ANPIFASCISMO
LA GABBIA DELLA MEMORIA
Dato che ad ognuno tocca esibire carte d’identità per essere accettati nel consesso dei buoni e puri, ecco le mie credenziali, anche se per i suddetti di certo non basteranno. Mio nonno fu cacciato dalle Ferrovie (precisamente nel 1934) perché non volle prendere la tessera del fascio. Sono cresciuto a pane e antifascismo in una famiglia gioiosamente aperta e democratica e porto ancora sotto il mento un piccolo bitorzolo, frutto dell’aggressione subita da un gruppetto di missini al ritorno da una manifestazione nell’anniversario di piazza Fontana (era il 1971). Ma penso che né mio nonno né mio padre (iscritto al Pci) si rivolteranno nella tomba se dico con semplicità che l’antifascismo è una categoria superata e inattuale, da consegnare serenamente alla storia senza strattonarla di qua e di là, senza metterla al servizio di una battaglia contro un governo che non ci piace, senza appiccicarla come un passe-partout a qualunque causa giusta o sbagliata ci sia da sposare nel mondo come nel nostro condominio (dalla Palestina alla Rai, il catalogo è ampio, e si arricchisce di giorno in giorno). Non mi prenderebbero a ceffoni, i miei educatori, perché da bambino mi allevarono al culto di una parola magica, che è stata e resta la stella polare della mia vita. Quella parola non è “libertà” - per la quale, senza aggettivarla, vale sempre la pena sfilare, non solo il 25 aprile - ma che ho sempre considerata come una conquista intima e definitiva, qualcosa che nessuno potrebbe o potrà mettere in discussione, perché è dentro di me, non ci sono divieti o censure che possano sfregiarla. La parola cruciale, invece, era ed è “futuro”. Da comunista, mio padre - lo ricordo come oggi - inneggiò al primo volo di un essere umano intorno alla terra (era Yuri Gagarin, eroe sovietico) perché in quella navicella vedeva concretizzarsi il progresso, non perché aspirava a lavorare in un kolchoz. E io stesso, più in là, avrei militato sognando una nuova società, non solo più giusta ed equa, ma sempre più moderna, aperta alle conquiste scientifiche e civili, affamata di orizzonti inesplorati. Perché poi la sinistra (quella occidentale, intendo) si sia seduta sui suoi indubbi successi novecenteschi (diffusione generalizzata del welfare, lavoro più tutelato, pensioni più che dignitose, diritti civili) e abbia messo da parte il futuro, è materia che riguarda gli storici di professione. Fatto sta che, da progressista che era, la sinistra si è trasformata - secondo la logica inesorabile delle vicende umane - in una forza il cui principale obiettivo è gestire e manutenere la propria identità, e le casematte di potere conquistate. È diventata, in una parola, conservatrice.
Per questo ha cominciato a nutrire ossessivamente il culto della memoria, la cui cura maniacale - e la cui manipolazione, insita nel gioco perverso dei nostri neuroni - apre autostrade alla trasmissione di ideologie, credenze, luoghi comuni che resistono con pervicacia di fronte alla realtà. Perché ognuno di noi fa fatica a prendere atto che il mondo cambia ogni giorno (è questa la sua meraviglia), costringendoci a modificare punti di vista, a smentire noi stessi, a tenere in movimento e in allenamento il cervello. Vera oppure no, la frase attribuita ad Albert Einstein (“La memoria è l’intelligenza degli idioti”) mi sembra fulminante, nella sua verità. Invece chi passa la sua vita a ricordare e a commemorare, senza addestrare le sue facoltà critiche, finisce per ipostatizzare fatti morti e sepolti, piegandoli alle misere esigenze dell’oggi, nel tentativo, finanche un po’ infantile, di difendere con le unghie il presente, non di cambiarlo. Chi si indigna a giorni alterni per la memoria oltraggiata o trascurata, chi esibisce come una bandierina l’ultimo partigiano in vita, chi ha sempre pronta la lacrimuccia d’ordinanza per il tempo che fu, non vede futuro davanti a sé. D’altronde, non è certo un caso che dalle nostre parti la messa cantata della memoria si reciti durante tutto l’anno, altro che 25 aprile. Non potrebbe essere altrimenti, in un paese che non cresce da venticinque anni, invecchia strutturalmente, non investe sui giovani, perde tutte i tram dell’innovazione. Per questo non pensiamo ad altro - nelle nostre scelte politiche fondamentali, nelle stanche narrazioni del nostro mainstream mediatico - che a raccontarci come eravamo, mai come potremmo essere.
