINI, POI CRITICA IL COLLEGA
getti gli ha risposto male: “Il mio compito è la difesa dell’italia”, cioè la salvaguardia dei suoi parametri finanziari, a cominciare dalla sostenibilità del debito. Tajani, a sua volta, non l’ha presa bene: “Anche io faccio l’interesse degli italiani. Qui parliamo di una proposta di Giorgetti, non di una del governo, perché io non sono mai stato consultato”. Il ministro dell’economia, al solito, ha svicolato: “Aspettate i testi, non le fantasie...”, ha buttato lì in serata. I testi però, che erano attesi in Senato ieri, a sera non erano ancora arrivati.
Insomma, qualcosa è successo nella maggioranza. Qualcuno ipotizza possibili mediazioni: l’ipotesi più accreditata è che l’emendamento obblighi a spalmare i bonus edilizi su dieci
ma solo a partire dall’entrata in vigore del decreto e non, come anticipato dal ministro, dal 1° gennaio 2024. In pratica si eliminerebbe l’effetto retroattivo (in parte la novità colpirebbe però impegni già presi e contratti già firmati immaginando la vecchia tempistica). Il governo si salverebbe la faccia rinunciando a una parte dei 2,5 miliardi di maggior gettito previsti dal Mef.
Se Giorgetti non cede, invece, la nuova norma – dice Ance – inciderà retroattivamente su 16 miliardi di lavori, 5 dei quali già realizzati: “Il governo riconsideri le proprie intenzioni”, ha auspicato il vicepresidente di Confindustria Maurizio Marchesini. E qui torniamo al neopresidente Orsini, che sul Superbonus non intende mollare. È il dossier di cui si è occupato più a fondo durante il suo mandato di vicepresidente con delega al Fisco, lavorando a stretto contatto con il governo Conte e poi con quello Draghi. In Confindustria, del resto, non sono convinti del racconto sui disastri prodotti dal Superbonus. Il rapporto debito/pil nel 2023 si è ridotto del 3,7% e comunque, si insiste nella testa di comando dell’associazione industriali, il governo ha avuto molto tempo per intervenire ma finora non ha fatto nulla.
Perché improvvisamente si decide di cambiare le carte in tavola a giochi iniziati? Fino al 23 maggio, Orsini non può parlare, a causa del bizantino statuto interno di Confindustria, ma dopo è deciso a pronunciarsi con forza.