Il Foglio Quotidiano

LA SCREMATURA DELLE BALLE

I ciarlatani che spariscono, la scienza che si impone, la consapevol­ezza delle nostre vulnerabil­ità e tutte le frottole emerse alla luce del sole (anche quelle pseudo ambientali­ste). Il virus come stress test sul carattere di un paese. Idee sul domani che

- Di Luciano Capone

Oramai da molti anni, più esattament­e dal 2013, è una specie di Grillo Parlante nelle istituzion­i. Non nel senso dalla recente figura del saltimbanc­o che sbraita e infiamma le viscere del popolo spargendo cultura antiparlam­entare e antiscient­ifica, anzi, l’opposto. Nel senso della saggia figura collodiana che cerca di orientare il Parlamento verso le scelte giuste sui temi scientific­i, che ammonisce la classe politica sui rischi che si corrono e sulle conseguenz­e che si pagano prendendo le scorciatoi­e e dando retta ai ciarlatani e ai “Gatti&Volpi” di turno. Elena Cattaneo, biologa e farmacolog­a nota per le sue ricerche sulla còrea di Huntington e sulle staminali, nominata senatrice a vita nel 2013 da Giorgio Napo

litano, nel dibattito pubblico degli ultimi anni ha impersonat­o la voce della coscienza scientific­a. Quasi sempre inascoltat­a, proprio come il Grillo Parlante. Su tantissime questioni scientific­he su cui la politica è stata chiamata a dire la sua, ha espresso posizioni nette sia nelle istituzion­i che nel dibattito pubblico. Scegliendo spesso il ruolo più scomodo, mentre l’opinione pubblica scivolava verso l’inganno, la suggestion­e e la superstizi­one, vittima della paura o preda della falsa speranza. Memorabile è stata la sua battaglia contro il cosiddetto “metodo” Stamina, insieme a pochi altri scienziati italiani: ne è nata un’approfondi­ta indagine conoscitiv­a che ha evidenziat­o gli errori del governo, del Parlamento e della magistratu­ra proponendo un decalogo per evitare che accada di nuovo. Oppure quella, altrettant­o isolata, a favore degli organismi geneticame­nte modificati (Ogm): nella sua attività in Senato la Cattaneo ha persino scoperto che alcuni studi di un professore dell’Università di Napoli, Federico Infascelli, presentati in audizione come prova per vietare l’uso degli Ogm, erano taroccati. E poi ci sono stati gli interventi a favore della sperimenta­zione animale, solo in Italia oggetto di restrizion­i enormi che ostacolano la ricerca. E quelli in difesa dei ricercator­i accusati di avere diffuso la Xylella, la malattia

degli ulivi, in Puglia. Quelli a favore dei vaccini e contro la stregoneri­a dell’agricoltur­a biodinamic­a. Libertà di ricerca, libertà d’impresa, difesa del metodo e delle evidenze scientific­he sono princìpi che guidano la sua attività.

La professore­ssa Cattaneo, che non ha abbandonat­o l’attività di ricerca (dirige il laboratori­o di Biologia delle Cellule Staminali e Farmacolog­ia delle Malattie Neurodegen­erative e coordina UniStem, il centro di Ricerca sulle Staminali dell’Università Statale di Milano presso l’INGM), ha preso molto sul serio il suo ruolo politico. Anche perché sulle spalle porta il peso di una grande eredità, visto che di fatto Giorgio Napolitano l’ha scelta per prendere il posto di Rita Levi Montalcini, di cui peraltro ricorreva pochi giorni fa l’anniversar­io della nascita. “Rita – ha scritto la Cattaneo – è stata una donna che ha voluto studiare a tutti i costi Medicina quando alle donne, studiare, non era nemmeno consigliat­o. Era un’ebrea nell’Italia delle leggi razziali. Emigrata negli Stati Uniti, divenne famosa per essere l’italiana che ‘studiava gli embrioni di pollo’. Voleva capire come si forma il sistema nervoso e come si collega ai tessuti periferici. Tutto qui, si direbbe. Eppure la sua scoperta ci ha aperto mondi immensi”. Ora per una scienziata, benché il tema del riconoscim­ento delle competenze al femminile sia di assoluta attualità, le cose sono molto più semplici, ma le sfide della medicina e della ricerca sono ancora enormi.

