Il racconto di un grande scrittore velista
Pubblichiamo, in esclusiva per voi, il racconto di un grande scrittore e velista, Pietro Grossi. "Che Cosa Cerchiamo" é ambientato subito dopu una brutta, bruttissima tempest. Girate pagina per immergervi nella lettura, ma prima vi diamo un consiglio: leggetelo con calma ! e godervi appieno questa bellissima storia di mare
Sedevo rannicchiato sul ponte e sentivo il teak rigarmi la pelle. Mi teneva caldo una felpa, scartavetravo e davo la coppale sulla tuga del Rizla.
Marco e il tedesco cercavano di aprire le ganasce piegate dell’albero. Di quello che rimaneva dell’albero. Un mezzo tronco scomposto a metà barca, come l’osso spezzato di gabbiano. Forzavano i bulloni e si fermavano e osservavano e bestemmiavano. L’odore dolce della coppale si mescolava al sale e a quello lontano del pesce. La sollevai con il pennello e la feci ricolare nel barattolo, era morbida e sicura. Staccai un pezzo di ferro rimasto incastrato nella falchetta, accanto a un candeliere spezzato. Il vecchio mise un piede sulla passerella, aspettò un secondo e salì. Era una cosa che non faceva mai. Aspettare, dico, salire con prudenza.
Di solito lo faceva di corsa, senza fermarsi. Aveva i capelli spettinati e sembrava più anziano con quei pantaloncini e quelle tre rughe a traverso della fronte.
Teneva al petto, con la mano, un sacchetto di carta marrone. Erano mani forti e gentili, le sue. Mani di cui ti potevi fidare. Poggiò un piede in pozzetto e sparì sotto coperta.
Marco diede un calcio alla base dell’albero e mise le mani sui fianchi, il viso contratto. Alzò gli occhi chiusi al cielo. Era un buon timoniere, Marco. Aveva in testa una bandana, indosso un paio di jeans tagliati e una maglietta bucata. Il tedesco armeggiava ancora con un bullone.
Il vecchio tornò fuori con un vasetto di plastica in mano e un cucchiaino. Si mise a sedere sulla tuga, poco lontano da me, con i piedi sul ponte.
– Occhio che lì è fresco.
Lui guardò in basso e tornò a fissare il vasetto.
– Che mangi? – chiesi.
– Uno yogurt. – Da quando mangi yogurt?
– Da stamani.
– È buono?
– Spero. Sa di sano.
Silenzio.
– Ti piace l’Ovni? – domandò con lo yogurt in bocca.
Guardai accanto.
– Sono brutte, ma solide – dissi. – Hanno la chiglia abbattibile.
– Sì, lo so, sono furbe.
Silenzio.
– Il legno è più bello.
– Mah.
Sembrava stupida, d’un tratto, quella parola: bello. Il vecchio girò la testa verso Marco e il tedesco che lottavano con il mozzicone dell’albero. Prese una cucchiaiata di yogurt.
“...quello che rimaneva dell’albero. Un mezzo tronco scomposto a metà barca, come l’osso spezzato di gabbiano...”
– Come vanno i lavori? – chiese.
– Non c’è male. Con calma.
– Bisogno di una mano?
– Io no. E loro mi sa che è meglio lasciarli soli.
– Mi sa anche a me. Gli altri dove sono? – A terra, da qualche parte. Hanno detto che volevano fare un giro.
– Come stanno?
– Così – dissi.
Il vecchio alzò lo sguardo sulle drizze dell’Ovni che scampanellavano.
– Lo sai che il tedesco ha lasciato la moglie per venire con noi? – disse. – Quando torna a Monaco la ritrova. – Bisogna vedere se lei ritrova lui. Mi fermai un momento e staccai coi denti un pezzetto di unghia.
– Gran bel pezzo di figliola – disse lui. – Già, occhi azzurri e culo tondo. Sorridemmo. Il vecchio prese una cucchiaiata di yogurt.
– Ce n’è parecchio in quel vasetto – dissi.
– Me lo faccio durare.
Raschiò un po’ il bordo e prese un’altra cucchiaiata. Io intanto cercavo di levarmi della coppale appiccicata a un dito. – Secondo te dovevamo uscire? Diosanto, pensai.
– Avevamo fretta.
– Lo so, – disse lui – ma forse non dovevamo uscire.
Presi lo straccio e me lo passai sulle mani.
– Era un bravo ragazzo – disse.
– Sì, era un bravo ragazzo. È stata una brutta tempesta. – Non lo so, forse non dovevamo uscire. Continuava a raschiare i bordi del vasetto.
– Credo siano cose che non si decidono – dissi.
Silenzio.
– Forse.
Il vecchio raschiò ancora e prese l’ultima cucchiaiata.
Osservò il vasetto vuoto, si alzò e andò verso la scaletta. Poco prima di scendere si fermò, fece come per dire qualcosa, poi ci ripensò e sparì sottocoperta.
Io mi imbambolai sullo spazio dove si era fermato, poi immersi il pennello nel barattolo.
Lo strusciai contro i bordi per levare l’eccesso e ripresi a stendere la coppale. Non mancava molto ormai, per finire.