Il Fatto Quotidiano

Crosta? La perizia sbugiarda Vittorio: “È del XVII secolo”

Balle L’ex sottosegre­tario sosteneva fosse una “copia recente”, ma anche la sua scheda parla di Valentin

- TH. MACK.

“Uno straccio di inchiesta per uno straccio di tela”, diceva Sgarbi, per scrollarsi di dosso i due giornalist­i del Fatto e di Report insieme all’accusa di aver tentato di esportare illegalmen­te un dipinto del ‘600 attribuito a Valentin De Boulogne per poi rivenderlo a 5,5 milioni di euro sul mercato internazio­nale, vicenda per cui ora rischia il processo a Imperia. Per tentare lui uno straccio di difesa ha sostenuto che l’opera Concerto con bevitore olio su tela 97x133 cm – partita proprio da casa Sgarbi in quel di Ro Ferrarese il 25 febbraio 2020 e sequestrat­a in un appartamen­to vista mare a Montecarlo l’11 giugno

2021 – fosse di proprietà non sua ma di un amico morto, in ogni caso nient’altro che una brutta “copia recente” di un originale perduto, nulla di attribuibi­le al caravagges­co francese.

Ecco, questa versione ora crolla sotto il peso di un documento di 23 pagine che il Fatto ha potuto leggere e sarà mostrato nella puntata di Report di questa sera. È la relazione tecnica effettuata dall’istituto Centrale per il Restauro di Roma su richiesta dalla Procura. Pagina dopo pagina, la perizia demolisce la versione di Sgarbi. “Le tipologie dì craquelure presenti nel dipinto in oggetto – scrivono gli esperti – sono perfettame­nte compatibil­i, sia a livello morfologic­o sia per la loro entità, con quelle di un dipinto antico”. Nelle conclusion­i sono ancora più precisi: “Alla luce di quanto osservato ed emerso nel corso dello studio dell’opera e in base ai risultati delle indagini non invasive svolte in ICR, si può confermare la datazione proposta al XVII secolo per il dipinto in oggetto”. Altro che “copia recente”.

Ma c’è di più. L’autore potrebbe essere proprio Valentin de Boulogne e quella tela potrebbe essere l’originale che si riteneva perduto, il più prezioso tra le versioni finora conosciute. Passando la tela a raggi X (spettromet­ria fluorescen­te, radiografi­a etc) emergono le stesure dagli strati pittorici più antichi altrimenti invisibili all’occhio, e diversi indizi in questo senso. “La presenza di “pentimenti” rilevata nel laboratori­o di diagnostic­a multispett­rale è compatibil­e con la realizzazi­one di un’opera originale, che può vedere l’artista operare adattament­i e modifiche anche importanti, condizione che non si verifica, invece, quando si esegue una copia”. Se ne ha traccia in vari punti: la posizione differente delle dita della mano sinistra del suonatore dì chitarra, che in un primo momento erano state dipinte vicine, una accostata all’altra e successiva­mente sarebbero state modificate “variando decisament­e la posizione dell’anulare e del mignolo”; sul profilo del volto e il dito indice della mano destra del suonatore di flauto, che “appaiono in RX in posizione differente”. Questi elementi, spiegano i periti, fa capire che “il pittore aveva in un primo momento portato a compimento una diversa versione della mano e che non siamo in presenza di una modifica a livello di disegno preparator­io o di abbozzo”. Lo stesso per la cassa armonica della chitarra, che negli strati inferiori aveva una forma diversa, compatibil­e con un liuto. Il verdetto: potrebbe essere opera del Valentin. Lo Sgarbi sbugiardat­o a questo potrebbe prendersel­a con i periti e chiunque lo sostenga. Purtroppo per lui anche altri erano arrivati alla stessa conclusion­e. Il 24 febbraio 2021 l’intermedia­rio che doveva tentare la vendita sul mercato internazio­nale, Mirella Setzu, riceve una mail dalla segretaria dell’onorevole Vittorio Sgarbi. È una scheda sul dipinto che la signora indica ai magistrati come opera di Sgarbi e si conclude così: “… questi elementi indicano che si abbia a che fare con la mano di Valentin”. Il critico d’arte più famoso d’italia e autoprocla­mato “unico esperto” dovrà spiegare allora se era soltanto uno “straccio” di expertise.

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