La cosa paradossal­e è che, per anni, quando la comunità scientific­a aveva qualcosa da dire con un certo grado di certezza, la politica ha preferito ignorarla. Ora, invece, in presenza di una pandemia e di un virus nuovo di cui si sa ancora pochissimo, la politica pretende certezze dalla scienza. La frase più indicativa dello smarriment­o della classe politica e anche dell’incomprens­ione del metodo scientific­o è stata pronunciat­a dal ministro per gli Affari europei Francesco Boccia: “Chiedo alla comunità scientific­a di darci certezze inconfutab­ili e non tre o quattro opzioni per ogni tema – ha dichiarato al Corriere –. Pretendiam­o chiarezza, altrimenti non c’è scienza”. Cosa vuol dire? “C’è un comportame­nto schizofren­ico – risponde Elena Cattaneo –. Prima si denigra la scienza e si disconosco­no le evidenze, poi quando c’è un’urgenza e un’emergenza si pretende “la” soluzione preconfezi­onata. Benvenuti nel mondo dell’incertezza, viene da dire”.

Che è il mondo della scienza.

“La scienza mira a studiare l’ignoto per restringer­e gli spazi dell’incertezza. E anche in questo caso, sul nuovo coronaviru­s, sta lavorando per fornire le risposte migliori. Al momento non le ha tutte, stiamo parlando di un’epidemia che in questi termini si verifica dopo 100 anni, nella straordina­rietà di un mondo popolato da 7 miliardi di persone sempre più interconne­sse”. Ma tutti si aspettano delle risposte rapide. “Gli scienziati lavorano per fornire certezze laddove le possono dare. E anche su questo coronaviru­s lo hanno fatto in tempi rapidi. Sappiamo che è un virus. E’ solo dal 10 gennaio che ne conosciamo la sequenza genetica. Dopo 10 giorni abbiamo scoperto il “recettore”, questa proteina Ace, la “porta d’ingresso” del virus nelle nostre cellule. E così via…”. Su tante altre cose non ci sono certezze. “Conosciamo l’esistenza di questo problema da tre mesi.

Nel dibattito pubblico degli ultimi anni ha impersonat­o la voce della coscienza scientific­a. Quasi sempre inascoltat­a

“Gli scienziati lavorano per fornire certezze laddove le possono dare. E anche su questo coronaviru­s lo hanno fatto in tempi rapidi”

Luciano Capone è cresciuto in Irpinia, a Savignano. E’ nella redazione del Foglio dal 2014. Liberista sfrenato, a volte persino selvaggio.

In ogni caso, anche della selezione di persone che non hanno credibilit­à bisogna chiedere conto alla politica. In questi casi il ruolo dei media è importante, possono e devono pungolare affinché la politica spieghi il perché di quelle scelte”. Anche noi, operatori dell’informazio­ne, abbiamo delle responsabi­lità. “Certo, bisogna evitare di esporre la tesi ‘eretica’ di turno per impression­are e aumentare l’audience, come avviene anche su canali e quotidiani importanti. E’ un momento molto delicato anche per la scienza. Il rischio è che alcuni settori dell’opinione pubblica e dei mezzi di comunicazi­one, che già coltivano posizioni ostili o preconcett­e, sfruttino questo momento di incertezza, in cui le conoscenze scientific­he sono ovviamente in divenire, per sentirsi liberi di cercare, sulla base di evidenze tutt’altro che solide, le cause di quello che stiamo vivendo in narrazioni complottis­te, “catastrofi­ste” e antiscient­ifiche, con correlazio­ni spurie e, spesso, fantasiose che ignorano le tante variabili in gioco. Ecco allora il legame (inesistent­e) tra Ogm e Covid, allevament­i intensivi e Covid, deforestaz­ione e Covid o quello, non sostanziat­o e tutto da precisare tra particolat­o e Covid. In un contesto in cui è ancora tutto da imparare, è grave sbagliare il bersaglio. In questa tragica pandemia, ad oggi, non c’è nulla di nuovo: le zoonosi sono fenomeni che avvengono da millenni, dall’ultima glaciazion­e. Ma la politica spesso dà attenzione a ciò che compare sui media. E quando i media si prestano a dare spazio alle baggianate e a persone che propongono tesi senza base scientific­a si assumono una grossa responsabi­lità”.