Amettere una pietra sopra al 25 aprile ha provveduto chi organizza il 25 aprile. Una manifestazione tanto stonata, distonica ed estemporanea da disperdersi in un prisma di manifestazioni diverse e in molti casi antitetiche e contrapposte. Le due piazze di Roma e di Milano sono diventate cinque. E in nome dell'unità sotto le insegne dell'antifascismo ciascuno ha manifestato pro domo sua, e soprattutto contro i manifestanti accanto. Il motivo è chiaro : l'appaltatore unico della certificazione antifascista, l'Anpi, da sigla unitaria è diventata un'organizzazione faziosa. E di quella fazione che in nome della storia partigiana – il popolo invaso armato contro l'invasor, come recita Bella Ciao – si preoccupa di prendere posizione con la Russia di Putin, invocando il disarmo e quindi la resa dell'Ucraina, e per il disarmo di Israele contro le incursioni di Hamas. Un rovesciamento della storia partigiana che autorizza estremisti e violenti a scagliarsi, sempre in nome della pace, contro le vittime di ieri e di oggi. Vediamo il mosaico in cui si è scomposto il fronte unitario dell'antifascismo doc.
Roma – Porta San Paolo
La manifestazione più importante della Capitale è un contenitore vuoto dentro al quale ognuno mette quel che vuole. Un anno era una iniziativa contro Berlusconi, l'anno dopo contro l'austerity di Monti e per gli esodati. Poi era diventata la piazza dei «partigiani contro il Jobs act» e, sempre per difendere democrazia e antifascismo, nel 2016 segnò l'avvio della campagna per il No al referendum costituzionale. Ieri i partigiani antifascisti si sono scoperti «tutti palestinesi», come hanno gridato con slogan e striscioni. La Liberazione di cui parlano è quella della Palestina, e pazienza se nessuno tra loro c'è mai stato. Ieri ci credevano davvero, erano tutti scesi dai piani alti della sinistra atticista per dirsi dalla parte di Gaza. La priorità assoluta è quella di «cacciare i sionisti dalla Palestina come i fascisti nel `45». A dirlo una variopinta compagine che non ha esitato a scandire, tra gli slogan, quello sulla «Distruzione di Israele, Stato di assassini». La soluzione finale, il sogno di Adolf Hitler, compare con disinvoltura sulle bocche di questi squadristi travestiti col fazzoletto rosso al collo. E sempre nel nome della pace e della democrazia, la partigiana Luciana chiarisce che della convivenza civile si potrebbe, tutto sommato, anche fare a meno.
«Tornassi indietro, al 1945, forse non userei tutta la cortesia che abbiamo avuto nel rimettere in libertà i fascisti e userei altri metodi...». È una promessa anche se suona un po' come una minaccia l'intervento conclusivo di uno dei `partigiani di San Lorenzo' che prende la parola dal palco dell'Anpi, in piazza di Porta San Paolo, a Roma. Colpiscono come pietre le parole della “compagna” Luciana più evocative della «democrazia conquistata con il sangue» sono nette rispetto al passato: “I nostri morti vanno celebrati - sottolinea - per quelli loro si può avere pietà, ma ci sono responsabilità chiare rispetto al dolore provocato a tutto un Paese”. I nostri e i loro, per un giorno, tornano in scena su due trincee diverse. Con parole affilate e toni incandescenti, il palco dell'Anpi diventa la giuria di un tribunale del popolo che ribolle di rabbia. C'è perfino spazio per due `ebrei antisionisti' – la cui identità rimane ignota – che mostrano cartelli contro Israele e mettono in discussione, come tutti i complottisti, il massacro del 7 ottobre. « Chissà se è vero tutto quello che ci vien riferito e se Hamas ha fatto veramente i massacri del 7 ottobre. I fatti certi sono i bombardamenti su Gaza e i massacri di persone indifese, un vero genocidio». Si fa a gara a chi la spara più grossa. E per un giorno, gli spaccavetrine si mettono in vetrina. Sentono i riflettori addosso, le telecamere delle televisioni. E ne approfittano. C'è Chef Rubio che non delude mai le aspettative. «La brigata ebraica sventola il vessillo dei terroristi e chi sta coi terroristi sta coi nazisti che occupano la Palestina e i fascisti che opprimono i palestinesi», twitta mentre è in piazza. C'è un po' di parapiglia quando il movimento degli studenti palestinesi prova ad entrare in contatto con i rappresentanti della Brigata Ebraica. Nella confusione qualcuno lancia una scatola di piselli e un sasso. Vengono colpiti l'operatore di una tv alla testa ed un cronista di un sito internet d'informazione al naso. Ancora Chef Rubio: «La brigata ebraica, che sostiene come tutte le comunità ebraiche i terroristi che occupano la Palestina, è protetta mentre lancia bombe carta e latte di fagioli». La polizia chiarirà che sono stati lanciati due petardi. Nessuna bomba carta. E se non ci si mette d'accordo neanche sulla natura dello scatolame, figurarsi sulla geopolitica.
