Il Giornale della Vela

SULLA ROTTA DEL CORALLO

da Genova a Carloforte passando per la Corsica

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Avanti piano. Un gorgo nero esce dalla poppa di Ottobre blu e rimbalza sulla banchina del Porto Antico di Genova. Quest’anno andiamo a cercare un pezzo di Genova che la storia ha incastrato a sud della Sardegna, sull’isola di San Pietro, a Carloforte. Partiamo da Genova nel primo pomeriggio verso Cagliari. Con me ci sono Andrea e Roberto. A Cagliari Ottobre blu (un Oceanis 41) starà una settimana ad attendere l’inizio delle nostre vacanze. È una rotta che i pescatori di corallo di Carloforte hanno percorso per secoli. E prima di loro, i loro antenati, proseguiva­no verso sud per un altro giorno di navigazion­e fino all’isola Tabarka, ad un passo dalla costa africana, al confine fra la Tunisia e l’Algeria. La storia di questa comunità inizia nel 1543 quando Francesco Lomellini, capo di una potente famiglia di Pegli alleata dei Doria, ottenne dal bey di Tunisi la concession­e per la pesca del corallo a Tabarka. Per alcuni secoli la bandiera dei Doria sventolò in terra ottomana. Per capire questa bizzarria bisogna andare indietro di altri tre anni, rimanendo sulla stessa rotta che taglia il Tirreno da nord a sud. Il corsaro ottomano Dragut, in una delle sue scorriband­e per il nostro mare, aveva conquistat­o Capraia e fatto prigionier­i oltre cento abitanti. Si era diretto con la sua flotta e i prigionier­i a Bastia per attendere che un colpo di Maestrale cessasse. Poi era risalito verso la Giraglia ed era sceso lungo la costa occidental­e della Corsica per sostare nell’ampia baia della Girolata. La flotta di Andrea Doria si lanciò però in soccorso dei capraiesi e sorprese Dragut all’interno della Girolata catturando il corsaro. La galera che catturò Dragut appartenev­a alla famiglia dei Lomellini. Dragut rimase prigionier­o di Andrea Doria per quattro anni. Ma i genovesi decisero di liberarlo ricevendo un colossale riscatto pagato da Khayr al-Din Barbarossa, il comandante

della flotta ottomana. Dell’accordo faceva parte la concession­e per la pesca del corallo a Tabarka a favore dei Lomellini di Pegli a cui la ricompensa era dovuta come proprietar­i della nave che aveva catturato il corsaro. Considerat­e le successive imprese di Dragut, quel corallo costò molto sangue, oltre alla fatica dei pescatori tabarchini. Partirono in centinaia da Pegli per le coste tunisine. Colonizzar­ono Tabarka, commercian­do il corallo ma non solo. Per conto dei Lomellini portavano a Genova anche cera, lana, cuoio. Erano navigatori eccellenti e grandi lavoratori. Mantennero una fortissima coesione e un grande legame con Genova. A metà del sec. XVIII però il corallo a Tabarka si esaurì e i rapporti con il bey di Tunisi divennero difficili. I tabarkini decisero di andarsene. Nel 1738 ottennero del re di Sardegna Carlo Emanuele III il permesso di occupare quella che allora si chiamava isola degli Sparvieri, a est della quale tante volte si erano riparati aspettando che passasse il Maestrale prima di proseguire verso l’Africa. Chiamarono il paese Carloforte in onore del Re. La gente dell’isola è ancora genovese, con un pezzo di Tunisia nel cuore. Sulla loro stessa rotta attraverse­remo il Tirreno.

Verso Cagliari. Riusciamo al tramonto a prendere la coda dello scirocco: 12-15 nodi di bolina per un’ora, sempre assieme a due delfini. Poi il vento svanisce e con lui i delfini. A notte fonda, quando ormai abbiamo Centuri al traverso, la poppa di Ottobre blu si illumina e lascia dietro di sé una scia fosforesce­nte: è il plancton. Un magia della navigazion­e notturna. A proposito di navigazion­e notturna, poco dopo abbiamo l’occasione di sperimenta­re l’utilità del nuovo gadget elettronic­o da quest’anno installato su Ottobre blu. È un AIS receiver. Alla nostra poppa compare una luce che presto diventa una massa informe di luci. Impossibil­e individuar­e le luci di posizione, impossibil­e ca-

Sulle tracce di un pezzo di Genova che sopravvive in Sardegna. Una storia e un viaggio in barca alla scoperta del sud ovest dell’Isola in luoghi incantevol­i a mare e a terra. Un portolano con tanti spunti utili di esperienze di navigazion­e di Carlo Rimini e Claudia Balzarini

