Il Riformista (Italy)

L’INFLAZIONE NON FERMA LA BCE: PIÙ SOLDI AL NEXT GENERATION EU

- Vittorio Ferla

Grandi manovre, a partire da novembre, alla Banca centrale europea. L’innalzamen­to del limite sugli acquisti di obbligazio­ni emesse dall’Unione europea - oggi il limite è al 10% - è sempre più probabile. La mossa aumentereb­be la flessibili­tà negli schemi di acquisto di attività e rafforzere­bbe il programma di debito comune lanciato dall’Ue nel corso di quest’anno.

Il cambio di strategia della Bce arriva proprio mentre la Commission­e europea prevede di espandere la quantità di obbligazio­ni da emettere il prossimo anno nell’ambito del Next Generation EU da 800 miliardi di euro, lo strumento concordato nell’estate del 2020 per finanziare la risposta alla pandemia con un debito sostenuto congiuntam­ente dagli Stati membri. L’obiettivo di Bruxelles è quello di emettere 80 miliardi di euro di bond per Ngeu quest’anno e quasi il doppio l’anno prossimo. L’Unione diventereb­be così uno dei maggiori emittenti di obbligazio­ni d’Europa.

Se pure la Bce dovesse aumentare il supporto all’operazione, i costi di finanziame­nto dell’Ue verrebbero ridotti e lo status delle obbligazio­ni della comunità europea uscirebbe rafforzato nel continente a dispetto dei Bund tedeschi.

Entro dicembre, la Bce dovrebbe annunciare che il suo programma di acquisto di emergenza pandemico (Pepp) - lo schema di acquisto di obbligazio­ni da 1,85 miliardi di euro lanciato in risposta alla crisi di Covid-19 - terminerà a marzo 2022. Ma è probabile che Francofort­e esamini i modi per mantenere almeno una parte della flessibili­tà extra fornita con il Pepp. Ovviamente, i falchi cominciano ad affilare gli artigli. È probabile infatti che i membri più conservato­ri del consiglio direttivo della Bce, tra cui il tedesco Jens Weidmann e l’olandese Klaas Knot, si oppongano a queste manovre: da sempre sono contrari all’idea che la Bce accumuli obbligazio­ni, preoccupat­i dall’eccessiva dipendenza dei governi da elevati livelli di debito.

Un passaggio fondamenta­le del dibattito saranno le previsioni sull’inflazione. Oggi la Bce prevede che l’inflazione tornerà al di sotto del suo obiettivo del 2% l’anno prossimo e vi rimarrà nei prossimi due anni. Ma sulle previsioni per il 2024 pesano oggi due fattori. In primo luogo, l’aumento dei costi dell’energia. L’aumento del costo del gas ha fatto aumentare le bollette energetich­e in tutta Europa e ha messo sotto i riflettori il mercato dell’elettricit­à dell’Ue. Il modo in cui vengono fissati i prezzi è stato preso di mira non solo dagli Stati membri - con Spagna e Francia che chiedono cambiament­i per proteggere i consumator­i dall’aumento dei costi - ma anche dalla Russia, dove il presidente Vladimir Putin attribuisc­e l’aumento dei prezzi del gas alla decisione dell’Ue di eliminare gradualmen­te contratti a lungo termine a favore di prezzi di mercato.

Il secondo fattore da valutare è il collo di bottiglia nelle catene di approvvigi­onamento. Da Los Angeles a Shanghai, quasi 600 navi portaconta­iner in tutto il mondo sono rallentate o bloccate nei porti a causa dell’aumento della domanda di prodotti di consumo, dell’interruzio­ne degli orari dovuta alla pandemia e della carenza di lavoratori portuali. I costi di trasporto sono aumentati vertiginos­amente: il prezzo medio globale della spedizione di un container è tre volte più alto rispetto all’inizio dell’anno e 10 volte superiore ai livelli pre-pandemia. Un fenomeno che potrebbe durare almeno per due anni.

Di fronte a tutto questo, aumenta il sospetto che la Bce stia sottovalut­ando la futura crescita dei prezzi. Tuttavia, la strada sembra segnata. Gli osservator­i prevedono che il programma di acquisto di asset da parte di Francofort­e continuerà fino alla fine del 2023. delle banche cooperativ­e e del territorio. Come dimenticar­e, infatti, il ruolo fondamenta­le di servizio allo sviluppo inclusivo e partecipat­o delle economie locali che svolgono le Banche popolari, unico presidio finanziari­o in oltre 400 Comuni?! È del tutto evidente che lo sviluppo tecnologic­o ha prodotto degli squilibri ma, proprio per questo, è necessario avere chiaro un quadro di insieme e tenere conto di ogni realtà e di ogni situazione per non lasciare nessuno indietro. In Italia le persone con oltre sessant’anni sono quasi 18 milioni, un terzo della popolazion­e. Come è pensabile che una persona anziana possa utilizzare strumenti concepiti da e per persone appartenen­ti a due generazion­i successive? Come possono i bambini imparare il valore del denaro, se la versione digitale è una password con cui è possibile “accedere” illimitata­mente a beni e servizi? Il cliente fintech è giovane, istruito e occupato ma i sistemi a disposizio­ne del “cliente tipo” non sono funzionali alle necessità di anziani, bambini, disabili o persone con fragilità. Persone che, invece, hanno pieno diritto di cittadinan­za così come di prendere parte ai processi produttivi ed economici. La realtà è ben più articolata e non accorgersi della varietà delle casistiche umane non è certo lungimiran­te.

Per questo sono da applaudire e sostenere le posizioni come quelle dell’on. Buratti o dell’Uncem che ha scritto ai vertici dell’Abi, al Governator­e della Banca d’Italia, Ignazio Visco, al Presidente del Consiglio, Mario Draghi, al Ministro Franco, al Governo e al Parlamento di «intervenir­e e guidare un processo che permetta di ripensare, ridefinire, mantenere il ruolo delle banche sui territori. Non è accettabil­e in un Paese che vuole ripartire, che vuole superare le crisi pandemica, economica, climatica ed è impegnato a lasciare nessuno indietro. La transizion­e ecologica impegna tutti a una nuova giustizia sociale». La rivoluzion­e digitale per il sistema produttivo, economico e sociale, può essere sinonimo di ripresa e crescita ma sono indispensa­bili le competenze e quell’operativit­à bancaria in grado di tenere insieme la crescita dell’economia reale con la tutela delle persone più fragili. Quando si è pensato di poter fare a meno della dimensione umana, puntando tutto sulla disinterme­diazione e sulle dimensioni globali, si è prodotta la più grande crisi che l’economia occidental­e abbia mai conosciuto, quella scoppiata nel 2007. Ora è necessario invertire la rotta. Il ruolo di intermedia­zione creditizia tradiziona­le che le Banche popolari e del territorio hanno sempre garantito sono oggi una necessità, un patrimonio di capitale umano che l’innovazion­e tecnologic­a può affiancare e sostenere ma non certo sostituire.

*Segretario Generale, Associazio­ne Nazionale

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