LA BARCA ECOLOGICA 2.0
All’ombra della Mole giovanissimi cervelli progettano e realizzano derive acrobatiche performanti in materiali sostenibili: sono gli skiff del Politecnico di Torino
Gli studenti del Politecnico di Torino hanno realizzato una barca con materiali ecologici
C’è un laboratorio, a 150 km dal mare e alle pendici delle Alpi, dove una settantina di giovani (l’età media è 22 anni) pensano, progettano e realizzano le derive del futuro: veloci, ultraleggere ed ecologiche. Sono i ragazzi del Polito Sailing Team, il gruppo studentesco del Politecnico di Torino. “Tutto è iniziato nel 2014 per partecipare alla competizione universitaria 1001VelaCup, una regata dove si sfidano barche realizzate dagli studenti dei più importanti atenei internazionali”, ci ha raccontato Domenico Castellano, attuale teamleader del gruppo, al TAG Heuer VELAFestival, dove il Polito era presente con una delle sue barche, la deriva acrobatica Numen.
UNA BOX RULE “ECO” Lasciando da parte il lato puramente agonistico, la 1001VelaCup è interessante perché prevede una “box rule” particolare: “Le barche devono essere skiff, ovvero derive plananti, ultraleggere e dotate di terrazze e rispettare il regolamento di classe R3: possono essere lunghe un massimo di 4,60 metri, con larghezza fuori tutto di 2,10, terrazze comprese. C’è massima libertà per quanto riguarda la configurazione dell’armo e l’altezza dell’albero, basta che la superficie velica non superi i 33 metri quadri distribuiti tra fiocco, randa e gennaker”. Ma il fattore che più ci ha incuriosito è la componente eco: “I vincoli imposti dalla competizione, richiedono l’utilizzo per il 70% del peso della barca di materiali naturali, oppure il 75% se si utilizzano materiali riciclabili e bio”.
IN PRINCIPIO FU EVA Il primo prototipo a essere costruito dal team è stato “Eva”: a seguito di uno studio sui possibili materiali da utilizzare, è stato scelto di realizzare uno scafo in sandwich, costituito dalla pelle di fibra di lino e core di balsa, mentre per la coperta e la struttura è stata usata una pelle in fibra di vetro; in entrambe le realizzazioni è stata sperimentata una resina epossidica “Super Soap”, realizzata con materie prime provenienti da prodotti riciclati e biomasse. “Poi è stata la volta di Atka, tra il 2015 e il 2016”, racconta Domenico: “Siamo riusciti ad alleggerire la barca, migliorandone la solidità e il lato estetico, orientandoci su differenti materie prime. Lo scafo è stato realizzato grazie con un sandwich di balsa, fibra di vetro e basalto per le pelli e balsa per il core; anche la coperta e la struttura interna sono state rinnovate con l’impiego di compensato okumé”. Nel 2018, Atka ha vinto l’argento alla 1001VelaCup, per ora il miglior risultato ottenuto dal Polito Sailing Team. Nel 2016/17 è arrivata Numen (la barca che abbiamo potuto toccare con mano al VELAFestival. Questo terzo progetto ha rappresentato la svolta professionale del gruppo: il prototipo
di skiff è stato realizzato interamente dal team universitario, coordinato dalla prof. Giuliana Mattiazzo. Si tratta, infatti, di una barca laboratorio “self made”, un prototipo apripista verso un campo molto vasto e complesso della vela, in cui lo studio dei materiali e soluzioni tecniche sono assolutamente innovative. Il nuovo modello è stato realizzato prestando particolare attenzione alla valutazione degli stress meccanici e alla loro distribuzione sullo scafo, al fine di effettuarne la validazione. Di conseguenza sono stati adottati materiali quali il lino, la coperta è stata prodotta in sandwich utilizzando uno stampo per ridurne il peso. “Siamo arrivati a uno scafo pesante 85 chili: dato che la fibra di lino e la balsa offrono una resistenza meccanica minore rispetto alla fibra di vetro o al carbonio, abbiamo comunque dovuto intervenire con molti rinforzi”, racconta Domenico.
