Ci mandano a Khan Younis, anche se là non c’è acqua
Lo sfollamento continua senza sosta e la prima cosa che le famiglie cercano è l’acqua. Ma è impossibile trovare l’acqua in aree distrutte da cinque mesi di operazioni militari, anche a Khan Younis.
A Rafah i caccia bersagliano dai cieli chiunque cerchi di avvicinarsi alle zone a est della città, non importa se per ritornare alle loro case per recuperare effetti personali. E i rifugiati nei campi situati a ovest della città sono tutti in fuga verso Deir al-balah o Khan Younis, in un’area troppo piccola – 60 chilometri quadrati – per ospitare più di un milione di persone.
L’unrwa, intanto, ha ritirato tutto il suo personale dalle aree orientali di Rafah e tutti i rifugi sono stati svuotati. È imminente anche l’ordine di evacuare dal centro della città e dalla zona occidentale, non più di due giorni pare.
Gli aerei israeliani nelle ultime ore hanno bombardato di nuovo Khan Younis, uccidendo tredici persone da quel che si sa, proprio mentre gli stessi generali israeliani chiedono a noi civili palestinesi di evacuare da Rafah per recarci a Khan Younis. Inoltre, Khan Younis non ha il minimo servizio attivo, appunto: niente acqua, niente mercato, niente cibo, niente istituzioni umanitarie. Israele si è ritirato meno di un mese fa, lasciando dietro di sé una città in rovina, senza infrastrutture. E il problema dell’acqua non può essere risolto in due giorni: le famiglie resteranno minacciate dalla sete e dall’assenza di igiene per un lungo periodo. Ma le cose non vanno meglio nel nord della Striscia. Dopo oltre 7 mesi di operazioni di terra Israele ha ricominciato a diffondere nuovi avvisi di evacuazione, annunciando l’inizio di una nuova operazione militare di terra e chiedendo ai residenti di spostarsi verso le zone più occidentali, che non sono affatto sicure.
Per quanto riguarda la sofferenza psicologica dello sfollamento, non è affatto facile per le madri e i bambini sfollati dai loro luoghi abituali anche più di otto volte. Le famiglie dovranno vivere in nuovi campi, trasferirsi in posti diversi e stringere nuove relazioni per poter continuare una vita aspettando che si ritorni a un minimo di normalità. Cosa che, ora, appare impossibile.
Questo è quello che succede qui, a Rafah. Entro due giorni con la mia famiglia partiremo per Khan Younis, ci stiamo organizzando per iniziare un nuovo viaggio di sofferenza, una sofferenza che non ha mai fine.