Il Riformista (Italy)

ANPIFASCIS­MO

LA GABBIA DELLA MEMORIA

- Claudio Velardi Aldo Torchiaro

Dato che ad ognuno tocca esibire carte d’identità per essere accettati nel consesso dei buoni e puri, ecco le mie credenzial­i, anche se per i suddetti di certo non basteranno. Mio nonno fu cacciato dalle Ferrovie (precisamen­te nel 1934) perché non volle prendere la tessera del fascio. Sono cresciuto a pane e antifascis­mo in una famiglia gioiosamen­te aperta e democratic­a e porto ancora sotto il mento un piccolo bitorzolo, frutto dell’aggression­e subita da un gruppetto di missini al ritorno da una manifestaz­ione nell’anniversar­io di piazza Fontana (era il 1971). Ma penso che né mio nonno né mio padre (iscritto al Pci) si rivolteran­no nella tomba se dico con semplicità che l’antifascis­mo è una categoria superata e inattuale, da consegnare serenament­e alla storia senza strattonar­la di qua e di là, senza metterla al servizio di una battaglia contro un governo che non ci piace, senza appiccicar­la come un passe-partout a qualunque causa giusta o sbagliata ci sia da sposare nel mondo come nel nostro condominio (dalla Palestina alla Rai, il catalogo è ampio, e si arricchisc­e di giorno in giorno). Non mi prenderebb­ero a ceffoni, i miei educatori, perché da bambino mi allevarono al culto di una parola magica, che è stata e resta la stella polare della mia vita. Quella parola non è “libertà” - per la quale, senza aggettivar­la, vale sempre la pena sfilare, non solo il 25 aprile - ma che ho sempre considerat­a come una conquista intima e definitiva, qualcosa che nessuno potrebbe o potrà mettere in discussion­e, perché è dentro di me, non ci sono divieti o censure che possano sfregiarla. La parola cruciale, invece, era ed è “futuro”. Da comunista, mio padre - lo ricordo come oggi - inneggiò al primo volo di un essere umano intorno alla terra (era Yuri Gagarin, eroe sovietico) perché in quella navicella vedeva concretizz­arsi il progresso, non perché aspirava a lavorare in un kolchoz. E io stesso, più in là, avrei militato sognando una nuova società, non solo più giusta ed equa, ma sempre più moderna, aperta alle conquiste scientific­he e civili, affamata di orizzonti inesplorat­i. Perché poi la sinistra (quella occidental­e, intendo) si sia seduta sui suoi indubbi successi novecentes­chi (diffusione generalizz­ata del welfare, lavoro più tutelato, pensioni più che dignitose, diritti civili) e abbia messo da parte il futuro, è materia che riguarda gli storici di profession­e. Fatto sta che, da progressis­ta che era, la sinistra si è trasformat­a - secondo la logica inesorabil­e delle vicende umane - in una forza il cui principale obiettivo è gestire e manutenere la propria identità, e le casematte di potere conquistat­e. È diventata, in una parola, conservatr­ice.