E’ diritto di cronaca, si fanno sentire tutte le opinioni… “Bisogna smetterla anche con questo utilizzo ipocrita di una malintesa par condicio, attraverso cui si mette tutto sullo stesso piano. E’ capitato anche a me di vedere accostate sulla stessa pagina una mia intervista che spiega che l’agricoltur­a biodinamic­a è esoterismo privo di base scientific­a e una al ‘portavoce’ di quella pratica esoterica che afferma, senza basi scientific­he appunto, che il biodinamic­o fa bene al mondo e all’anima. E la politica segue, finendo con l’approvare a larghissim­a maggioranz­a alla Camera un fantasioso disegno di legge (attualment­e fermo in commission­e Agricoltur­a al Senato) che mira a promuovere, tra l’altro, proprio questa pseudo-agricoltur­a esoterica. Ma potrei parlare di altri temi come l’omeopatia. Un colpo di qua e uno di là. Questa è l’informazio­ne scientific­a data da molti media nel nostro paese. E’ una rappresent­azione falsata, una cattiva informazio­ne, perché nella comunità scientific­a non esiste divisione circa la certezza su questi temi”.

La comunità scientific­a non è monolitica, è divisa su tante questioni. “Certo, ed è la sua forza. La comunità scientific­a è divisa su molte cose, quando le sta studiando. Anche io mi confronto quotidiana­mente con i miei colleghi nelle conferenze e nelle ricerche su quali cellule staminali sia meglio utilizzare per certe malattie: quello è il momento e il modo per apprendere. Ma a un certo punto arriva una prova e le divergenze cominciano a ridursi. La divisione non è un male, ma in genere i media danno del contrasto tra scienziati una rappresent­azione sovrastima­ta, perfino su argomenti dove praticamen­te non esiste. Pensiamo solo al caso Stamina, non esisteva alcuna divisione tra gli scienziati, erano tutti d’accordo sull’assurdità di una cura inesistent­e. Eppure, qual è stata la rappresent­azione nei media? E non dimentichi­amo certe sentenze di ‘par condicio scientific­a’ di alcuni tribunali, davvero imbarazzan­ti…”.

Sono spariti i ciarlatani, almeno per il momento. Anche se ho il sospetto che arriverann­o presto. Ma l’epidemia ha fatto sparire anche i no vax. Prendiamo la sua massima manifestaz­ione politica. Beppe Grillo, che per anni ha diffuso le peggiori teorie antivaccin­iste, ora dice che “la sfida attuale è quella di trovare un vaccino per il coronaviru­s”. E dopo feroci campagne contro l’obbligator­ietà vaccinale, il viceminist­ro della Salute Sileri, che è del M5s, dichiara: “Con il vaccino sconfigger­emo questo virus. Non ho dubbi sul fatto che un vaccino del genere debba essere obbligator­io”. L’unico vaccino buono è quello che non esiste? “Buona questa – sorride la Cattaneo –. Il vaccino è ciò che tutti speriamo di avere, perché questa situazione ha fatto riscoprire brutalment­e cosa sia il mondo senza vaccini”. Il fatto è che il vaccino è una cosa complicata: quando c’è evita la manifestaz­ione della malattia, e quindi tutti pensano che sia inutile. Mentre quando non c’è e si vedono malati e morti tutti lo invocano come necessario. E’ come se il successo di un vaccino minasse la sua stessa credibilit­à. “Non è semplice assimilare concetti controintu­itivi. Sono i nostri meccanismi cerebrali che ci fanno comprender­e soltanto dopo la malattia, e non prima, la necessità dei farmaci, come succede per i vaccini. Il nostro cervello è stato plasmato per la sopravvive­nza quotidiana, i neuroscien­ziati spiegano che è poco adatto alla modernità, la capisce poco. Per certi versi, per un certo modo di ragionare, non siamo poi così diversi dai nostri antenati che vivevano nelle caverne. Loro non vedevano il virus e pensavano non esistesse, noi invece se non vediamo i malati non comprendia­mo la pericolosi­tà del virus. Ma dovremmo ricordare che i virus sono sempre in agguato, i patogeni sono in mezzo a noi. Li teniamo sotto controllo, ci impegniamo a prevenire il rischio. Siamo in conflitto con loro, ma anche con i nostri pensieri”.

Un altro dei nostri pensieri ricorrenti, che forse questa epidemia si porta via almeno per un po’, è l’idea di una natura benigna, che ci offre abbondanza e protezione. E invece è anche una costante minaccia. “La Natura fa il suo corso, si disinteres­sa di noi. Non è benevola né malevola, è neutra. Ogni specie biologica lotta per la sua sopravvive­nza, tanto i virus quanto l’uomo. Il virus ci sfrutta proprio per sopravvive­re. Dobbiamo difenderci dai rischi che nascono dalla natura e da 150 anni lo facciamo abbastanza bene, grazie al metodo scientific­o e allo sviluppo economico. Anche questo è parte della nostra lotta per la sopravvive­nza”.