A est di Capo di Pula facciamo il bagno tra i resti dell’anticacitt­à di Nora, fondata dai Fenici, poi punica e infine romana

pire dove sta andando e a che distanza è. È un’esperienza che chiunque abbia navigato di notte ha provato: il buio toglie la prospettiv­a e impedisce di calcolare le distanze. Il nostro AIS è collegato ad un multiplexe­r che trasmette tutti dati di navigazion­e in codice NMEA ad una rete wi-if a cui qualunque dispositiv­o elettronic­o può collegarsi. Basta installare su un tablet uno dei tanti software che leggono il codice MNEA per avere sullo schermo la situazione di tutte le navi attorno a noi. Appena aperto il programma capiamo la natura della massa informe di luci: due navi passeggeri avanzano a 20 nodi sulla nostra stessa rotta a un miglio di distanza l’una dall’altra. Secondo il nostro lettore AIS la prima delle due passerà a cento metri di distanza da noi sulla nostra sinistra, l’altra invece passerà esattament­e sopra di noi qualche minuto dopo. Poiché il sistema AIS trasmette oltre alla rotta e alla velocità, anche il nome dell’imbarcazio­ne, chiamiamo sul 16 la più vicina. Ci rispondono subito, cortesi. Chiediamo se ci hanno visto sul radar e loro confermano. Ci chiedono la nostra rotta e confermano che ci passeranno a babordo: accosteran­no qualche grado a sinistra per passare un po’ più lontani. Sullo visore AIS si vede nitidament­e che la prima nave accosta a sinistra. Cambia anche colore: da rossa diventa verde ad indicare che non costituisc­e più un pericolo. Dopo pochi minuti passano entrambe, prima quella a sinistra, poi quella a destra: viste da Ottobre blu sembrano immense. La Corsica scorre via veloce. Ci fermiamo solo per un bagno alla Girolata poco a sud della Scandola: sono posti stupendi. Punta Palazzu è una cattedrale gotica scolpita dal Maestrale: un leone di roccia da secoli cerca di scacciare un animale fantastico. Proprio qui la galera dei Lomellini catturò il corsaro Dragut. Anche nel giugno del 1540 l’acqua era turchese e trasparent­e, ma si consumò una battaglia tremenda durante la quale i genovesi di Andrea Doria chiusero sul fondo della baia il corsaro ottomano che si lasciò sorprender­e. Se quel giorno la galera dei Lomellini non avesse dato l’assalto finale alla nave di Dragut, oggi a Carloforte le gioielleri­e non venderebbe­ro corallo e nei ristoranti non si mangerebbe il couscous e il pesto genovese. Decidiamo di passare a est della Sardegna: la rotta è un po’ più corta ed è protetta dal Maestrale che dovrebbe arrivare a sud ovest della Sardegna fino a 30 nodi. Entriamo a Bonifacio all’ora del tramonto per fare gasolio. C’è un distributo­re automatico raggiungib­ile a piedi e ci si arrangia con una tanica. Uscire da Bonifacio dopo il tramonto è un’esperienza unica. Si passa in un istante dalla mondanità dei ristoranti e degli yacht di lusso al silenzio del mare. Nel buio di una notte senza luna e senza vento ci sono solo le luci dei fari e dei fanali. Se spegnessim­o il gps, capiremmo se siamo veri marinai! Puntiamo sul segnale cardinale sud di Lavezzi: sei lampi seguiti da un lampo continuo. Passiamo a sud di Lavezzi e a nord di Razzoli, della Maddalena e di Caprera. Quando Caprera è a poppa, facciamo rotta verso gli isolotti dei Monaci, lasciando a sud la secca con il suo segnale scintillan­te bianco continuo. Da lì alla Punta del Timone a nord della Tavolara la rotta è per 154°. La sera dopo siamo a Porto Corallo (a luglio ¤52 a notte per la nostra barca di 41 piedi). Ceniamo al ristorante dietro il marina e ci fermiamo per la notte. All’alba ci svegliamo assieme al Maestrale. Facciamo 40 miglia con il vento al lasco: scende a raffiche dal Monte Genis e dai Sette Fratelli. Passiamo fra Capo Carbonara e l’Isola dei Cavoli. Appena doppiato il capo, il Maestrale ci fa capire che fino a quel momento aveva scherzato: sono oltre 20 nodi e ora li abbiamo proprio in faccia. Impieghiam­o un’eternità ad arrivare a Cagliari. Arrivando da sud-est, per molto tempo, l’unica cosa che si vede della città è Capo S. Elia: un maestoso blocco di pietra che giustifica l’antico nome di Cagliari: Karalis, città (ma anche comunità) di pietra. È una

terra rocciosa per gente dura.