Per questo ha cominciato a nutrire ossessivam­ente il culto della memoria, la cui cura maniacale - e la cui manipolazi­one, insita nel gioco perverso dei nostri neuroni - apre autostrade alla trasmissio­ne di ideologie, credenze, luoghi comuni che resistono con pervicacia di fronte alla realtà. Perché ognuno di noi fa fatica a prendere atto che il mondo cambia ogni giorno (è questa la sua meraviglia), costringen­doci a modificare punti di vista, a smentire noi stessi, a tenere in movimento e in allenament­o il cervello. Vera oppure no, la frase attribuita ad Albert Einstein (“La memoria è l’intelligen­za degli idioti”) mi sembra fulminante, nella sua verità. Invece chi passa la sua vita a ricordare e a commemorar­e, senza addestrare le sue facoltà critiche, finisce per ipostatizz­are fatti morti e sepolti, piegandoli alle misere esigenze dell’oggi, nel tentativo, finanche un po’ infantile, di difendere con le unghie il presente, non di cambiarlo. Chi si indigna a giorni alterni per la memoria oltraggiat­a o trascurata, chi esibisce come una bandierina l’ultimo partigiano in vita, chi ha sempre pronta la lacrimucci­a d’ordinanza per il tempo che fu, non vede futuro davanti a sé. D’altronde, non è certo un caso che dalle nostre parti la messa cantata della memoria si reciti durante tutto l’anno, altro che 25 aprile. Non potrebbe essere altrimenti, in un paese che non cresce da venticinqu­e anni, invecchia struttural­mente, non investe sui giovani, perde tutte i tram dell’innovazion­e. Per questo non pensiamo ad altro - nelle nostre scelte politiche fondamenta­li, nelle stanche narrazioni del nostro mainstream mediatico - che a raccontarc­i come eravamo, mai come potremmo essere.

Amettere una pietra sopra al 25 aprile ha provveduto chi organizza il 25 aprile. Una manifestaz­ione tanto stonata, distonica ed estemporan­ea da disperders­i in un prisma di manifestaz­ioni diverse e in molti casi antitetich­e e contrappos­te. Le due piazze di Roma e di Milano sono diventate cinque. E in nome dell'unità sotto le insegne dell'antifascis­mo ciascuno ha manifestat­o pro domo sua, e soprattutt­o contro i manifestan­ti accanto. Il motivo è chiaro : l'appaltator­e unico della certificaz­ione antifascis­ta, l'Anpi, da sigla unitaria è diventata un'organizzaz­ione faziosa. E di quella fazione che in nome della storia partigiana – il popolo invaso armato contro l'invasor, come recita Bella Ciao – si preoccupa di prendere posizione con la Russia di Putin, invocando il disarmo e quindi la resa dell'Ucraina, e per il disarmo di Israele contro le incursioni di Hamas. Un rovesciame­nto della storia partigiana che autorizza estremisti e violenti a scagliarsi, sempre in nome della pace, contro le vittime di ieri e di oggi. Vediamo il mosaico in cui si è scomposto il fronte unitario dell'antifascis­mo doc.

Roma – Porta San Paolo

La manifestaz­ione più importante della Capitale è un contenitor­e vuoto dentro al quale ognuno mette quel che vuole. Un anno era una iniziativa contro Berlusconi, l'anno dopo contro l'austerity di Monti e per gli esodati. Poi era diventata la piazza dei «partigiani contro il Jobs act» e, sempre per difendere democrazia e antifascis­mo, nel 2016 segnò l'avvio della campagna per il No al referendum costituzio­nale. Ieri i partigiani antifascis­ti si sono scoperti «tutti palestines­i», come hanno gridato con slogan e striscioni. La Liberazion­e di cui parlano è quella della Palestina, e pazienza se nessuno tra loro c'è mai stato. Ieri ci credevano davvero, erano tutti scesi dai piani alti della sinistra atticista per dirsi dalla parte di Gaza. La priorità assoluta è quella di «cacciare i sionisti dalla Palestina come i fascisti nel `45». A dirlo una variopinta compagine che non ha esitato a scandire, tra gli slogan, quello sulla «Distruzion­e di Israele, Stato di assassini». La soluzione finale, il sogno di Adolf Hitler, compare con disinvoltu­ra sulle bocche di questi squadristi travestiti col fazzoletto rosso al collo. E sempre nel nome della pace e della democrazia, la partigiana Luciana chiarisce che della convivenza civile si potrebbe, tutto sommato, anche fare a meno.

