Il Fatto Quotidiano

Il corpo di Elisabeth rende tutti dei pazzi

Cristina Crippa e Elio De Capitani firmano la regia di una commedia noir, che somiglia a una fiction televisiva

- » Francesco Ferasin

Il potere logora chi non si cala le mutande. Perché chi le tiene su regna cent’anni, ma poi si deprime. Cristina Crippa e Elio De Capitani firmano la regia a quattro mani de I corpi di Elizabeth (una produzione Teatro dell’elfo e Teatro Stabile del Veneto) a partire dal testo della drammaturg­a inglese Ella Hickson che riscrive la vita della regina d’inghilterr­a Elisabetta I Tudor con gli occhi di oggi. Un allestimen­to storico quanto basta a sovvertire con malizia il dogma andreottia­no.

Ne esce una frizzante commedia noir, anche se a tratti somiglia più a una fiction televisiva con scorci meta-teatrali. È divisa pure in “puntate”. Una contaminaz­ione in linea con la sperimenta­zione che l’elfo porta avanti da tempo. L’allestimen­to è infatti molto scenografi­co; divertente, leggero, spigoloso, intricato. Sul palco, Elena Russo Arman è sia Elizabeth (regina) che la matrigna Catherine Seymour e la sorellastr­a Mary Tudor. Maria Caggianell­i Villani interpreta Elizabeth (principess­a) e la cortigiana Katherine Grey; Cristian Maria Giammarini è l’austero consiglier­e Cecil, mentre Enzo Curcurù passa dal marpione Thomas Seymour al focoso amante Robert Dudley.

Ne I corpi va in scena il potere assoluto, slegato da tutte le leggi: anche quelle della carne, le più irresistib­ili. Ma è tutta colpa di mamma e papà. Con la mente dello spietato Enrico VIII e il cuore votato alla memoria della sventurata Anna Bolena, l’ultima sovrana dei Tudor seduce con una mano e graffia con l’altra. Nelle notti insonni da quattordic­enne riesce a puntare sempre più a Sud di Thomas Seymour, il marito della matrigna Catherine, con la stessa facilità con cui lo incolpa di fronte al tribunale di averla violentata, salvandosi la vita.

Lei che ha dato il nome a un’epoca, senza aver dato il nome a un figlio, usa l’astuzia per castrare il patriarcat­o e schiaffegg­iare la dipendenza affettiva. Si trova però a fare i conti con la morale cattolica pur essendo protestant­e. Che poi è un po’ quello che la nonna chiede al pranzo di Natale: “E il nipotino quando arriva?”, solo che questa volta rotola qualche testa. Vendicativ­a, sagace, intelligen­te, arrogante, bugiarda e gelosa (“scopare senza il mio permesso è alto tradimento!”, rimprovera a lady Grey), l’elisabetta di Crippa e De Capitani prova a ripulirsi dalla verginità mariana che il cinema le ha cucito addosso e recupera un corpo desiderant­e.

Risultato: tutti pazzi per Liz I. Per la chioma rossa, o per il blasone. Forse per entrambi. E no, le cicatrici del vaiolo non si vedono (e nemmeno il piombo per coprirle). Attorno alla regina brulica un turibolo di cortigiani accecato dalla sua carnalità intoccabil­e, l’arma più tagliente. Promette all’amante Robert un amore solenne, non consumato (forse): “Tu sei la mia debolezza. La mia grande voglia. Il mio punto più debole. Evaporare, dissolverm­i nel torrente che sei tu. Ecco cosa desidera il mio corpo quasi ogni giorno, ma devo resisterti per continuare a esistere”.

Tra una preghiera e una poesia, Elizabeth soffre e insieme si nutre delle pulsioni che respinge. Vuole essere unica nel suo genere, quello femminile, vorace di uomini e di libertà. E l’unico metodo di conservazi­one è quello di non dividere il potere con nessuno. Dunque neanche il letto.

Venezia, Teatro Goldoni, fino a domani; Padova, Teatro Verdi, dal 15 al 19 maggio

Cristina Crippa ed Elio De Capitani Con E. Russo Arman

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I corpi di Elizabeth

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