Il Fotografo

NON SOLO PAVONI a Prospect Park

Da Boston a New York, dalla Georgia a Castelfran­co Veneto alla scoperta delle imprevedib­ili sorprese che la natura offre nel suo dialogo costante con l’essere umano

- di Manuela De Leonardis

La fotografia a colori come memoria del ritmo della vita. Il tempo segna il suo andamento assecondan­do un processo fluido con la lentezza di andate e ritorni. Il dettaglio è parte del tutto, un momento unico di totale armonia. Tra assonanze e dissonanze, silenzi e rumori, emozioni e pathos, l’autrice colleziona singoli scatti che danno il ritmo al racconto scritto con la luce.

Almeno due volte alla settimana arriva in bici e poi cammina a lungo nel parco. Impossibil­e vedere due volte la stessa cosa. Anche se gli scorci naturali e le situazioni possono sembrare invariati, la visione è sempre imprevedib­ilmente diversa. Sarà anche per via della luce, delle persone, dell’ora, del clima: neve, tramonto, afa estiva, brezza, pioggia, nebbia...

L’elemento chiave che fa la differenza è la partecipaz­ione emotiva di Irina Rozovsky nel percepire e nel restituire attraverso la fotografia un sentimento di possibile connession­e con il tutto. In questo modo anche un parco urbano come Prospect Park a Brooklyn acquisisce le sfumature intense e liriche del paesaggio mentale. Tra i più grandi parchi di New York, Prospect Park si sviluppa su un’area verde di 237 ettari che comprende anche il lago, la cascata e lo zoo con i suoi 30 mila alberi, incluso l’Olmo di Camperdown, il Carpino Americano e l’Albero della Pagoda Giapponese o Sophora japonica. Progettato a metà del XIX secolo dagli architetti paesaggist­i Frederick Law Olmsted e Calvert Vaux è frequentat­o da circa 10 milioni di visitatori l’anno e da animali di specie diverse, tra cui uccelli migratori e acquatici, pavoni, pesci, tartarughe e rane toro. Tuttavia, il modo di raccontarl­o di Rozovsky sembra alludere più al miraggio che non alla trascrizio­ne del reale.

La fotografa ha creato questo corpus da cui è nato il libro In Plain Air – il progetto è durato nove anni –. Ha iniziato nel 2011 quando viveva a New York scattando la maggior parte delle immagini fino al 2014, altre si sono aggiunte durante i successivi soggiorni nella Grande Mela.

Il linguaggio della fotografia a colori è quello che sente più consono alle proprie sensazioni. «Ho iniziato studiando la fotografia in bianco e nero che è bellissima, ma quando sono passata al colore ho capito che sarebbe stato un punto di non ritorno. Fotografar­e a colori è come avere una realtà ipersensib­ilizzata. È più in relazione con il sentimento. Mi interessa molto il ruolo del colore nella pittura di Josef Albers e, in generale, la teoria dei colori e quegli aspetti psicologic­i determinat­i dal cambiament­o del colore», afferma l’autrice.

Del resto è proprio una fotografia del sentimento e dell’istinto quella di Irina Rozovsky che sembra proiettata nel racconto visivo di un’altra memoria. Osservando le persone, da sole o in compagnia, le famiglie del subcontine­nte indiano o quelle africane o di altre etnie nei momenti di svago, ozio, spensierat­ezza e relax, coglie quel senso di appartenen­za a un luogo che si ricollega a un altrove radicato nell’esperienza dei protagonis­ti. In questo modo le inquadratu­re di matrice cinematogr­afica delle acque del parco possono, per esempio, indirizzar­e la decodifica­zione iconografi­ca verso un ipotetico fiume Congo, il Gange o magari il Mississipp­i, sulle cui sponde c’è sempre chi pesca o fuma una sigaretta.

Nel verde dei cespugli, lungo i sentieri o sotto gli alberi antichi, poi c’è sempre qualcuno che parla, si bacia e si abbraccia, o magari litiga, mangia o beve, gioca a palla, legge, ascolta la musica o suona la chitarra, porta a spasso il cane: generazion­i a confronto in un frammento di quotidiani­tà che si dilata al di là del tempo. «La fotografia deve essere un rapimento dell’istante», continua Rozovsky. «La cosa più importante per me è avere una connession­e emotiva con quello che sto guardando. La fotografia per me è come un terzo occhio.

Il mio lavoro è più collegato agli stati mentali che non a specifici luoghi geografici. Il metodo è essere libera, ma avere consapevol­ezza del contesto. Nel progetto su Prospect Park non volevo realizzare una documentaz­ione su come vive la gente di Brooklyn. C’è anche l’idea del melting pot dell’America che è una visione, ma è anche il fluire della vita».

Il senso di meraviglia che attraversa le immagini in parte è anche quello che appartiene al vissuto della stessa Rozovsky, la cui esperienza personale è legata alla migrazione ebraica dalla Russia negli Stati Uniti. Nel 1988 la fotografa era una bambina di 7 anni e con la famiglia lasciò Mosca facendo una prima breve tappa a Vienna per proseguire per l’Italia, dove sostò per tre mesi a Ladispoli, sul litorale a Nord di Roma. «Ricordo la sensazione del viaggio ma non i motivi né il luogo dove eravamo diretti. Eravamo interi gruppi di persone e a Ladispoli si viveva in tanti. Era tutto molto stimolante: la libertà, il sentirsi vivi dei miei genitori, la spiaggia con la sabbia nera così come uno stupido giocattolo trovato nel pacchetto di patatine che diventava qualcosa di speciale.

«È realtà, naturalmen­te, ma con un approccio di fantasia»

Irina Rozovsky

Ho una memoria luminosa di quel periodo. Per la prima volta, poi, ho vissuto il forte sentimento di appartenen­za alla comunità ebraica con la celebrazio­ne del rituale del Seder con tanti bambini russi che cantavano e pregavano. Era qualcosa di nuovo per me perché in Russia non praticavam­o la religione ebraica. Credo che quest’esperienza sia presente anche nel mio lavoro di fotografa, ma non in maniera intenziona­le. In fondo il vissuto di ognuno di noi si riflette nel nostro lavoro. Nel mio, certamente, è la sensazione di meraviglia che mi accompagna. Nei miei tre libri credo, soprattutt­o, che ci sia sempre questo senso di stupore verso le persone che provengono da un altro luogo, in cerca di appartenen­za».

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 ?? ?? In questa e nelle altre pagine | Irina Rozovsky, immagini da In Plain Air (MACK, 2021) Courtesy the artist e MACK
In questa e nelle altre pagine | Irina Rozovsky, immagini da In Plain Air (MACK, 2021) Courtesy the artist e MACK
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 ?? ?? In questa e le pagine seguenti | Irina Rozovsky, serie Natura, 2021 Courtesy the artist e OMNEFEST
In questa e le pagine seguenti | Irina Rozovsky, serie Natura, 2021 Courtesy the artist e OMNEFEST
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