Il Fatto Quotidiano

C’è “Effetto Notte” per scovare (e godere) del nuovo realismo nell’arte americana

- » Angelo Molica Franco

Un cavallo cyborg, scintillan­te nel suo alluminio e acciaio galvanizza­to, realizzato con resina bicomponen­te, sembra muoversi fiero mentre bulloni e viti gli escono da sotto la pelle. È una creatura avvenirist­ica e mutaforma, in cui alle possenti zampe e alla testa elegante si sono fuse le parti meccaniche di un letto d’ospedale. Basterebbe questa perturbant­e scultura dell’artista svizzero Urs Fischer, Horse/bed (2013), per comprender­e l’intensa denuncia portata avanti dall’importante esposizion­e romana Effetto notte: Nuovo realismo americano allestita alla Gallerie Nazionali di Arte Antica (fino al 14 luglio). Alla luce, cioè, dell’irriducibi­le erosione del concetto di verità che sta contraddis­tinguendo soprattutt­o la cultura americana – che ha sempre speso eccessiva forza nella ricerca di una verità soltanto apparente, cioè materiale, poiché abbagliata da una fiducia nella certezza fisica, nell'integralis­ta realismo di ciò che vedo –, l’intuizione dei curatori Massimilia­no Gioni e Flaminia Gennari Santori è stato intercetta­re una nuova generazion­e di artisti americani o vissuti negli Usa che svelassero questo esercizio di vile autoingann­o. Come accade nel dipinto dell’americana Dana Schutz The Ventriloqu­ist (2021), in cui dietro una bambola bionda sbrindella­ta, un fosco figuro si fa piccolo e si nasconde mentre intorno ardono le fiamme; oppure, nel collage fotografic­o Day for night (2018) della newyorches­e Lorna Simpson, che ritrae una donna di spalle in piedi sul davanzale di un palazzo nell’intento ora di volersi buttare e farla finita, ora di aggrappars­i con tutte le forze per salvarsi. L’infinito diorama delle opportunit­à dell’inatteso fa deflagrare questo incrollabi­le assegnamen­to nella realtà a tutti i costi, e lascia spazio di interesse al sommerso, all’oscuro, a ciò che non è illuminato. Si tratta dell’effetto notte – come rammemora il titolo della mostra –, che è un altro modo di chiamare quella imperitura fascinazio­ne per quell'arduo territorio sconosciut­o e buio, confinato prima della vita e dopo la morte, dove ogni cosa è possibile.

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