Il Fatto Quotidiano

“Fanfara ridicola, da ministro lavorai senza passerelle”

- Clemente Mastella » Tommaso Rodano

Se ci si lascia distrarre dal suo ruolo attuale – nostalgico democristi­ano, battutista e battitore libero da talk show – si rischia di dimenticar­e che Clemente Mastella, tra le numerose cariche della lunga carriera, ha ricoperto anche quella di ministro della Giustizia nel secondo governo Prodi (di cui fu fatale protagonis­ta). “Quando ero Guardasigi­lli – ricorda l’attuale sindaco di Benevento – collaborai con la moglie di Vespa, Augusta Iannini (già magistrata e capo dell’ufficio legislativ­o del ministero della Giustizia, ndr), per uno scambio di detenuti con gli Stati Uniti. Facemmo tutto con la massima discrezion­e, di certo non mi venne in mente di andare a organizzar­e una fanfara all’aeroporto come ha fatto la presidente del Consiglio con Chico Forti”. L’operazione Forti non le è piaciuta? È una cosa sgrammatic­ata sul piano istituzion­ale. Non discuto che sia giusto e opportuno far scontare a Forti la pena in Italia, dove probabilme­nte può avere condizioni più dignitose e stare vicino alla famiglia. Ma non dimentichi­amoci che è un condannato, non viene mica nel nostro Paese per fare la villeggiat­ura, resta in carcere anche qui. Quindi l’accoglienz­a in pompa magna e il riceviment­o starnazzan­te di Meloni sono completame­nte fuori luogo. È un comportame­nto improvvido, poco intelligen­te anche sotto il profilo mediatico.

Lei non festeggiò i detenuti riportati “a casa”?

Ma non ci pensai nemmeno. Non esistono eroi carcerari. E non ci si può nemmeno attribuire meriti mediatici su questioni così delicate; l’ho liberato io, l’hanno liberato loro... non scherziamo. Peraltro uno dei detenuti che tornarono in Italia in quell’operazione, che era in galera negli Stati Uniti per reati finanziari, aveva già estinto la sua pena e una volta venuto qui fu scarcerato praticamen­te subito, dopo un giorno. Ma non mi sognai di farne un manifesto politico.

Chi era?

Non lo conoscevo, ma posso raccontarl­e un aneddoto carino. Anni dopo, ero con mia moglie a un mercatino a Ceppaloni, per una festa di paese. Uno dei commercian­ti venne a sapere che c’era Mastella e iniziò a ringraziar­mi: ‘Mio figlio le deve tutto’, mi disse. Insistette per passarmelo al telefono: dall’altra parte della cornetta c’era lui, l’ex detenuto. Per me non era un periodo felicissim­o, politicame­nte parlando: un po’ per disperazio­ne mi ero candidato a sindaco di Napoli. Come ricorda, non andò bene. Chiesi quindi al mio gratissimo interlocut­ore chi avesse votato alle elezioni. “De Magistrìs”, rispose (Mastella lo pronuncia così, con l’accento sull’ultima “i”). Gli ho risposto ridendo che quasi quasi era meglio se restava negli Stati Uniti.

Anni prima, il comunista Diliberto, all’epoca Guardasigi­lli, andò ad accogliere all’aeroporto per omaggiare il ritorno in Italia dell’estradata Silvia Baraldini. Lei lo contestò molto.

Oliviero è un mio amico, ma quel gesto non mi piacque. Un ministro della Giustizia dev’essere un esempio. Non c’è chi è più carcerato o meno carcerato. Su temi così sensibili non c’è spazio per privilegi o partigiane­ria.

Ilaria Salis, per esempio, sembra “meno carcerata” di Forti, agli occhi di questo governo.

Se è così mi dispiace, non è giusto. In carcere non esistono sinistra, destra, centro. Chiunque va rispettato, lo Stato deve intervenir­e in quanto Stato, non in quanto governo. Se c’è un tuo cittadino in catene devi intervenir­e, non mi interessa se sei amico di Orbán.

A un garantista come lei, l’approccio del governo Meloni alla Giustizia piace?

Mi sembra che facciano tanti annunci e poca ciccia. Si parla di separazion­e delle carriere, ma il vero dramma è la durata dei processi. Ho l’impression­e che tutti i discorsi sulla riforma della Giustizia siano slogan buoni per la campagna elettorale.

‘‘ Quando lavorai a uno scambio di detenuti con gli Usa lo feci zitto e con discrezion­e

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