Da Cagliari a Marina di Teulada. Ottobre blu riprende la sua strada dopo una settimana di sosta alle banchine del Marina del Sole. È il più economico marina della città (¤235 per sei notti) ma è lontano dal centro (circa 20 minuti a piedi). A bordo con me c’è un nuovo equipaggio: Claudia, Bianca, Alice, Matilde. Poi c’è il nostro piccolo levriero Diana. Da anni ormai scruta l’orizzonte seduta sui cuscini del pozzetto. Mettiamo la prua verso Ovest. Ci fermiamo per il pranzo a Capo di Pula. Prendiamo subito contatto con le due caratteris­tiche di questi luoghi: sono posti bellissimi e deserti. La rada a Sud-Est di Capo di Pula è un posto particolar­e. L’acqua è trasparent­e e si fa il bagno guardando i resti dell’antica città di Nora, fondata dai Fenici, poi punica ed infine romana. Con il tender scendiamo a terra e passeggiam­o nell’antico edificio delle terme. È l’ultima domenica di luglio e Ottobre blu è l’unica barca in rada! Per la notte ci fermiamo nella baia della Tuaredda, a est di Capo Malfatano: perfettame­nte protetta dal Maestrale, esposta allo scirocco. La baia è stupenda e quasi incontamin­ata (ci sono due ristoranti sulla spiaggia). È stata oggetto di un tentativo di intenso sfruttamen­to turistico che prevedeva la costruzion­e di un grande residence. Il progetto è stato sventato dal pastore sardo Ovidio Marras: le costruzion­i sarebbero dovute sorgere su un terreno sul quale il signor Marras aveva una servitù di passaggio, usata da tempo immemorabi­le dalla sua famiglia per portare le pecore al pascolo. Il signor Marras ha vinto la sua battaglia e Capo Malfatano è rimasto quello che era: delimita una delle più belle baie del Mediterran­eo. Si può salire alla torre di avvistamen­to dando ancora in una insenatura nella parte ovest della baia: da qui (38°53,36’ N 8°48,09’ E) si trova facilmente la strada per la torre, costruita nel 1578. Il panorama dai piedi della torre (sulla quale non si può salire) è spettacola­re. Purtroppo la nostra notte in rada è agitata da un fastidioso Levante alzato da una piccola depression­e centrata sul golfo di Tunisi. La mattina dopo, spinti da un vento da est di 25 nodi, ripariamo al Marina di Teulada. Nonostante le previsioni meteo non favorevoli, non c’è nessun problema a trovare posto. È un bel porto (a luglio spendiamo ¤64 a notte) con personale gentile, ma è in mezzo al nulla. C’è solo un campeggio a pochi minuti di cammino dove si trova un piccolo (molto piccolo!) market (il pane però è buono). Per raggiunger­e Teulada c’è un autobus: passa poche volte al giorno ad orari imprecisi. Si può però chiamare un taxi. In alternativ­a, c’è il locale per aperitivi al porto (Tiro Vino): eccellente sia la carta dei vini, sia il tagliere di pesce.

Da Marina di Teulada a Calasetta. Finalmente la depression­e su Tunisi si muove, seppur lentamente, verso levante e noi possiamo riprendere il mare verso Ovest. Vorremmo fermarci a Porto Zafferano: una baia a est dell’istmo di Capo Teulada. C’è una grande spiaggia di sabbia bianca ed è assolutame­nte deserta. Il vento da est però alza un po’ di onda. Preferiamo andare a Porto Pino, a ovest del capo, e dare ancora vicino alla grande duna: Is Arenas Blancas (attenzione alla zona di interdizio­ne all’ancoraggio che termina proprio in corrispond­enza della duna). La spiaggia, la duna e il colore dell’acqua sembrano usciti da una cartolina. Con noi solo altre quattro barche davanti ad una spiaggia di centinaia di metri. L’ormai pigro vento da est accompagna il nostro aperitivo serale fino all’Isola della Vacca, a sud di Sant’Antioco. A mezzo miglio dalla costa, bisogna fare attenzione alla secca della Vacca: ci sono i resti della struttura di sostegno di un vecchio segnale, ma il segnale non c’e più. Procediamo a motore lungo la costa occidental­e di Sant’Antioco. Abbiamo prenotato un posto per la notte a Calasetta (¤72 a notte ad agosto). Anche qui prenotare non è stato un problema: per tut-

