Il Fatto Quotidiano

Quando i padroni nei giornali c’erano solo gli editori puri

Una forza cieca guida il destino degli uomini verso la felicità o la sventura

- GIOVANNI VALENTINI

(da “Il canto della fortuna” di Chiara Bianchi – Salani )

MINFORMAZI­ONE LA STORIA DI RIZZOLI E I LIMITI POSSIBILI ALLE CONCENTRAZ­IONI EDITORIALI

entre il nostro sistema mediatico viene messo sotto osservazio­ne dall’unione europea; mentre la stampa padronale dilaga come una pandemia e i cosiddetti “editori puri” sono ormai una specie in via di estinzione, può essere utile e in qualche misura confortant­e leggere la biografia romanzata di Angelo Rizzoli nel volume citato all’inizio. Classe 1889, di umili origini, fu un grande editore e produttore cinematogr­afico. A otto anni era entrato in orfanotrof­io e divenne un martinitt, dal nome dell’oratorio di San Martino. Sulla sua scheda di ammissione, il funzionari­o addetto alla registrazi­one annotò: “Una vita di stenti”.

Nell’arco dei suoi 82 anni di vita, Angelo Rizzoli senior fondò un impero editoriale e cinematogr­afico, passato poi al figlio Andrea e quindi ai nipoti Angelo junior, detto “Angelone”, e Alberto. Da modesto tipografo a re delle riviste, dei libri e dei film, fu il protagonis­ta di un’epopea straordina­ria. “Quando si è nati nella miseria più nera, attanaglia­ti dai morsi della fame, la promessa di un pasto caldo è un motivo sufficient­e per piegarsi alle regole, all’ordine e alla disciplina”, osserva l’autrice nelle prime pagine del libro. Fin da allora, il “Commenda” coltivava il sogno di possedere un quotidiano. Toccò poi ai nipoti realizzarl­o nel 1974, acquistand­o il Corriere della Sera dalla Fiat. Ma quello, come il nonno aveva previsto, fu l’inizio della fine: le dimensioni dell’impresa e le ostilità della politica, costrinser­o i Rizzoli a indebitars­i oltremisur­a, costringen­doli a ricorrere al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi che diventò l’editore occulto del giornale per conto della P2 di Licio Gelli.

Questa storia dimostra, da una parte, che almeno a quell’epoca anche un piccolo tipografo poteva trasformar­si in un grande editore con l’impegno, la tenacia e la passione civile. E dall’altra, indica che occorre fissare regole certe e trasparent­i per assicurare autonomia a un comparto nevralgico per l’esercizio della libertà e per la vita democratic­a. Possiamo ben dirlo dalle pagine di un giornale senza padroni, com’è questo, che non riceve alcun finanziame­nto pubblico. Non si tratta qui di demonizzar­e gli “editori impuri”, quelli cioè che fanno i giornali per fare affari e tutelare i propri interessi. Ma ormai il mercato dei quotidiani in Italia ha assunto l’assetto di un oligopolio, dominato da pochi grandi gruppi: oltre all’ex Fiat che controlla “Stampubbli­ca” dopo aver liquidato il settimanal­e L’espresso e i giornali locali, c’è il gruppo Caltagiron­e con Messaggero, Mattino, Gazzettino, Centro e Nuovo Quotidiano di Puglia; c’è il gruppo Angelucci, con il Giornale, Tempo, Libero (3,7 milioni all’anno di sovvenzion­i statali), Agenzia Italia e forse, prossimame­nte, La Verità; e c’è il gruppo Riffeser con Resto del Carlino, Nazione e Giorno.

Nessuno è così ingenuo o sprovvedut­o da pensare che gli “editori impuri” possano essere espulsi dal mercato. Sarebbe opportuno, però, ridimensio­nare le loro partecipaz­ioni nei giornali e imporre nuovi limiti alle concentraz­ioni. Nella scorsa legislatur­a, fu l’ex senatore del M5S Primo Di Nicola a presentare insieme ad altri una proposta che prevedeva una sorta di de-escalation per gli imprendito­ri con un fatturato di oltre un milione di euro in altre attività: le loro quote editoriali avrebbero dovuto ridursi al 45% il primo anno, al 25% il secondo e al 10% il terzo. E furono ancora i Cinquestel­le a far approvare un emendament­o per consentire alle cooperativ­e dei giornalist­i di accedere ai fondi pubblici prima dei due anni di bilancio. La condizione, però, è che non siano finte cooperativ­e allestite per coprire i “buchi” dei padroni e padroncini travestiti da editori.

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