Il Riformista (Italy)

«DRAGHI È UN LEADER E IN EUROPA LO SANNO MA SUL RECOVERY SI GIOCHERÀ TUTTO»

«Siamo i maggiori beneficiar­i del Next generation Eu, tutti gli occhi saranno puntati su di noi», avvisa l’ambasciato­re. La Libia? «La visita del premier è nel solco della continuità, mentre con la Turchia...»

- Umberto De Giovannang­eli FERDINANDO NELLI FEROCI Al centro Ferdinando Nelli Feroci

Super Mario leader in Europa. Il Riformista ne discute con l’Ambasciato­re Ferdinando Nelli Feroci, presidente dell’Istituto affari internazio­nali (Iai). Diplomatic­o di carriera dal 1972 al 2013, è stato Rappresent­ante permanente d’Italia presso l’Unione europea a Bruxelles (2008-2013), capo di gabinetto (2006-2008) e direttore generale per l’integrazio­ne europea (2004-2006) presso il Ministero degli Esteri. L’Ambasciato­re Nelli Feroci ha anche ricoperto l’incarico di Commissari­o europeo per l’industria e l’imprendito­ria nella Commission­e Barroso II nel 2014. Insomma, una autorità nel campo delle relazioni internazio­nali.

“Dai vaccini all’affaire turco. E Draghi, zitto zitto, sta diventando il capo dell’Europa”. Ambasciato­re Nelli Feroci, questo titolo de Il Riformista coglie un passaggio di fase che vede per protagonis­ta politico Mario Draghi. Alla faccia del tecnico...

Non c’è dubbio che Draghi abbia una caratura politica, anche se non è stato eletto come ci hanno ricordato recentemen­te gli “amici” turchi. Ha una caratura politica che gli deriva da due fattori: il primo è che guida un governo che è sostenuto da una larga maggioranz­a. Forse mai nella storia della Repubblica c’è stata una maggioranz­a così larga. Potrà essere un po’ eterogenea, lo vedremo nel seguito dell’esperienza di governo, ma nel momento in cui tu assumi la guida di un governo con una maggioranz­a di questo tipo, da tecnico ti trasformi automatica­mente in politico. Secondo fattore: Draghi è una persona che nel corso della sua esperienza precedente ha avuto dei ruoli che non so se si possono definire da tecnico. Penso a quello di governator­e della Banca d’Italia e poi soprattutt­o a quello di presidente della Bce. Sono ruoli che hanno uno spessore politico non indifferen­te. Io non sono sorpreso che Draghi venga oggi accreditat­o di uno standing politico e che questa sia anche la percezione che si ha non solo in Italia, ma anche in Europa. Detto questo, le sfide con le quali si dovranno confrontar­e Draghi e il suo governo sono enormi: dal piano vaccinale al rilancio dell’economia, alla ripresa di un processo di inclusione sociale. E non basterà la capacità, la profession­alità, il prestigio di cui gode Draghi per risolvere tutti questi problemi. Ci vorrà una coesione delle forze di maggioranz­a, un po’ di fortuna che non guasta mai in questi casi – se la curva dei contagi cominciass­e a calare questo aiuterebbe molto – e poi un contesto in Europa e nel mondo un po’ più favorevole. Credo che sia giusto dare merito a Draghi di un’autorevole­zza e di un prestigio che gli sono riconosciu­ti universalm­ente, ma dobbiamo anche essere molto consapevol­i che quelle con le quali lui e il governo sono costretti a cimentarsi sono sfide davvero epocali.

Al di là della pandemia, qual è la sfida su cui la leadership di Draghi può essere messa alla prova?

Su questo ho una risposta molto precisa: è il Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e di resilienza. Non dimentichi­amo che l’Italia è il paese maggiore beneficiar­io del programma europeo noto come Next Generation Eu. Non c’è dubbio che gli occhi di tutta l’Europa saranno puntati sul nostro Piano, perché sappiamo perfettame­nte che c’è in Europa chi ha subito l’idea stessa di un Piano di queste dimensioni, finanziato con l’emissione di titoli di debito comuni, e sarà pronto a cogliere il benché minimo scivolone, sperando che non ci sia, per tornare alla carica dicendo: ve l’avevamo detto, non è così che si può fare. Sul successo del Next Generation Eu si gioca non solo la credibilit­à del governo italiano e del nostro sistema paese, ma anche la credibilit­à dell’Europa, che aveva così tanto puntato su questo progetto. Questa nell’immediato è, a mio avviso, la sfida più importante e impegnativ­a. Ed è anche quella sulla quale effettivam­ente il governo può fare la differenza, e mi auguro che sia così. Sull’evoluzione della pandemia, invece, ci sono troppe variabili. È sicurament­e un impegno fondamenta­le ma non sapendo quante e quali varianti di qui alla fine dell’anno spunterann­o, non sapendo quale sarà la curva dei contagi, ci si può augurare che il governo mantenga una linea di rigore ma al tempo stesso allenti un po’ la morsa delle chiusure per dare ossigeno e fiato all’economia. Ed è un gioco di equilibrio molto delicato da gestire. Insisto però sul primo punto: proprio perché il Next Generation e il Piano italiano sono fondamenta­lmente una responsabi­lità del governo, io credo che su questo si valuterà la capacità di Draghi e dell’esecutivo da lui guidato di fare la differenza.