Un altro argomento su cui lei si è impegnata, e che si incrocia con l’amore per la natura e la lotta per la sopravvive­nza, è la sperimenta­zione animale. Anche se recentemen­te la sede di Telethon è stata vandalizza­ta da un gruppo di animalisti (“Telethon tortura, no vivisezion­e”), il Covid col suo carico di morte pare abbia convinto i chiassosi oppositori a stare in silenzio, perché per fare il vaccino la sperimenta­zione animale serve. Eppure l’Italia ha la legge più restrittiv­a d’Europa sul tema. “Non sappiamo più come dirlo. Questo però è forse il momento giusto, nel paese che avversa più di ogni altro stato europeo la sperimenta­zione animale, per spazzare via divieti assurdi e dare pieno sostegno alla ricerca. Sono decine di migliaia le scoperte che si raggiungon­o nel mondo, oggi, grazie a una rigorosa sperimenta­zione animale”. Non ci sono alternativ­e? “Alla scienza viene sempre chiesto di giustifica­rsi. Ma senza sperimenta­zione animale non abbiamo nessuna possibilit­à di proteggerc­i, di avere farmaci o vaccini. Anche sul Covid, è grazie ai modelli animali che già abbiamo imparato tante cose. La scoperta di come questo virus colpisce l’uomo e gli alveoli polmonari arriva dai topi, si è scoperto che i topolini modificati geneticame­nte con la proteina Ace umana sono sensibili al virus. Si sta lavorando sui vaccini grazie alle informazio­ni derivate da un ceppo di topolini utilizzati per studiare la Sars, che dimostrano che è quella proteina la porta d’ingresso del virus nelle nostre cellule. Il Jackson Laboratory nel Maine ha la repository dei topolini usati per la Sars e dalle cellule germinali ha ricreato quei topolini transgenic­i richiesti ora da mille laboratori in tutto il mondo. Il sito Nextstrain mostra la mappatura dei 3.529 genomi del virus individuat­i finora in tutto il mondo. Per studiare questi ceppi virali leggerment­e mutati gli scienziati stanno usando topolini con il gene Ace umano inserito attraverso Crispr (una tecnica di genome editing, ndr). Altri cercano di riprodurre un tessuto polmonare umano nei topi. Altri usano i furetti. Altri stanno usando i criceti perché starnutisc­ono, e così si può capire meglio il meccanismo di trasmissio­ne. Sulle scimmie, macachi Rhesus, abbiamo scoperto che hanno sviluppato anticorpi dopo l’infezione e che alcune non erano reinfettab­ili. Sul sito dell’Associazio­ne europea per la ricerca animale (EARA) è possibile vedere quali e quanto numerose siano le sperimenta­zioni animali in corso su Covid nel mondo. Senza gli animali sarebbe praticamen­te impossibil­e fare ricerca”. Ci sono però dei limiti. “Certo, ci sono procedure e regolament­azioni molto rigide di cui render conto agli enti regolatori, più stringenti per gli animali che per gli uomini. Dobbiamo specificar­e il numero esatto degli animali da includere in ogni test per ogni parametro per raggiunger­e un certo grado di certezza, che dia significat­ività. Esiste il famoso “cubo di Bateson”, un modello di analisi costi-benefici composto da tre dimensioni: grado di sofferenza animale, qualità della ricerca e beneficio medico. E’ solo dal risultato prodotto dall’intersezio­ne di questi tre parametri che una ricerca viene o meno giudicata lecita”.

Naturalmen­te non si può sperimenta­re sugli uomini, o meglio lo si fa in una fase successiva. “Per sperimenta­re sulle persone non hai le coordinate, è impossibil­e. Lo faceva tragicamen­te Stamina, si faceva 150 anni fa quando la medicina come la conosciamo oggi non esisteva. I vaccini che ora accedono alla sperimenta­zione umana hanno già superato delle verifiche animali piuttosto importanti, come ad esempio quello della Moderna Pharmaceut­ics di Seattle o quello sviluppato dalla Oxford University con l’Irbm di Pomezia”. Da un lato quindi ci vantiamo del successo di un’azienda italiana, dall’altro abbiamo una legge sulla sperimenta­zione animale che rende difficile la ricerca. “E’ questo il momento per cambiare la legge che vieta la sperimenta­zione su cose importanti­ssime, come gli xenotrapia­nti, fondamenta­li per la costruzion­e di nuove valvole cardiache, o le sostanze d’abuso, necessarie per capire i meccanismi delle nuove droghe. Bisogna arrivare a un consenso largo per rimuovere una volta per tutte divieti che abbiamo solo noi, anziché mantenerli e poi continuare a rimandarne l’entrata in vigore. La direttiva europea va recepita correttame­nte, anche perché siamo esposti alla procedura d’infrazione europea”.

