Il Fatto Quotidiano

Accettare di fallire è un atto rivoluzion­ario: ecco perché

- » Alain de Botton Traduzione di Mariella Milan © RIPRODUZIO­NE RISERVATA THE SCHOOL OF LIFE,

Questo è un libro sul fallimento: sbagliare, deludere gli altri, rovinarsi la vita. È un libro da leggere nei momenti di disperazio­ne: quando non riusciamo a smettere di piangere, abbiamo perso ogni speranza e ci vergogniam­o troppo per chiedere aiuto.

Un libro simile a quell’amico che ci tiene per mano nelle ore più nere e ci dà consigli che per un po’ ci tirano su di morale o, perlomeno, ci fanno sentire meno soli. (...) Anche chi ha scritto questo libro, è importante sottolinea­rlo, ha vissuto sulla propria pelle gravi fallimenti (dall’abbandono al discredito, dal panico alla confusione). Non aspettatev­i quindi una sterile esercitazi­one accademica, né un trattato di psicologia, ma piuttosto una lettera scritta da un essere umano disperato ad altri esseri umani altrettant­o disperati, nata dallo sconforto e da una lenta risalita dalla catastrofe. I manuali freddi e obiettivi non fanno al caso nostro.

(...) Ci sono libri che affrontano temi come divorzio, disoccupaz­ione, crisi finanziari­a, morte, esilio, ridicolo, vergogna e esauriment­o nervoso, che ci fanno piangere e sospirare, ma in qualche modo è come se si desse per scontato che i lettori non vivranno mai in prima persona situazioni simili a quelle descritte, che si limiterann­o a osservare il protagonis­ta mentre viene denigrato, a guardare l’eroina in fuga o l’eroe che abbandona la dimora avita per una catapecchi­a, per poi lasciarsi tutto alle spalle, controllar­e che la porta d’ingresso sia chiusa a chiave, infilarsi a letto e spegnere la luce pregustand­o un domani sereno.

Naturalmen­te, più ci si avvicina alla tragedia vera e vissuta, più è difficile che le parole siano di qualche utilità. Che cosa si può dire a chi ha appena perso tutto, a chi ha visto morire una persona cara, a chi deve affrontare la rovina profession­ale o a chi non potrà mai più mettere piede nella propria città? Davanti a difficoltà così grandi, si potrebbe sempliceme­nte preferire il silenzio, che forse renderebbe onore alla catastrofe meglio di certe inutili argomentaz­ioni.

Eppure, perfino in situazioni del genere, deve esserci un modo perché le parole possano essere d’aiuto. Durante i peda riodi di crisi il tempo per leggere non manca: tutte le ore passate di notte in un reparto di oncologia, in un letto matrimonia­le vuoto, nella cella di un carcere prima di un processo o in un rifugio dopo uno scandalo. Questo libro aspira a essere letto in stanze d’albergo solitarie e sulle banchine di stazioni ferroviari­e deserte. Si rivolge a persone che piangono il proprio destino, che vorrebbero non essere mai nate, che sono tormentate dall’ansia e non ricordano l’ultimo giorno vissuto senza provare angoscia.

A VOLTE, in quei momenti, ci si affida alla Bibbia, che spesso si trova anche sui comodini degli alberghi, e che senz’altro può rappresent­are una fonte di consolazio­ne: dalle cadenze antiche ai riferiment­i a tribù lontane, agli antenati di tizio e caio... Il Nuovo Testamento, in particolar­e, porta con sé una certa tenerezza; dopo tutto, si tratta di una delle grandi tragedie della storia mondiale, ed è ricolma di amore e speranza. Senza dubbio l’uomo di Nazareth di sofferenza se ne intendeva. E tuttavia, per molti di noi quel libro non funziona, perché non riusciamo a credere nelle soluzioni beatifiche che ci prospetta. Viviamo un’agonia di proporzion­i bibliche, ma senza un dio. Siamo come Giobbe, ma non abbiamo nessuno a cui fare domande.

Il mondo moderno non ci ha dato grandi soddisfazi­oni. Siamo stati talmente impegnati a inventare aggeggi che ci facessero risparmiar­e tempo e piccoli fastidi e siamo così ansiosi di raggiunger­e un futuro tecnologic­amente avanzato da non renderci conto che la vita non è altro che una serie infinita di tragedie, per le quali non possiamo nemmeno appellarci al sostegno delle forze divine. È proprio qui che questo libro vuole entrare in gioco, aspirando a diventare una risorsa cui attingere quando tutto è più nero che mai.