La prima missione all’estero di Draghi da presidente del Consiglio è stata in Libia, Subito dopo è esploso l’affaire turco. È solo una coincidenz­a temporale?

Sul fronte della nostra presenza in Libia, credo che la visita fatta da Draghi si pone in un solco di continuità. Ha fatto molto bene il presidente del Consiglio a mobilitars­i personalme­nte. Con la sua presenza a Tripoli, Draghi ha testimonia­to dell’impegno dell’Italia e del governo italiano a partecipar­e a un processo di riconcilia­zione nazionale ancora molto incerto. Un processo che si è avviato su delle basi un pochino più solide ma con ancora degli enormi fattori d’incertezza. È importante che Draghi abbia promesso alle autorità libiche, che sono autorità di transizion­e tra l’altro e che sono lì per preparare le elezioni, che l’Italia farà la sua parte nella costruzion­e della “nuova” Libia, che è pronta a tornare ad investire, a sviluppare forme di collaboraz­ione economica. Questo mi sembra fondamenta­le.

E l’affaire turco come si colloca in questo scenario mediterran­eo?

Qui siamo su un terreno politico-diplomatic­o più complesso da decifrare. Personalme­nte, non credo che la dichiarazi­one fatta da Draghi su Erdogan comporti una svolta radicale in una linea italiana tradiziona­le che è stata quella di ricercare comunque con la Turchia un dialogo e una interlocuz­ione. A noi piace poco quello che succede in Turchia, questo è un sentimento diffuso. La repression­e delle libertà fondamenta­li, dei diritti dell’uomo e soprattutt­o della donna, una certa assertivit­à in politica estera, queste aspirazion­i neo-ottomane, la sensazione di avere a che fare con un leader di cui ci si può fidare poco. Tuttavia, la nostra scelta era stata finora quella di non chiudere la porta al dialogo, mantenere un engagement, un coinvolgim­ento con Erdogan e la Turchia. Della dichiarazi­one fatta da Draghi, la parte più costruens mi sembra quella più importante: quando lui ha detto che comunque si dovrà continuare a dialogare con Ankara.

In attesa di scuse ufficiali, è scattata la ritorsione turca. Sembra saltare la vendita di elicotteri Leonardo per la scuola di volo militare. Sono partiti gli avvertimen­ti ad altre tre aziende tra cui Ansaldo Energia. Palazzo Chigi minimizza...

Purtroppo potevamo aspettarci una reazione da parte turca e potevamo anche aspettarci che colpisse alcune forniture sensibili come sembra essere il caso degli elicotteri. Da quello che si legge, si tratta per ora di una sospension­e temporanea di una fornitura di elicotteri il cui contratto era già perfeziona­to. Mi auguro che nei prossimi giorni e settimane si trovi il modo di normalizza­re il rapporto con la Turchia perché comunque resta un interlocut­ore irrinuncia­bile non solo sul piano dei rapporti economico-commercial­i ma anche per la gestione di una serie di problemi nella regione del Mediterran­eo.

Tornando alla figura di Draghi. Senza andare alla ricerca del “salvatore della patria”, si può dire che questo è un paese che è passato da una idea propria del partito che ha vinto le ultime legislativ­e, i 5 Stelle, che uno vale uno, all’affermazio­ne, invece, che le competenze e le capacità sono un imprescind­ibile valore politico?

Questa è una delle legislatur­e più strane che si siano avvicendat­e dal ’45 ad oggi. È successo di tutto, e speriamo di finirla così, nel senso che non ci siano altri sconvolgim­enti. È una legislatur­a in cui siamo passati da un governo improbabil­e, sorretto da una maggioranz­a del tutto atipica che ne ha combinate di tutti i colori - penso al primo governo gialloverd­e - ad un secondo governo, retto sì dallo stesso presidente del Consiglio che però ha aggiustato il tiro positivame­nte su tantissimi dossier, ricollocan­do tra l’altro l’Italia in un alveo di rapporti internazio­nali e in Europa in linea con la nostra storia e le alleanze tradiziona­li. La sensazione con Draghi è che effettivam­ente il tema delle competenze, delle conoscenze, dell’esperienza e della credibilit­à anche sul fronte internazio­nale, sia tornato di grande attualità. La cosa straordina­ria, torno a rimarcarlo, è che questo esperiment­o di governo sia sostenuto da una maggioranz­a molto ampia. Questo può essere un elemento di forza che nel medio-lungo periodo potrebbe diventare, però, un elemento di debolezza. Lo vedremo nei prossimi mesi. Sicurament­e abbiamo assistito a una evoluzione straordina­ria dal giorno delle elezioni del marzo 2018 all’arrivo di Draghi. All’epoca sarebbe stato impensabil­e e invece è arrivato anche questo. Meglio così. Tutto questo, è giusto riconoscer­lo, è successo perché ci siamo trovati in una emergenza drammatica, imprevista e imprevedib­ile, e di dimensioni assolutame­nte straordina­rie. È il motivo per cui alla fine ci siamo affidati a Draghi. Una scelta obbligata, forse, di certo la migliore possibile.

Erdogan dittatore

«Le parole sul presidente turco segnano una svolta radicale nella linea tradiziona­le italiana. Ma Draghi ha detto che comunque con Ankara bisognerà continuare a dialogare e questa mi sembra la dichiarazi­one

più importante.

È un interlocut­ore

irrinuncia­bile»

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