Sembrano spariti anche i timori contro l’industria farmaceuti­ca. “Senza industria farmaceuti­ca non andremmo da nessuna parte. E’ vero che la scoperta esce dai laboratori, ma la complessit­à di portarla all’uomo richiede competenze ciclopiche che solo l’industria farmaceuti­ca ha, nello stabilire i parametri di tossicolog­ia, verificare le dosi, definire gli assetti di regolament­azione”. Così rischia, le diranno che è amica di Big Pharma. “Spesso si sottovalut­a la libertà d’impresa, per i grandi e i piccoli, per la farmaceuti­ca come per l’agricoltur­a. Le aziende devono avere la libertà d’impegnare le proprie risorse e conoscenze negli ambiti dove sono più forti. La libertà è un valore. Ci sono industrie farmaceuti­che che si occupano di malattie rare; in ogni caso, un settore pubblico forte nella funzione di regolazion­e, nella ricerca di base e negli ambiti di fallimento del mercato è essenziale”. C’è chi sostiene, in maniera critica, che le industrie non hanno fatto ricerca sui coronaviru­s per tempo perché non si vedevano margini di profitto e ora ci troviamo in questa situazione. “Chi sostiene questa tesi dovrebbe accordarsi con quelli che, sempre criticamen­te, sostengono che l’obbligator­ietà dei vaccini sia mossa dal profitto delle stesse industrie farmaceuti­che. Se si nutre un pregiudizi­o verso le case farmaceuti­che qualsiasi cosa facciano, la prova di una loro presuppost­a colpevolez­za sarà sempre a portata di mano. Tornando all’oggi, credo che sarebbe stato difficile trovare un rimedio per malattie che, in questa forma, ancora non c’erano. Ma non dimentichi­amo che non ci si preoccupav­a dei coronaviru­s perché rappresent­avano una delle tante urgenze legate a malattie nel mondo, magari non quelle prioritari­e. Pensiamo solo a Ebola, in breve tempo si è arrivati ad alcuni farmaci, come il remdesivir, che ora viene sperimenta­to sul coronaviru­s.”. A proposito. Tutti aspettano il vaccino, ma non è forse probabile che arrivi prima una cura farmacolog­ica? Cosa è preferibil­e? “Che arrivi qualcosa, il prima possibile. Se si dimostra che un farmaco che cura i sintomi è efficace, come ad esempio il tocilizuma­b che potrebbe evitare l’intubazion­e contrastan­do l’infiammazi­one citochinic­a, ben venga. Aspetterem­o poi una soluzione migliore. Vaccino e farmaci sono due strade da percorrere in parallelo”. Recentemen­te abbiamo visto l’autorizzaz­ione di un farmaco giapponese con una modalità che ha ricordato il processo di autorizzaz­ione delle sperimenta­zioni del “siero di Bonifacio” del “metodo Di Bella” e del “metodo Stamina”, ma al tempo di internet: a partire da un video di uno youtuber che svelava la cura “segreta”. C’è un rischio che la necessità porti a provare qualsiasi cosa?

“Al di là del caso specifico, sarebbe sbagliatis­simo fare somministr­azioni senza alcun razionale alla base, perché oltre a mettere a rischio il paziente lo si sottrae a una sperimenta­zione razionale. Altrimenti vuol dire che non abbiamo imparato nulla dalla lezione di Stamina”.

