Il Giornale della Vela

Il racconto di un grande scrittore velista

- di Pietro Grossi Illustrazi­one di Luca Tagliafico

Pubblichia­mo, in esclusiva per voi, il racconto di un grande scrittore e velista, Pietro Grossi. "Che Cosa Cerchiamo" é ambientato subito dopu una brutta, bruttissim­a tempest. Girate pagina per immergervi nella lettura, ma prima vi diamo un consiglio: leggetelo con calma ! e godervi appieno questa bellissima storia di mare

Sedevo rannicchia­to sul ponte e sentivo il teak rigarmi la pelle. Mi teneva caldo una felpa, scartavetr­avo e davo la coppale sulla tuga del Rizla.

Marco e il tedesco cercavano di aprire le ganasce piegate dell’albero. Di quello che rimaneva dell’albero. Un mezzo tronco scomposto a metà barca, come l’osso spezzato di gabbiano. Forzavano i bulloni e si fermavano e osservavan­o e bestemmiav­ano. L’odore dolce della coppale si mescolava al sale e a quello lontano del pesce. La sollevai con il pennello e la feci ricolare nel barattolo, era morbida e sicura. Staccai un pezzo di ferro rimasto incastrato nella falchetta, accanto a un candeliere spezzato. Il vecchio mise un piede sulla passerella, aspettò un secondo e salì. Era una cosa che non faceva mai. Aspettare, dico, salire con prudenza.

Di solito lo faceva di corsa, senza fermarsi. Aveva i capelli spettinati e sembrava più anziano con quei pantalonci­ni e quelle tre rughe a traverso della fronte.

Teneva al petto, con la mano, un sacchetto di carta marrone. Erano mani forti e gentili, le sue. Mani di cui ti potevi fidare. Poggiò un piede in pozzetto e sparì sotto coperta.

Marco diede un calcio alla base dell’albero e mise le mani sui fianchi, il viso contratto. Alzò gli occhi chiusi al cielo. Era un buon timoniere, Marco. Aveva in testa una bandana, indosso un paio di jeans tagliati e una maglietta bucata. Il tedesco armeggiava ancora con un bullone.

Il vecchio tornò fuori con un vasetto di plastica in mano e un cucchiaino. Si mise a sedere sulla tuga, poco lontano da me, con i piedi sul ponte.

– Occhio che lì è fresco.

Lui guardò in basso e tornò a fissare il vasetto.

– Che mangi? – chiesi.

– Uno yogurt. – Da quando mangi yogurt?

– Da stamani.

– È buono?

– Spero. Sa di sano.

Silenzio.

– Ti piace l’Ovni? – domandò con lo yogurt in bocca.

Guardai accanto.

– Sono brutte, ma solide – dissi. – Hanno la chiglia abbattibil­e.

– Sì, lo so, sono furbe.

Silenzio.

– Il legno è più bello.

– Mah.

Sembrava stupida, d’un tratto, quella parola: bello. Il vecchio girò la testa verso Marco e il tedesco che lottavano con il mozzicone dell’albero. Prese una cucchiaiat­a di yogurt.

“...quello che rimaneva dell’albero. Un mezzo tronco scomposto a metà barca, come l’osso spezzato di gabbiano...”

– Come vanno i lavori? – chiese.

– Non c’è male. Con calma.

– Bisogno di una mano?

– Io no. E loro mi sa che è meglio lasciarli soli.

– Mi sa anche a me. Gli altri dove sono? – A terra, da qualche parte. Hanno detto che volevano fare un giro.

– Come stanno?

– Così – dissi.

Il vecchio alzò lo sguardo sulle drizze dell’Ovni che scampanell­avano.

– Lo sai che il tedesco ha lasciato la moglie per venire con noi? – disse. – Quando torna a Monaco la ritrova. – Bisogna vedere se lei ritrova lui. Mi fermai un momento e staccai coi denti un pezzetto di unghia.

– Gran bel pezzo di figliola – disse lui. – Già, occhi azzurri e culo tondo. Sorridemmo. Il vecchio prese una cucchiaiat­a di yogurt.

– Ce n’è parecchio in quel vasetto – dissi.

– Me lo faccio durare.

Raschiò un po’ il bordo e prese un’altra cucchiaiat­a. Io intanto cercavo di levarmi della coppale appiccicat­a a un dito. – Secondo te dovevamo uscire? Diosanto, pensai.

– Avevamo fretta.

– Lo so, – disse lui – ma forse non dovevamo uscire.

Presi lo straccio e me lo passai sulle mani.

– Era un bravo ragazzo – disse.

– Sì, era un bravo ragazzo. È stata una brutta tempesta. – Non lo so, forse non dovevamo uscire. Continuava a raschiare i bordi del vasetto.

– Credo siano cose che non si decidono – dissi.

Silenzio.

– Forse.

Il vecchio raschiò ancora e prese l’ultima cucchiaiat­a.

Osservò il vasetto vuoto, si alzò e andò verso la scaletta. Poco prima di scendere si fermò, fece come per dire qualcosa, poi ci ripensò e sparì sottocoper­ta.

Io mi imbambolai sullo spazio dove si era fermato, poi immersi il pennello nel barattolo.

Lo strusciai contro i bordi per levare l’eccesso e ripresi a stendere la coppale. Non mancava molto ormai, per finire.

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