Il tempo della diplomazia NESSUN BAVAGLIO
Nordio non blocca in alcun modo il lavoro dei giornalisti
La guerra non è la prosecuzione della politica con altri mezzi, come diceva Von Clausewitz. Per me la guerra è la negazione della politica: la guerra arriva quando la politica fallisce. Ci sono dei momenti in cui combattere è doveroso eticamente e persino politicamente. Ma la politica deve trovare una strada per risolvere i conflitti.
Oggi in Ucraina e in Medio Oriente arriva il tempo della politica e della diplomazia. Questo non significa negare che vi siano torti e ragioni. L’invasione russa dell’Ucraina è inaccettabile. Due anni fa Putin si è seduto dalla parte del torto e la Storia non glielo perdonerà. E noi abbiamo il dovere di inviare le armi agli ucraini perché se smettiamo di farlo non è scompare la guerra: scompare l’Ucraina. Ma è anche giusto provare a chiudere un accordo credibile prima che lo faccia tra qualche mese con toni sbrigativi Donald Trump.
Ora è tempo di politica e di diplomazia per garantire a Kiev la libertà al fianco dell’Unione Europea ma trovando con Mosca una soluzione che fermi il massacro. Il 7 ottobre Hamas ha realizzato la più atroce strage di Ebrei dai tempi del Nazismo. E lo ha fatto con modalità talmente orripilanti da non poter essere nemmeno commentate. Oggi è chiaro a tutto il mondo che il sistema dei tunnel che partono dalle scuole, dagli ospedali, persino dalle sedi delle Nazioni Unite costruito con i soldi della comunità internazionale è una vergogna planetaria. Ma è altrettanto chiaro che per sconfiggere Hamas, Israele ha bisogno di non perdere i leader arabi riformisti e moderati. E l’intera comunità internazionale. Ecco perché è tempo di un accordo di pace duraturo, la pace dei figli di Abramo come l’avrebbe chiamata Giorgio La Pira. Una pace che preveda per Israele il diritto e anche una sorta di dovere morale di esistere: il mondo ha bisogno di questa nazione, di questo popolo, di questa storia che si fa futuro. Una pace che passi dal riconoscimento dello stato di Palestina, sostenuto e sovvenzionato dai paesi arabi riformisti che investano in scuole e non in tunnel, in ospedali e non in missili, in infrastrutture e non in kamikaze. Una pace che veda puniti i responsabili di Hamas: davanti ai tribunali internazionali deve finirci Sinwar, sempre che sia ancora vivo, non Netanyahu. Bibi più semplicemente deve andare a casa e lasciare il Governo di Israele a un leader rispettato e capace di parlare in Patria e all’estero. E su questo, mia umile opinione, segnatevi il nome di Yossi Cohen, già collaboratore del Premier israeliano e soprattutto già capo del Mossad.
Sono solo sogni in libertà? Forse. Ma se ci fosse qualcuno in grado di occuparsi di politica estera, a Roma come a Bruxelles, questi sogni diventerebbero progetti. E l’Italia e l’Europa avrebbero un ruolo. Invece qui il massimo di accordo che si può fare è su una mozione condivisa tra Meloni e Schlein, ottima notizia per i media italiani. Ma la politica estera è un’altra cosa. Qualcuno lo capirà?
“Non c’è nessuna legge bavaglio”, ha detto ieri la senatrice di Italia viva Raffaella Paita, coordinatrice nazionale del partito, durante le dichiarazioni di voto alla Legge di delegazione europea, smorzando così le polemiche di chi da giorni evoca scenari da regime cileno sulla libertà di stampa con l’introduzione del divieto di pubblicare integralmente il contenuto delle ordinanze di custodia cautelare.
“Il racconto contenuto nelle ordinanze di custodia cautelare che finisce sui giornali costituisce il punto di vista dell’accusa - ha spiegato Paita - è una ricostruzione unilaterale che non tiene in conto la posizione della difesa”.
La senatrice, a tal proposito, ha ricordato cosa avvenne quando venne coinvolta in procedimento penale, con il contenuto degli atti giudiziari interamente finito sui giornali.
“Il lavoro giornalistico non costituisca un copia-incolla ma la ricostruzione della verità. Non stiamo chiedendo alla stampa di non pubblicare le notizie, ma di pubblicare un racconto che tenga in conto accusa e difesa, perché il dibattimento nel momento della pubblicazione non sarà ancora iniziato, a garanzia del principio di innocenza e quello della separazione dei poteri. Esiste il diritto a conoscere ma esistono anche il diritto a tutelare le vite umane e il principio di verità”, ha poi aggiunto la coordinatrice di Italia Viva. Concetto ribadito dal senatore Pierantonio Zanettin, capogruppo di Forza Italia in Commissione giustizia a Palazzo Madama,
secondo cui “il divieto di pubblicazione del testo dell’ordinanza di custodia cautelare era vigente fino al 2017 ma non aveva mai scatenato indignazione o dubbi di costituzionalità: non si comprende il clamore mediatico che si è voluto a tutti i costi creare, essendo una norma di buonsenso che ha il solo scopo di evitare che finiscano sui giornali le intercettazioni integrali riportate nell’ordinanza, danneggiando spesso irrimediabilmente l’immagine o la reputazione di chi, in quelle intercettazioni, è coinvolto o citato”. La pubblicazione di virgolettati delle intercettazioni, va ricordato, è un fenomeno che non accade in nessun altro paese al mondo tranne l’Italia. Spesso i virgolettati contengono battute ironiche, doppi sensi, espressioni gergali, talora anche di cattivo gusto o addirittura scurrili, che decontestualizzati sono finalizzati solo alla pubblica denigrazione dei soggetti coinvolti. “Questa norma non vieta affatto ai giornalisti di fare il loro lavoro, vieta solo il cosiddetto copia e incolla del provvedimento. Al giornalista non verrà vietato di parlare dell’ordinanza di custodia o dei suoi contenuti, di illustrarla anche nei dettagli, di commentarla, ma dovrà farlo mediante una parafrasi. I bravi giornalisti non avranno alcun problema ad assicurare la completa informazione dei lettori”. “Probabilmente - ha aggiunto Zanettin - troveranno difficoltà i cosiddetti ‘velinari’ delle procure, quei giornalisti di cronaca che magari non posseggono una penna felice o una scrittura fluente, ma piuttosto sono adusi alle relazioni privilegiate con avvocati, uffici di Pg o di procura. Insomma, si mantiene il diritto di cronaca ma si cerca di evitare il voyeurismo giornalistico”.
Con questo provvedimento, passato con 93 voti, 29 contrati e 25 astenuti, l’Italia si uniforma ora al resto d’Europa dove da tempo vigono norme a tutela degli indagati in materia di pubblicazione degli atti giudiziari.
Scontate le polemiche della Federazione nazionale della stampa, secondo cui calerà il silenzio sul diritto dei cittadini ad essere pienamente informati.
“Il fatto che la gente possa avere un’opinione propria e indipendente pare essere la cosa che preoccupa di più i garantisti di facciata. L’Europa chiede tante cose all’Italia: chiede misure contro le querele bavaglio, una governance Rai indipendente, retribuzioni adeguate per i giornalisti, eppure di tutte queste cose non c’è traccia nelle battaglie garantiste di politici che difendono il potere”, ha sottolineato Alessandra Costante, segretaria nazionale Fnsi, rinnovando l’appello al presidente della Repubblica a non firmare la legge.