Rinnovabili, la guerra sarda: stop all’assalto di Cina e fondi
L’assalto è cominciato e la Sardegna si difende come può: un disegno di legge regionale è stato elaborato d’urgenza nel tentativo di rallentare la corsa di imprese, fondi nazionali e internazionali che vogliono trasformare la Sardegna in una gigantesca batteria in grado di accumulare vento e sole per trasformarli in energia elettrica da vendere e immettere nella rete nazionale governata da Terna. Allo scorso 31 marzo erano 800 i progetti di parchi eolici e fotovoltaici presentati al gestore nazionale per quasi 58 gigawatt di potenza, trenta volte quella prodotta dagli impianti installati ad oggi nell’isola e sette volte l’obiettivo al 2023 stabilito in sede comunitaria. L’estensione complessiva degli impianti da realizzare è pari a 80 mila campi di calcio e l’installazione delle pale eoliche a terra, in media alte come la torre Eiffel, ha uno sviluppo anche orizzontale a causa delle enormi fondazioni circolari in cemento armato.
COLLINE,
crinali, altopiani sono i siti più ricercati per la migliore esposizione al vento, i parchi fotovoltaici trovano lo spazio migliore nelle pianure mentre i parchi eolici offshore sono progettati su isole galleggianti ancorate al fondale a venti chilometri dalle coste. Qualsiasi norma o strumento di pianificazione regionale perde efficacia di fronte al decreto semplificazione firmato nel 2022 dal governo Draghi, che qualifica come strategici gli interventi destinati a produrre energia. I gruppi imprenditoriali hanno mano libera, non c’è tutela paesaggistica o ambientale che tenga, il decreto rivoluziona persino il diritto di proprietà rendendo possibile in nome della pubblica utilità anche l’esproprio tra privati. Nei giorni scorsi il ministro dell’agricoltura Lollobrigida ha varato in tutta fretta un decreto, finito per ora in stallo al Quirinale, rivolto a proteggere le aree agricole, ma solo quelle non ancora al centro di progetti autorizzati. L’affare, che non riguarda solo la Sardegna, è colossale: investire sulle rinnovabili è un’impresa senza rischio, perché per garantirsi il profitto non è neppure necessario vendere l’energia, basta metterla a disposizione del gestore che acquista o non acquista in base alle esigenze del consumo nazionale ma paga comunque, caricando i costi sulle bollette dei cittadini. Dal decreto Draghi in poi il rischio di vedere il paesaggio sardo trasformarsi in una foresta d’acciaio è diventato reale. È dei giorni scorsi la notizia che la Chint, la più grande società fotovoltaica della Cina, ha acquistato dalla spagnola Enersid il più vasto progetto solare mai pianificato in Europa. Verrebbe realizzato nella Nurra, la pianura agricola a sud di Sassari, stravolgendone il paesaggio.
ALTRI PROGETTI, che fanno capo a banche internazionali come JP Morgan, incombono su località del centro e del sud dell’isola. E la Regione? Per ora il governo presieduto da Alessandra Todde ha elaborato un disegno di legge che non blocca le procedure autorizzative ma congela per diciotto mesi l’installazione degli impianti. Filtra dagli uffici regionali che l’obiettivo sarebbe arrivare entro sei mesi a individuare e delimitare le aree idonee per tenere le altre al riparo dall’invasione, un compito che i governi Draghi e Meloni hanno dimenticato. L’idea non è di rallentare la transizione ecologica ma di fermare la speculazione sulla maggiore ricchezza dell’isola, senza toccare gli impianti per autoconsumo e le comunità energetiche. Ma il tempo a disposizione è limitato, perché le navi hanno già scaricato sull’isola centinaia di gigantesche pale eoliche. La speranza è che il governo nazionale intervenga: il 21 maggio è in programma un incontro tra Todde e il ministro dell’ambiente Pichetto Fratin.
IN NURRAS LA REGIONE CONGELA GLI IMPIANTI PER 18 MESI