Fondo salva governo
Il governo esce più stabile dal voto sul Mes. Il M5s perde qualche pezzo ma per Conte ora c’è la stampella dei moderati
Roma. A metà della mattinata, è lo stesso Giuseppe Conte a informarsi coi suoi ministri sulla stabilità della maggioranza: “Rischiamo qualcosa?”, chiede. Ed è Federico D’Incà, dopo un secondo d’imbarazzato silenzio, che s’incarica di rassicurarlo, tra i banchi del governo della Camera: “No, presidente. Tutto sotto controllo”. Perché forse, per paradossale che possa essere, più ancora che per quelli che vanno, o che potrebbero andare, si capisce subito che la giornata passerà alla storia di questa tribolata legislatura per i grillini che resteranno. “Sull’Ilva abbiamo ceduto, confidando nel loro buonsenso. Sul Mes non potevamo ammettere titubanze”, spiega ai deputati che lo interpellano Dario Franceschini. Come a dire che, in fondo, questa prova di maturità della coalizione esige di correre il rischio: “Vediamo come va al Senato, il dato politico della giornata sta lì”, dice il costituzionalista del Pd, Stefano Ceccanti. E infatti è al Senato che sono rivolte le preoccupazioni di Conte.
Dopo settimane di polemiche inutili e pretestuose, addirittura con accuse di “alto tradimento”, l’inutile discussione sul Mes si è conclusa con il voto favorevole a una risoluzione di maggioranza che è un sostanziale via libera all’accordo sulla riforma del Fondo salva stati raggiunto, peraltro, dal governo gialloverde. Un sacco di tempo perso a parlare di cose completamente inesistenti, come la ristrutturazione automatica del debito, o ininfluenti, come il passaggio delle clausole di azione collettiva sui titoli di stato dalla forma “dual limb” a quella “single limb”. Nulla di più vicino a una discussione sul sesso degli angeli, che pure sembrava stesse quasi per far cadere il governo, con il M5s attirato dal richiamo della foresta antieuropeista di Salvini. E invece no. Il governo non entra in crisi per questo motivo. Ma potrebbe farlo per tutti quei problemi concreti che ha ignorato, mentre era impegnato su problemi immaginari, e che rischiano di esplodergli tra le mani. Si tratta ovviamente dei problemi dell’economia reale, delle crisi industriali. Due esempi su tutti sono i casi Ilva e Alitalia, che sono deflagrati in maniera del tutto prevedibile e che pure sembrano aver colto di sorpresa il governo. Su Ilva, l’investitore ArcelorMittal aveva avvisato per tempo e pubblicamente che l’eliminazione dello scudo penale avrebbe condotto alla rescissione del contratto. Ma il governo ha fatto finta che non fosse un problema reale, o meglio, che fosse più importante placare l’ala del M5s che non aveva ricevuto abbastanza posti di sottogoverno. Su Alitalia, l’uscita dalla cordata di Atlantia è sembrato un fulmine a ciel sereno quando, anche in questo caso, erano arrivati messaggi abbastanza espliciti sulla chiarezza da fare anche sul tema delle concessioni autostradali. Il tema non è se Mittal e Atlantia abbiano torto o ragione, ma che il governo non è parso per nulla preparato di fronte a problemi prevedibili. Nessuna alternativa, ma crisi che precipitano. E se non sarà in grado di offrire soluzioni concrete, il governo rischia di precipitare con esse.