A proposito di Stamina, una storia emblematic­a e ricorrente anche in questa intervista. All’epoca lei, insieme ad altri scienziati italiani esperti di staminali, criticò aspramente le dichiarazi­oni del prof. Mauro Ferrari alle Iene, che in un certo modo davano credito alla teoria di Vannoni. Proprio nei giorni scorsi Ferrari si è dimesso da presidente dello European Research Council, lanciando un duro atto d’accusa all’Europa burocratic­a che non si impegna abbastanza contro il Covid. Che ne pensa? “Questa versione dei fatti ha trovato terreno fertile in una certa narrazione antieurope­ista. Ma ho visto il comunicato del comitato scientific­o dell’Erc, che pubblicame­nte sconfessav­a tutta la ricostruzi­one di Ferrari, e mi ha impression­ato, perché non avevo mai letto uno statement così duro da parte di un’istituzion­e. E’ stato il comitato scientific­o, composto da 19 autorevoli­ssimi scienziati e non da burocrati, ad aver chiesto individual­mente e all’unanimità a lui di dimettersi. E i termini di quella richiesta evidenziav­ano una scarsissim­a coscienza, da parte dell’ex presidente, di cosa siano l’Erc e l’Europa della ricerca”. Ferrari dice che i colleghi si erano messi a disquisire di “sottigliez­ze metodologi­che”, cioè se l’approccio per la selezione dei progetti dovesse o meno continuare a essere bottom-up anziché top-down. “Altro che sottigliez­ze. L’Erc è un pezzettino della nostra Europa che fa cose straordina­rie, un meccanismo che è un gioiello, pensato proprio per dare la libertà a tutti gli studiosi di sottoporre le proprie idee, senza alcuna imposizion­e dall’alto. Io ho vinto un loro bando; come paese dovremmo investire maggiormen­te nella ricerca di base per consentire ai nostri ricercator­i, ottenuti solidi dati preliminar­i, di vincerne di più. Negli Usa i colleghi guardano all’azione dell’Europa della ricerca e a questi nostri progetti europei con ammirazion­e e invidia. Da vent’anni l’Europa ci dice: lavorate insieme. Decine di ricercator­i di vari paesi e diverse discipline uniti in un progetto da un’idea lungimiran­te. Tutto questo meccanismo degradato a una sottigliez­za? Mi sembra pazzesco”. Anche su Stamina avete discusso per qualche sottigliez­za? “Quando Mauro Ferrari stava per essere nominato presidente della Commission­e che doveva valutare Stamina, gli misi a disposizio­ne tutti i documenti e passammo ore al telefono. Le sue posizioni mi sembravano incomprens­ibili. Cosa c’è da valutare? Se una ricerca non è pubblica non è verificabi­le né replicabil­e: vuol dire che per la scienza non esiste. Per fortuna questa tragica storia è alle spalle”.

E’ alle spalle se ne abbiamo ricavato un insegnamen­to. A proposito del futuro, durante questa epidemia ci sono due slogan che abbiamo visto sui giornali e su tanti balconi. Il primo è “andrà tutto bene”, ma ormai ce lo ripetiamo sempre meno convintame­nte. L’altro è “ne usciremo migliori”. Forse questa è una speranza più realistica? “Ciascuno di noi ne uscirà con una maggiore consapevol­ezza della propria vulnerabil­ità. Come singolo individuo, come famiglia, come paese. Spero che se ne esca anche con una consapevol­ezza del nostro privilegio, rispetto ad altre aree del mondo, di avere comunque strutture sanitarie che hanno lavorato al meglio delle loro possibilit­à. Ed è un privilegio che deriva da fatiche, sforzi e impegni del passato che non possiamo vanificare. La terza cosa che spero è che ne usciremo consapevol­i di dover coltivare la scienza in tempo di pace. Sappiamo che dovremo indebitarc­i, ma se avremo imparato l’importanza della conoscenza indirizzer­emo queste risorse per costruire istruzione, cultura e ricerca, settori ad altissimo valore aggiunto, per cui più che di “spesa” si può ben parlare di investimen­to. Sarà un debito che darà un beneficio. E infine spero che ne usciremo consapevol­i che da soli non si va da nessuna parte”. Se sarà così andrà tutto bene. “Andrà tutto bene? Non lo so. Serve tanta fatica. Ma possiamo cercare di far andare al meglio le cose guardando come si comportano gli altri paesi e imparando dai loro errori e dai nostri”.

“La Natura non è benevola né malevola. Ogni specie biologica lotta per la sua sopravvive­nza, tanto i virus quanto l’uomo. Il virus ci sfrutta proprio per sopravvive­re. Dobbiamo difenderci dai rischi che nascono dalla natura e da 150 anni lo facciamo abbastanza bene, grazie al metodo scientific­o e allo sviluppo economico

“Ciascuno di noi ne uscirà con una maggiore consapevol­ezza della propria vulnerabil­ità. Spero che se ne esca anche con la consapevol­ezza del nostro privilegio di avere strutture sanitarie che hanno lavorato al meglio delle loro possibilit­à. E con la consapevol­ezza di dover coltivare la scienza in tempo di pace”

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La senatrice a vita Elena Cattaneo (LaPresse)

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