Privatizzazione Poste Sbagliato svendere i gioielli di famiglia
Senza dialogo e confronto aperto la stabilità dell’azienda è a rischio
Èormai ufficiale, dopo la recente approvazione del DPCM, che il governo Meloni intende alienare, o meglio “svendere” i gioielli di famiglia per fare cassa a cominciare da Poste Italiane. Non è nostra intenzione alimentare polemiche con nessuno, ma a favorire questa nuova svendita di Stato sono coloro che in passato si erano schierati contro la privatizzazione, perdendo credibilità nei confronti dei cittadini. Ma gli elettori hanno memoria lunga e scrutano attentamente le decisioni prese dalle istituzioni. Perché come Slp Cisl, sindacato che ha la maggioranza assoluta di iscritti, ci opponiamo a questo ulteriore processo di privatizzazione di Poste Italiane? Prima di tutto, perché è un’operazione che ha poco senso dal punto di vista economico e strategico. Negli ultimi 6 anni, il MEF ha ricevuto da Poste Italiane dividendi degli utili per circa 1.550 milioni di euro, mentre CDP ha incassato circa 1.900 milioni di euro, per un totale di 3.450 milioni di euro. A chi vogliamo regalare questa enorme rendita, sacrificando il potenziale a lungo termine per un guadagno immediato? La privatizzazione metterebbe a repentaglio il mantenimento della socialità di Poste Italiane, con possibili tagli al personale e riduzioni dei servizi, compromettendo l’equilibrio del Gruppo Poste e il suo ruolo fondamentale nel tessuto sociale ed economico del Paese.
Ecco perché vogliamo un incontro urgente con il Governo per ragionare di privatizzazione e piano industriale, credendo fermamente nell’importanza della mediazione politica e del dialogo costruttivo. Tuttavia, siamo pronti a difendere con ogni mezzo e strumento la sostenibilità e la salvaguardia del patrimonio pubblico e dell’universalità del servizio pubblico, se tale dialogo verrà messo in discussione o mortificato.
Dai giornali apprendiamo che l’amministratore delegato di Poste prepara un piano industriale in funzione della privatizzazione. In tale contesto, ribadiamo con fermezza che non accetteremo tagli di personale, né piani che non prevedano investimenti concreti per lo sviluppo e l’innovazione, nonché politiche attive per la crescita e il benessere dei lavoratori e delle comunità servite da Poste Italiane.
A quel tavolo di confronto, se verrà convocato, rilanceremo l’idea di evolvere la “governance” delle grandi imprese nel solco della partecipazione dei lavoratori alle decisioni ed agli utili aziendali, promuovendo un modello di gestione più inclusivo e orientato ai valori di responsabilità sociale d’impresa. Poste Italiane potrebbe diventare davvero un laboratorio di innovazione e buone pratiche su questo tema, fungendo da esempio virtuoso per l’intero settore.
Se il governo deciderà di procedere con la privatizzazione senza tener conto delle nostre legittime preoccupazioni e richieste, sarà inevitabile una vertenza aspra e determinata da parte dei lavoratori e dei sindacati, al fine di tutelare i propri diritti e interessi. Sul nuovo contratto nazionale abbiamo appreso dai giornali che siamo in “dirittura d’arrivo”. Troviamo singolare tutto questo visto che il negoziato non e’ ancora iniziato, considerando la complessità delle tematiche in gioco e l’importanza delle trattative per il futuro dei lavoratori e dell’azienda stessa. È fondamentale garantire un processo negoziale trasparente ed equo, nel rispetto dei diritti e delle esigenze dei lavoratori, affinché si possa giungere a un accordo soddisfacente per tutte le parti coinvolte.
Senza dialogo e confronto aperto, ci troveremo di fronte a enormi rischi e potenziali conflitti che potrebbero compromettere seriamente il funzionamento e la stabilità dell’azienda postale. Tuttavia, crediamo fermamente che sia ancora possibile percorrere la strada giusta, lavorando insieme per trovare soluzioni sostenibili e inclusive che salvaguardino il futuro di Poste Italiane e di tutti coloro che vi lavorano e ne beneficiano.