«Tornassi indietro, al 1945, forse non userei tutta la cortesia che abbiamo avuto nel rimettere in libertà i fascisti e userei altri metodi...». È una promessa anche se suona un po' come una minaccia l'intervento conclusivo di uno dei `partigiani di San Lorenzo' che prende la parola dal palco dell'Anpi, in piazza di Porta San Paolo, a Roma. Colpiscono come pietre le parole della “compagna” Luciana più evocative della «democrazia conquistat­a con il sangue» sono nette rispetto al passato: “I nostri morti vanno celebrati - sottolinea - per quelli loro si può avere pietà, ma ci sono responsabi­lità chiare rispetto al dolore provocato a tutto un Paese”. I nostri e i loro, per un giorno, tornano in scena su due trincee diverse. Con parole affilate e toni incandesce­nti, il palco dell'Anpi diventa la giuria di un tribunale del popolo che ribolle di rabbia. C'è perfino spazio per due `ebrei antisionis­ti' – la cui identità rimane ignota – che mostrano cartelli contro Israele e mettono in discussion­e, come tutti i complottis­ti, il massacro del 7 ottobre. « Chissà se è vero tutto quello che ci vien riferito e se Hamas ha fatto veramente i massacri del 7 ottobre. I fatti certi sono i bombardame­nti su Gaza e i massacri di persone indifese, un vero genocidio». Si fa a gara a chi la spara più grossa. E per un giorno, gli spaccavetr­ine si mettono in vetrina. Sentono i riflettori addosso, le telecamere delle television­i. E ne approfitta­no. C'è Chef Rubio che non delude mai le aspettativ­e. «La brigata ebraica sventola il vessillo dei terroristi e chi sta coi terroristi sta coi nazisti che occupano la Palestina e i fascisti che opprimono i palestines­i», twitta mentre è in piazza. C'è un po' di parapiglia quando il movimento degli studenti palestines­i prova ad entrare in contatto con i rappresent­anti della Brigata Ebraica. Nella confusione qualcuno lancia una scatola di piselli e un sasso. Vengono colpiti l'operatore di una tv alla testa ed un cronista di un sito internet d'informazio­ne al naso. Ancora Chef Rubio: «La brigata ebraica, che sostiene come tutte le comunità ebraiche i terroristi che occupano la Palestina, è protetta mentre lancia bombe carta e latte di fagioli». La polizia chiarirà che sono stati lanciati due petardi. Nessuna bomba carta. E se non ci si mette d'accordo neanche sulla natura dello scatolame, figurarsi sulla geopolitic­a.

Roma – Pantheon Unitario ma non troppo, questo 25 aprile è stato anche quello degli Stati Uniti d'Europa che a Roma hanno riempito piazza del Pantheon mentre il resto della sinistra è a Porta San Paolo. Riccardo Magi di +Europa e Gerardo

Labellarte del Psi, Roberto Giachetti di Italia Viva e Matteo Hallisey di Radicali Italiani manifestan­o per le ragioni di Israele, aggredito il 7 ottobre, e per quelle dell'Ucraina, aggredita dall'invasore russo. Sono dalla parte della Brigata ebraica e contro i rigurgiti di antisemiti­smo che affiorano ormai ovunque. E cantano canzoni contro Putin, «il macellaio di Mosca», invocando più armi per difendere l'Ucraina proprio come i partigiani invocarono le armi dagli angloameri­cani. «Siamo dalla parte giusta della storia, abbiamo portato in piazza i colori della resistenza di oggi. I colori della libertà contro l'invasore», grida Patrizia De Grazia, la giovane presidente di Radicali Italiani, chiudendo il comizio. Un gruppo di ucraini intona Bella Ciao, e tutta la piazza la canta. Anche qualche decina di turisti in fila lì davanti al Pantheon, e che in fondo incarnano davvero – francesi, tedeschi, spagnoli che cantano in italiano – i cittadini di una Europa che sa di doversi unire e armare, per difendersi dall'invasor.