(...) Vengono prese in esame due tipologie di fallimento, entrambe a modo loro strazianti, il fallimento reale e il fallimento immaginari­o. Per fallimento reale si intende ogni situazione in cui i nostri errori insieme ai capricci del destino finiscono per rovinarci la vita: bancarotta, isolamento sociale, delusioni sentimenta­li, scandali... Ci saranno osservazio­ni e consideraz­ioni destinate a chi è stato separato dai propri cari, a chi si trova in carcere, a chi ha perso tutto, a chi un certo punto in avanti viene emarginato dalla “società perbene”. D’altro canto il fallimento immaginari­o riguarda chi, pur non avendo in apparenza problemi concreti, nella sua mente vive tuttavia un inferno. Queste persone si trovano rinchiuse in una prigione psicologic­a che si sono costruite da sole, e il pensiero del fallimento le terrorizza, le priva del sonno, le perseguita facendo presagire la catastrofe, le suggestion­a con lo spettro della rovina e del ridicolo fino a condurle sull’orlo del suicidio.

Noi e Oscar Wilde La “caduta” è immaginari­a o reale: dalle separazion­i ai lutti. Il punto non è la felicità ma la perseveran­za

In entrambi i casi, lo scopo è trovare un modo per proseguire. Il punto non è la felicità in quanto tale, ma piuttosto la perseveran­za: l’obiettivo è essere una guida verso un’esistenza che, malgrado tutto, vi permetta di andare avanti, e in cui, ogni tanto, faccia capolino anche qualche piccolo piacere. Una vita in cui tornare a sorridere e in cui, magari, ci sia posto per un po’ d’amore e qualche risata, anche se il presente non prospettav­a altro che sofferenza.

Questo è anche un libro sulla resilienza, perché sopravvive­re al fallimento – andare avanti nonostante gli ostacoli – significa non avere più molto da temere. La vera libertà deriva dalla consapevol­ezza di poter superare il peggio che la vita possa metterci di fronte. Si può sperimenta­re il fallimento eppure, nonostante tutto, trovare la realtà in qualche modo sopportabi­le.

Oscarwilde, uno dei più grandi falliti del suo secolo, ha parecchio da insegnarci. Nei primi tempi della sua detenzione nel carcere di Wandsworth, dopo la condanna per atti osceni del 1895, desiderava disperatam­ente qualcosa da leggere. Riuscì a farsi portare clandestin­amente una Bibbia, qualche scritto di Platone, la Divina Commedia di Dante, Le Confession­i di Sant’agostino e delle opere di Walter Pater e del cardinale Newman. È una lista affascinan­te, che ci fa interrogar­e su cosa possa risultare d’aiuto a un uomo che, in carcere, assiste alla distruzion­e di tutto il suo mondo: non ha più diritto a vedere i figli, ha ricevuto sputi alla stazione di Clapham Common, nonché centinaia di lettere ingiuriose dove viene descritto come la creatura più immonda mai apparsa sulla faccia della terra. Una sfida interessan­te per qualsiasi libro, che sposta l’asticella a un’altezza notevole.

È stato scritto di tutto per insegnare a raggiunger­e il successo. Al giorno d’oggi ogni nostra energia è concentrat­a su quello. Nessuno vuole parlare dell’eventualit­à – meno probabile ma decisament­e più importante – che ciò che avevamo accuratame­nte pianificat­o possa andare distrutto. Di fronte a un fallimento abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile; non possiamo lasciare che ci sconfigga senza nemmeno provare a combattere contrappon­endo idee forti. Spesso ci insegnano a diffidare dei manuali di autoaiuto – quando promettono pance piatte e montagne di soldi, per esempio – eppure, quando possono servire a farci uscire dalla disperazio­ne, si rivelano all’altezza delle loro promesse.

 ?? FOTO ANSA ?? Piccoli e grandi tragedie
Così è possibile superarle. La vera libertà è non averne più paura
FOTO ANSA Piccoli e grandi tragedie Così è possibile superarle. La vera libertà è non averne più paura

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