Roma – Pantheon Unitario ma non troppo, questo 25 aprile è stato anche quello degli Stati Uniti d'Europa che a Roma hanno riempito piazza del Pantheon mentre il resto della sinistra è a Porta San Paolo. Riccardo Magi di +Europa e Gerardo
Labellarte del Psi, Roberto Giachetti di Italia Viva e Matteo Hallisey di Radicali Italiani manifestano per le ragioni di Israele, aggredito il 7 ottobre, e per quelle dell'Ucraina, aggredita dall'invasore russo. Sono dalla parte della Brigata ebraica e contro i rigurgiti di antisemitismo che affiorano ormai ovunque. E cantano canzoni contro Putin, «il macellaio di Mosca», invocando più armi per difendere l'Ucraina proprio come i partigiani invocarono le armi dagli angloamericani. «Siamo dalla parte giusta della storia, abbiamo portato in piazza i colori della resistenza di oggi. I colori della libertà contro l'invasore», grida Patrizia De Grazia, la giovane presidente di Radicali Italiani, chiudendo il comizio. Un gruppo di ucraini intona Bella Ciao, e tutta la piazza la canta. Anche qualche decina di turisti in fila lì davanti al Pantheon, e che in fondo incarnano davvero – francesi, tedeschi, spagnoli che cantano in italiano – i cittadini di una Europa che sa di doversi unire e armare, per difendersi dall'invasor.
Roma – via del Pellegrino
Un centinaio di persone ha preso parte al ricordo del partigiano Mario Fiorentini. È stata inaugurata una targa commemorativa del celebre gappista – tra i protagonisti dell'attentato di via Rasella – morto a Roma a 103 anni, che aveva aderito a Italia Viva in polemica con il Pd e con l'Anpi. A ricordarlo sono stati Roberto Giachetti e Luciano Nobili, insieme con il nipote del partigiano, Suriel Fiorentini: «Mio nonno portò in piazza, il 25 aprile dell'anno scorso, la bandiera ucraina: perché vedeva nel popolo ucraino, invaso dall'aggressore russo, la continuità con la lotta partigiana del 1944-'45. Oggi sono a rischio le democrazie, in Europa. Essere rispettosi della storia partigiana significa schierarsi anche con le armi a fianco dell'Ucraina».
Roma – via Tasso
Azione, in polemica con altri soggetti del centrosinistra, a Roma ha manifestato per il «suo» 25 aprile in via Tasso. Davanti al carcere nazista dove i tedeschi imprigionarono, torturarono e uccisero centinaia di persone dopo aver occupato, nel 1943, la Capitale. «In questo giorno è importante ricordare il contributo della brigata ebraica alla lotta di liberazione dal nazifascismo. Trovo inaccettabile che i vessilli della brigata ebraica vengano offesi e respinti durante le manifestazioni che commemorano il 25 aprile. Non si puo' utilizzare questa ricorrenza cosi' significativa per iniziative antisemite, ecco perche' oggi sono stato a via Tasso ricordando i versi di Piero Calamandrei ai giovani», ha detto tra l'altro il Consigliere regionale del Lazio e responsabile Welfare di Azione, Alessio D'Amato.
Milano – Piazza Duomo
La manifestazione nazionale a Milano, città simbolo del 25 aprile, è stata turbata dall'ingombrante presenza di militanti filopalestinesi sistemati nelle prime file davanti al palco della manifestazione. A forza di spintoni sono riusciti a far cadere una parte delle balaustre. Il servizio d'ordine ha fatto da cordone e sono poi intervenute le forze dell'ordine in tenuta antisommossa, effettuando due fermi. I poliziotti schierati in assetto anti sommossa hanno effettuato una breve carica di alleggerimento dopo il lancio di bottiglia di vetro in piazza duomo da parte di un partecipante al presidio pro Palestina. I manifestanti, pochi minuti dopo la carica, si sono avviati in corteo per le vie attorno a piazza Duomo. Sempre invocando pace e libertà, gli antifascisti filo palestinesi hanno sfilato le aste delle bandiere della Brigata ebraica dalle mani che le sostenevano e le hanno usate per colpire i manifestanti che, malgrado fossero di religione ebraica, avevano violato il divieto di circolazione – comunicato da giorni – e avevano osato partecipare al corteo. Un ragazzo che sfilava con la Stella di David è stato ferito a un braccio. Mentre i facinorosi – «pochi estremisti», si dirà – aggredivano fisicamente, dal palco parlava il presidente dell'Anpi, Gianfranco Pagliarulo. Per invitare tutti alla calma? No: per versare benzina sul fuoco. «Netanyahu è responsabile dello sterminio dei palestinesi e se attacca in forza Rafah può avvenire un massacro di dimensioni inaudite». Soffocata, tra la folla, la voce di Raffaella Paita, che guidava la delegazione di Italia Viva nel corteo: «Vergogna! Quello che sta succedendo davanti ai miei occhi è indecente, sono agghiacciata. Urlare `fascisti' e `assassini' alla Brigata ebraica, a chi rappresenta un popolo perseguitato dal fascismo e che il fascismo ha combattuto è intollerabile, oltre che da ignoranti. Qui gli unici fascisti sono gli autori di questi cori!».