LA BARCA “DI LAVA”
Attualmente, sono in produzione nel cantiere del team due prototipi. Il primo, ITA38 (è il nome di progetto: la barca si chiamerà Fénix), trae ispirazione da Atka: “Abbiamo intensificato gli sforzi per migliorare il progetto. Siamo partiti da Atka, modificandone principalmente i circuiti, le regolazioni, l’altezza delle terrazze. In termini di performance allo stato attuale i risultati ottenuti sono più che soddisfacenti: nelle zone più sollecitate dello scafo, la ricerca di materiali innovativi ci porta all’utilizzo di una speciale fibra di basalto dalle alte caratteristiche meccaniche che con core di balsa o PET garantisce, insieme al minimo quantitativo di fibre di vetro, uno scafo in sandwich di circa 25 kg al quale va aggiunto il peso di struttura interna e coperta (anche loro accuratamente dimensionate) per un totale di soli 47 chili (4,60 x 1,48 m)”. La fibra di basalto, materiale di origine lavica, è già stata utilizzata con successo nel mondo della vela: nel 2014 l’austriaco Harald Sedlacek ha attraversato da solo l’Atlantico dalle coste spagnole a Palm Beach in Florida con Fipofix, una barca di soli 4,90 metri, costruita con fibre basaltiche. “Non solo presenta ottime caratteristiche di impermeabilità e resistenza meccanica”,
prosegue Castellano, “ma la sua origine organica lo rende riciclabile ed ecologico. Ha un punto di fusione più alto rispetto all’epossidica per cui, durante la pirolisi (il processo di combustione per lo smaltimento della resina), è possibile recuperare la fibra basaltica al 100%. Inoltre abbiamo utilizzato delle resine bio, ottenute da un alto contenuto di carbonio di origine vegetale”.
LA “SVOLTA” DI ITA48
L’ultima fatica dei ragazzi del Politecnico, è ITA48,
sviluppata in contemporanea con ITA38: “In questo caso è cambiato il nostro approccio alla costruzione: prendendo spunto dallo studio del picco di performance sul range del vento valutato in base a statistiche del campo di regata negli ultimi dieci anni (la 1001VelaCup si tiene a Mondello, in Sicilia), abbiamo sviluppato un nuovo design dell’imbarcazione con nuove geometrie dello scafo che ha por
tato a molte innovazioni, tra le quali lo studio di ben due piani velici e una mastra che permette di cambiare l’angolo di incidenza del timone a T. Lunga 4,60 metri e larga solo 1,20, la barca pesa solo 45 chili ed è stata ottimizzata per 4-8 nodi di vento, le condizioni che presumibilmente andremo ad incontrare a Mondello”. Parallelamente allo sviluppo dei progetti, l’area di ricerca si è impegnata nello sviluppo di un modello VPP (Velocity Prediction Program) statico e dinamico per una valutazione preliminare delle prestazioni della barca in funzione della sua configurazione. Uno strumento progettuale da usare per la realizzazione delle nuove barche, sfruttando dati sperimentali e dati ottenuti mediante modelli numerici e CFD (Computational Fluid Dynamics).
LAUREANDI & ORGANIZZATI
La buona riuscita dei progetti non può prescindere dall’organizzazione della squadra. Il Polito Sailing Team è strutturato in sette aree, spiega Castellano: “Il management si occupa della gestione e del reperimento dei fondi oltre che della comunicazione; i velisti sono i ‘tester’ delle barche che realizziamo, l’area ‘strutture ed esecutivo’ fa da ponte tra il progetto e il cantiere. Poi c’è la squadra che lavora in cantiere e due gruppi di ricerca: uno si occupa della fluidodinamica e uno della dinamica”. Quest’ultimo ha realizzato il VPP statico di cui sopra. La prossima sfida del team (oltre alla 1001VelaCup 2019, a settembre) è la partecipazione alla SuMoth Challenge nell’ambito della Foiling Week 2020: ovvero progettare e costruire una barca volante dotata di foil della classe Moth tenendo conto degli impatti ambientali, sociali ed economici del processo di produzione. Ed è così, tra performance e sostenibilità, che stanno crescendo i designer del futuro.