to il nostro viaggio non abbiamo mai avuto un problema a trovare posto in porto, mai abbiamo dovuto garantire l’arrivo entro una certa ora del pomeriggio, mai abbiamo dovuto pagare un acconto. È proprio un altro modo rispetto al nord della Sardegna. Arriviamo dopo le 9.00 di sera, ma l’ormeggiato­re ci ha aspettato con la consueta disponibil­ità della gente di qui. La gente di qui è sempre gentile. È asciutta, all’inizio pare scontrosa; poi si apre e diventa accoglient­e. È come questa terra: secca, sferzata dal vento e meraviglio­sa. Calasetta è un paese ancora abitato dalla gente del luogo. Le case sono tutte bianche, costruite alla fine del XVIII sec. per ordine di Carlo Emanuele III per ospitare un secondo gruppo di coloni provenient­i da Tabarka (i primi erano arrivati a Carloforte trenta anni prima). Andiamo alla Trattoria Pasqualino, seguendo il consiglio di una persona del posto, un amico di un amico. È una immersione nei sapori di qui, senza concession­i turistiche. Le fregole ai frutti di mare sono un’esperienza eccellente. Il fritto misto è freschissi­mo e leggero. Il piatto locale del giorno è la capponata di tonno, da consigliar­e solo a chi ama i sapori forti. Passiamo una notte in rada davanti all’Isola Piana. È un bel posto tranquillo. Sull’isola è stata attiva una tonnara dal 1698 fino al 1968. Nel 1711 la tonnara fu acquistata da Don Francesco Pes, a cui fu concesso il titolo di Marchese di Villamarin­a. La famiglia, che nel secolo successivo ebbe un ruolo importante nella vita politica e culturale sarda, si occupò intensamen­te della tonnara fissando sull’isola una delle proprie residenze. Ora il piccolo palazzetto e gli edifici della tonnara sono stati trasformat­i in un resort.

Carloforte. Finalmente arriviamo a Carloforte. Passiamo quattro notti al Marine Siffredi (¤ 75 a notte ad agosto). È un marina moderno, con spazi di manovra insolitame­nte ampi. Il paese è bello. Un turismo vivace ma non chiassoso permette di dimenticar­e ciò che ha caratteriz­zato per secoli la dura vita di questa comunità che ha vagato per il Mediterran­eo da nord a sud: la pesca del corallo, prima a Tabarka e poi qui, le tonnare, i viaggi per mare, trasportan­do corallo e altra merce per i Lomellini e poi i minerali estratti dalle miniere del Sulcis. Non si possono invece dimenticar­e le origini genovesi. Fra i banchetti dei venditori ambulanti e i tavolini dei caffè all’aperto, gli anziani parlano ancora un dialetto ligure e a qualche angolo di strada pare di essere a Pegli. Ma anche la Tunisia ha impresso il suo segno: nei ristoranti si mangia il couscous ai frutti di mare e il pesto alla tabarkina. Noi ceniamo da Andrea alla Trattoria della Tonnara: il tonno è il signore incontrast­ato di una cena notevole. La tartare di tonno ha una punta di zenzero per ricordare terre e storie lontane. Il corallo è invece il signore incontrast­ato nelle vetrine delle gioielleri­e, segno di una tradizione ancora viva. Passiamo un giorno a Cala Fico, a metà della costa occidental­e. È una stretta insenatura bellissima, con le rocce modellate dal Maestrale a strapiombo nel mare. Siamo l’unica barca nella rada. Vicino all’imboccatur­a della rada (a nord) c’è una grotta bellissima. Siamo soli a visitarla con il nostro tender: il motore elettrico permette di sentire i rumori della grotta (non torneremmo mai ad un fuoribordo a benzina per il tender!). Stiamo una notte in rada a La Caletta, sempre sulla costa occidental­e, confortati dalla presenza di altre barche (cosa si è costretti a pensare ad agosto da queste parti!). L’ampia rada è bella, se non fosse per un “ecomostro orribile”, per indicarlo come punto cospicuo (a proposito, hanno fatto un lavoro eccellente nella descrizion­e di questo tratto di costa). Poco più a sud c’è un’ampia baia circolare: la Mezzaluna. Le rocce rosse alte 30 metri

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 ??  ?? La grande duna (Is Arenas Blancas) di Porto Pino.
La grande duna (Is Arenas Blancas) di Porto Pino.
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 ??  ?? La Tuaredda, una stupenda baia a est di Capo Malfatano.
La Tuaredda, una stupenda baia a est di Capo Malfatano.
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