Lasciti testamentari di una letteratura musicale
La tragedia umanitaria del Novecento è la sala motori di questa musica: la sua diffusione produrrà valide difese immunitarie per combattare negazionismo e antisemitismo
Nel secolo scorso, in ghetti, lager, stalag, oflag e gulag l’uomo scatenò impensabili meccanismi di creazione artistico-musicale; mentre 10.000 opere recuperate – oggi patrimonio dell’Istituto di Letteratura Musicale Concentrazionaria di Barletta – riscriveranno la storia della musica del Novecento, altre migliaia di pagine cameristiche, sinfoniche, teatrali giacciono tuttora nell’anonimato della storia in attesa di riprendersi il proprio ruolo nel grande gioco tra reale e immaginario. Talora il presentimento della morte coincide con l’apice dell’esistenza nella sua manifestazione più adrenalinica e accade che essa si manifesti nei luoghi più inimmaginabili attraverso un moto incontrollabile di istinto di sopravvivenza dell’ingegno e del cuore. Tutti cantavano, suonavano e facevano musica in quel wormhole che, nel calcolo spazio-temporale umano, va dall’apertura del lager di Dachau nel 1933 alla morte di Iosif Stalin nel 1953 ossia dall’alba del nazionalsocialismo al crepuscolo dello stalinismo. Nel 1942, chiuse in un vagone del treno che conduceva ebrei da Lublin-Majdanek a Treblinka per la gasazione, due sorelle presero per la cintola il loro fratellino di nove anni e lo scaraventarono fuori dal treno attraverso la piccola finestra dell’aria (solo lui poteva passarci); amare significa talora allontanare da noi stessi coloro che amiamo per salvargli la vita. Quel ragazzino si chiamava Hershel Taichman, sopravvisse; anni fa rilasciò la sua testimonianza per Steven Spielberg, durante l’intervista cantò Lublin, Lublin che un Anonimo creò a Majdanek.
Da Treblinka ad Auschwitz via Varsavia, da Magadan a Pechora via Uchta, immaginari convogli pieni di partiture oggi approdano a Barletta per essere catalogati, studiati; in una parola, vissuti. Dobbiamo mettere in gioco un concetto più rivoluzionario della memoria ossia la letteratura, che capovolge le coordinate catapultando nel futuro la musica più drammaticamente geniale del Novecento; il futuro è già scritto e pietrificato nella parte solida delle nostre più lungimiranti visioni mentre il passato è una storia da riscrivere, non nel falso senso revisionista del termine ma nelle sue immense energie nebulizzate da macigni crollati sull’ingegno umano e da crimini inenarrabili che attendono ben più profondi e radicali processi di quelli di Norimberga. Molti musicisti deportati abbozzarono canovacci di opere che spetta a noi completare; i loro manoscritti non vanno conservati come reliquie ma sfogliati per captare ogni spia che si accende nella distribuzione del materiale musicale e immaginare cosa l’autore avrebbe scritto al pianoforte o al violino in questa o quella battuta se ne avesse avuto la possibilità, fiutare come segugi quali parole si nascondono dietro simboli apparentemente senza senso talora usati per bypassare la censura, compiere micro-interventi di riparazione dell’opera così come un chirurgo preleva lembi di pelle o frammenti ossei da parti sane del paziente per ricostruire parti malate o danneggiate. Nel marzo 1942 Ervin Schulhoff iniziò a stendere la partitura della VIII. Symphonie op.99 presso lo Ilag XII Wülzburg, il 1° movimento contiene un inno di ispirazione comunista e alla fine di ogni strofa ci sono virgolette incomprensibili; il testo è un’ode a Marx, Lenin e Stalin e fu redatto su un foglio nascosto da suo figlio Petr (Schulhoff morì di tubercolosi nel Lager nell’agosto 1942). Sull’autografo del Nonet di Rudolf Karel steso presso il Vazební věznice di Praha-Pankrác sembra manchi materiale ma non è così poiché Karel lasciò numerose indicazioni che ne consentono la ricostruzione; Karel era dissenterico e fu torturato, era indispensabile economizzare fogli e tempo. Il canone dell’opera Der Kaiser von Atlantis non fu chiuso dal suo autore Viktor Ullmann a Theresienstadt, le ultime integrazioni risalgono a pochi prima che egli fosse trasferito a Birkenau per essere gasato; dopo un lungo lavoro di ricostruzione compiuto a Barletta, oggi il canone è completo e il capolavoro ullmanniano sembra un’altra opera, incredibilmente bella. È come se l’autore di ognuna delle suddette opere avesse gettato un immaginario ponte con futuri ricercatori affinché gli stessi scoprissero i filoni aurei interrotti delle loro musiche ed estrarne la materia sino all’ultima particella, intraprendere una riparazione storica e umana nei riguardi di questa gigantesca incompiuta dell’ingegno umano qual è la musica concentrazionaria. In fondo, tali operazioni non sono dissimili dal completamento del Contrapunctus 14 dall’Arte della Fuga di J.S. Bach, della IX. Symphonie di A. Bruckner o del finale della Turandot di G. Puccini; ma con musicisti messi di traverso a trasformare l’anidride carbonica del Lager in ossigeno, vita, musica.
La tragedia umanitaria del Novecento è la sala motori di questa musica, essa sta alla letteratura musicale concentrazionaria come il motore sta al veicolo; la diffusione di questa letteratura produrrà valide difese immunitarie e armi adatte a combattere negazionismo e antisemitismo. Pochi altri lasciti testamentari come questa letteratura ci renderanno immuni da qualsiasi sciagura intellettuale per traghettarci verso un’era che collochi al centro degli interessi individuali e collettivi l’uomo, la sua dignità, la sua capacità creativa e costruttiva. Questa musica ha poteri taumaturgici, redime uomini e ideologie; un giorno nulla rimarrà di ghetti, lager e gulag poiché sarà musica e basta.
*Pianista e docente di pianoforte