Invito a comparire “Mori conosceva il piano bombe, ma per 9 mesi evitò di indagare”
L’ex capo del Ros è accusato di concorso nelle stragi al Nord: “Distrusse anche un biglietto dei boss”
Il generale Mario Mori è indagato per concorso nelle stragi di mafia del 1993 con aggravante della finalità mafiosa e terroristica, perché in qualità di vicecomandante del Reparto Operativo Speciale dei Carabinieri avrebbe saputo in anticipo (ad agosto 1992, 9 mesi prima dell’attentato di via dei Georgofili a Firenze del 26 maggio 1993), del piano stragista di Cosa Nostra. E nulla avrebbe fatto per impedire la sua realizzazione. L’accusa è gravissima e val la pena di ricordare che Mori è solo indagato. In particolare gli contestano di non aver valorizzato le informazioni ricevute
La soffiata Nell’agosto del 1992 ebbe l’informazione dal maresciallo Tempesta con le richieste della mafia
nell’agosto 1992 grazie al maresciallo dei Carabinieri Roberto Tempesta che entrò in contatto con Paolo Bellini, a sua volta in contatto con il boss Antonino Gioé. E di non aver dato seguito alle confidenze ricevute (a detta del collaboratore) da Angelo Siino il 25 giugno del 1993, quando era solo un confidente del ROS. Siino era già stato arrestato perché si occupava per Cosa Nostra degli appalti e avrebbe raccontato in cella a Mori di avere saputo da più fonti che la mafia voleva fare azioni eclatanti in nord Italia per favorire uno stravolgimento politico in favore di qualcosa di nuovo legato a Bettino Craxi. Tesi mai riscontrate.
La fonte principale di Siino sarebbe stata Antonino Gioé. Il boss poi morto in cella in circostanze misteriose, suicida ufficialmente, avrebbe svelato a Siino il piano. Anche altri due soggetti sono citati nell’invito a comparire notificato a Mori come fonti (probabilmente indirette) di Siino. Sono il mafioso Gaetano Sangiorgi e Massimo Berruti, l’ex manager Fininvest ed ex deputato FI, morto nel 2018, indagato e archiviato su richiesta dei pm già 20 anni fa, sempre per le accuse di Siino, a Firenze.
Il punto, per i pm fiorentini, è che Siino avrebbe confidato a Mori quanto saputo da Gioé un mese dopo l’attentato a Maurizio Costanzo e la strage di Firenze del 26 maggio 1993. Eppure – questa è la tesi dei pm - il generale non avrebbe fatto nulla.
L’invito a comparire come indagato (che può avvalersi della facoltà di non rispondere) segue una prima audizione di un anno fa come testimone tenuto a dire il vero a sommarie informazioni.
In quell’occasione a Mori è stata posta sicuramente la domanda che in tanti si fanno da decenni sul foglietto colorato con i nomi dei boss. Quel foglietto gli fu consegnato dal maresciallo Tempesta che aveva attivato un canale di trattativa tramite Paolo Bellini con mafiosi di primo livello come Gioé. Dopo le stragi che costarono la vita a Falcone e Borsellino, i boss chiedono a Bellini di portare la loro richiesta allo Stato per abbassare il livello dello scontro: benefici carcerari per cinque boss di prima grandezza. Tempesta consegna a Mori il foglietto colorato con i nomi dei boss, ricevuto da Bellini. Estremista di destra, in contatto con Cosa Nostra, poi killer della ’ndrangheta, reo confesso e collaboratore negli anni 90, Bellini recentemente è stato condannato in primo grado per la strage di Bologna, non viene pedinato. Anche se in quelle chiacchierate con il boss Gioé si parlò dell’intenzione di colpire la Torre di Pisa. Anche se il maresciallo Tempesta in varie deposizioni ha sostenuto di avere riferito a Mori, anche se non a verbale, l’interesse per l’attentato alla torre di Pisa e per altre iniziative dal sapore terroristico-mafioso. Le confidenze risalgono a prima della stagione delle bombe e delle stragi del 1993-94 a Firenze, Roma e Milano. Per i pm Mario Mori non attivò nessuna iniziativa preventiva o investigativa. Il generale ha sempre sostenuto, probabilmente anche nella sua deposizione di un anno fa, di considerare irrilevanti le informazioni contenute in quel foglietto che strappò. I pm hanno risentito il maresciallo Tempesta e hanno raccolto anche alcune deposizioni di collaboratori di giustizia. La Procura al termine di questo lungo lavoro voleva interrogare come indagato il 23 maggio alle 16 a Firenze. Sull’invito – divulgato da Mori e poi criticato dai politici di centrodestra, in testa il sottosegretario
alla presidenza del consiglio Alfredo Mantovano – si legge: “Pur avendone l'obbligo giuridico non impediva mediante doverose segnalazioni e-o denunce all’autorità giudiziaria ovvero con l'adozione di autonome iniziative investigative e-o preventive gli eventi stragisti di cui aveva avuto plurime anticipazioni, posti in essere nel biennio 1993-1994” (cioè gli attentati del 28 luglio 1993 alle basiliche di Roma e le stragi di Firenze e Milano rispettivamente il 27 maggio e il 27 luglio sempre del 1993 più la tentata strage dello stadio Olimpico del 27 gennaio 1994). La sua omissione sarebbe in ipotesi un reato perché nella tesi dell'accusa sarebbe rimasto inerte “sebbene fosse stato informato dapprima nell'agosto 1992 dal maresciallo Roberto Tempesta del proposito di Cosa Nostra veicolatogli dalla fonte Paolo Bellini di attentare al patrimonio storico artistico e monumentale della Nazione e in particolare alla torre di Pisa e successivamente da Angelo Siino che lo aveva appreso da Antonino Gioé, da Gaetano Sangiorgi e da Massimo Berruti, durante il colloquio investigativo intercorso a Carinola il 25 giugno 1993, il quale gli aveva espressamente comunicato che vi sarebbero stati attentati al nord”.
Mori ha già fatto sapere al procuratore capo Filippo Spiezia e agli aggiunti Luca Turco e Luca Tescaroli e al sostituto Lorenzo Gestri che hanno condiviso l’atto (anche se la firma del procuratore Spiezia manca perché era assente quel giorno) che non andrà per 'concomitanti impegni a Palermo”. Il 23 maggio è l'anniversario della strage di Capaci.