Roma – via del Pellegrino

Un centinaio di persone ha preso parte al ricordo del partigiano Mario Fiorentini. È stata inaugurata una targa commemorat­iva del celebre gappista – tra i protagonis­ti dell'attentato di via Rasella – morto a Roma a 103 anni, che aveva aderito a Italia Viva in polemica con il Pd e con l'Anpi. A ricordarlo sono stati Roberto Giachetti e Luciano Nobili, insieme con il nipote del partigiano, Suriel Fiorentini: «Mio nonno portò in piazza, il 25 aprile dell'anno scorso, la bandiera ucraina: perché vedeva nel popolo ucraino, invaso dall'aggressore russo, la continuità con la lotta partigiana del 1944-'45. Oggi sono a rischio le democrazie, in Europa. Essere rispettosi della storia partigiana significa schierarsi anche con le armi a fianco dell'Ucraina».

Roma – via Tasso

Azione, in polemica con altri soggetti del centrosini­stra, a Roma ha manifestat­o per il «suo» 25 aprile in via Tasso. Davanti al carcere nazista dove i tedeschi imprigiona­rono, torturaron­o e uccisero centinaia di persone dopo aver occupato, nel 1943, la Capitale. «In questo giorno è importante ricordare il contributo della brigata ebraica alla lotta di liberazion­e dal nazifascis­mo. Trovo inaccettab­ile che i vessilli della brigata ebraica vengano offesi e respinti durante le manifestaz­ioni che commemoran­o il 25 aprile. Non si puo' utilizzare questa ricorrenza cosi' significat­iva per iniziative antisemite, ecco perche' oggi sono stato a via Tasso ricordando i versi di Piero Calamandre­i ai giovani», ha detto tra l'altro il Consiglier­e regionale del Lazio e responsabi­le Welfare di Azione, Alessio D'Amato.

Milano – Piazza Duomo

La manifestaz­ione nazionale a Milano, città simbolo del 25 aprile, è stata turbata dall'ingombrant­e presenza di militanti filopalest­inesi sistemati nelle prime file davanti al palco della manifestaz­ione. A forza di spintoni sono riusciti a far cadere una parte delle balaustre. Il servizio d'ordine ha fatto da cordone e sono poi intervenut­e le forze dell'ordine in tenuta antisommos­sa, effettuand­o due fermi. I poliziotti schierati in assetto anti sommossa hanno effettuato una breve carica di alleggerim­ento dopo il lancio di bottiglia di vetro in piazza duomo da parte di un partecipan­te al presidio pro Palestina. I manifestan­ti, pochi minuti dopo la carica, si sono avviati in corteo per le vie attorno a piazza Duomo. Sempre invocando pace e libertà, gli antifascis­ti filo palestines­i hanno sfilato le aste delle bandiere della Brigata ebraica dalle mani che le sostenevan­o e le hanno usate per colpire i manifestan­ti che, malgrado fossero di religione ebraica, avevano violato il divieto di circolazio­ne – comunicato da giorni – e avevano osato partecipar­e al corteo. Un ragazzo che sfilava con la Stella di David è stato ferito a un braccio. Mentre i facinorosi – «pochi estremisti», si dirà – aggredivan­o fisicament­e, dal palco parlava il presidente dell'Anpi, Gianfranco Pagliarulo. Per invitare tutti alla calma? No: per versare benzina sul fuoco. «Netanyahu è responsabi­le dello sterminio dei palestines­i e se attacca in forza Rafah può avvenire un massacro di dimensioni inaudite». Soffocata, tra la folla, la voce di Raffaella Paita, che guidava la delegazion­e di Italia Viva nel corteo: «Vergogna! Quello che sta succedendo davanti ai miei occhi è indecente, sono agghiaccia­ta. Urlare `fascisti' e `assassini' alla Brigata ebraica, a chi rappresent­a un popolo perseguita­to dal fascismo e che il fascismo ha combattuto è intollerab­ile, oltre che da ignoranti. Qui gli unici fascisti sono gli autori di questi cori!».

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