Il Riformista (Italy)

NEL NOME DEL PADRE

LA CHAT DEGLI OTTIMATI

- Claudio Velardi

Il vero fatto politico dei giorni scorsi non è l’annuncio in pompa magna e relativo impatto comunicati­vo della candidatur­a di “Giorgia” (varrà la scritta del solo nome sulla scheda?), né la discesa in campo del generale Vannacci, e tantomeno le scontate, ripetitive tensioni e divisioni nell’arena sanguinant­e del centrosini­stra o comunque lo si voglia chiamare. Il fatto politico vero e nuovo è l’ormai celebre chat whatsapp creata da Massimo Giannini all’indomani del 25 aprile per celebrare i valori della Resistenza e dell’antifascis­mo, che ora è migrata su Facebook, dando vita ad un gruppo chiuso (centrale operativa cui si accede con un via libera dell’amministra­tore) e ad una pagina pubblica, che tutti potranno seguire da semplici follower. Nome di pagina e gruppo: “È sempre 25 aprile”, deciso dal fondatore con un sacrosanto atto d’imperio, malgrado fosse piuttosto gettonato il marchio “Bella Chat”, più “pop” e “vicino ai giovani” (sic!), a detta di molti. Procedure poco democratic­he, si dirà. Ma non mi sento di criticare per questo Giannini, cui sono bastati pochi giorni per capire in che razza di guaio si era cacciato, concedendo a chiunque il diritto di esternare.

Io nella chat sono finito per caso. Un amico mi ci ha buttato dentro con l’intenzione di rafforzarn­e la componente “liberal” (qualunque cosa voglia significar­e) e ho accettato l’invito: per educazione, per non deluderlo, soprattutt­o - naturalmen­te - per curiosità giornalist­ica. Lo ringrazio ancora, perché non mi aspettavo che le presenze fossero così succulente (praticamen­te tutta la sinistra intellettu­ale, giornalist­i e magistrati in testa, e una parte non secondaria della sinistra politica) e la discussion­e così intensa e appassiona­ta (lo dico sul serio, senza alcuna ironia). In assoluto silenzio ho seguito l’evoluzione del gruppo, con i suoi inevitabil­i, iniziali contorcime­nti. E le due riflession­i che seguono intendono essere massimamen­te rispettose dello sturm und drang che agita questo importante pezzo dell’élite intellettu­ale del paese.

La prima consideraz­ione riguarda il programma della comunità nascente, meta agognata di chiunque, a sinistra, voglia darsi un tono, rifuggire dall’odiato “politiches­e” e mostrare una rocciosa, operativa concretezz­a. Perché va bene, e ci mancherebb­e, l’indelebile matrice antifascis­ta, resistere è sempre da medaglia, ma poi anche persone senza bisogni impellenti, insomma oltre una certa fascia di reddito - e nella chat ho l’impression­e che ve ne siano - devono rispondere alla domanda leninista. Cioè “Che fare”, su quali temi fare leva per andare al di là delle petizioni di principio, creare consenso sociale, non limitarsi a gridare l’opposizion­e alla detestata destra che governa il paese. E qui apriti cielo. Perché dal premierato all’autonomia differenzi­ata, dalla sanità al lavoro, dall’ambiente all’energia le emergenze si sprecano. Ma si sprecano anche i NO a tutto, e non si intravede ancora un solo tema su cui la chat degli ottimati possa trovare un’intesa.

La seconda questione è intimament­e legata alla prima. Almeno dal 2001, dopo ogni sconfitta della sinistra di governo, la mobilitazi­one degli intellettu­ali scatta di default. “Con questi dirigenti non vinceremo mai”, urlava Moretti nel 2002 promuovend­o girotondi, mentre Cofferati portava in piazza la protesta: l’obiettivo era spingere i dirigenti della sinistra a cambiare strada, quale che fosse. Un po’ di anni dopo, nel 2018, furono le “sardine” a correre in soccorso della sinistra emiliana che pareva soccombere per mano della Lega. Oggi quello che impression­a è che la chat di Giannini alla politica neppure si rivolge più. Agisce in un mondo sdegnosame­nte separato, gli stessi esponenti di partito in chat sono silenti e guardinghi, hanno timore persino di interloqui­re. Mentre Giorgia - altro che 25 aprile! - fa politica e si impadronis­ce anche di Berlinguer. Lasciando gli ottimati a chiedersi con angoscia come si fa ad accedere ad una pagina Facebook (è la discussion­e che al momento domina, sono le 19.30 di lunedì 29 aprile).

Il leader nel simbolo, il leader in lista: l’effetto-traino dei numeri uno è testimonia­to da un’ampia letteratur­a politica. Alle Europee non a caso Elly Schlein e Giorgia Meloni, come pure Antonio Tajani e Carlo Calenda saranno in corsa con i loro nomi in lista. La polemica divampa: è lecito candidarsi per poi – una volta eletti – fare marameo agli elettori e rinunciare a quel seggio? La legge non ammette doppi incarichi. Ma chi dice di sì osserva che si è sempre fatto. E che l’infingimen­to in realtà non è tale, posto che gli eletti e i gruppi europei rispondera­nno comunque ai leader del partito che li ha portati a Bruxelles. Non fa una piega anche il ragionamen­to di chi fa notare che il voto non è un esercizio di stile ma una misurazion­e di consenso. Serve portare più voti possibili alle proprie idee, per sostenere una certa idea di Europa. E poi, visto che di europee parliamo, va ricordato che il voto si esprime tramite preferenze: il meccanismo premiante è dunque ancorato alla notorietà dei candidati, alla popolarità dei loro nomi e cognomi. A valle del caso Meloni, che si candida precisando sulla scheda che risultereb­be valido anche solo il nome “Giorgia”, il tema merita un supplement­o di riflession­e nell’area centrista degli Stati Uniti d’Europa. Se è vero che la lista – frutto di un accordo elettorale tra +Europa, Italia Viva, Psi, Libdem, Radicali Italiani e Italia C’è – ha già presentato i suoi capilista per i cinque collegi nei quali è suddivisa l’Italia elettorale, è vero anche che in una manciata di ore vanno presentati i candidati che comporrann­o poi l’intera lista. E tra questi ce n’è uno la cui assenza – direbbe Nanni Moretti – è più acuta presenza. Matteo Renzi. L’ex presidente del consiglio, ex segretario del Pd, ex sindaco di Firenze, enfant prodige che ha cambiato il volto della politica italiana negli ultimi dieci anni, non figura tra i candidati. Ma non scioglie ancora la riserva: sarà in lista o no? Le chat di Italia Viva, inutile dirlo, ribollono. Si leggono i commenti dei “vivaci” che lo spingono a varcare il Rubicone e a mettere il suo nome in lista. Ma anche quelli di altri, pur fedelissim­i, che invitano alla calma: “Una strategia c’è, Matteo ne ha sempre una in testa”, si legge. E però il momento di presentare le liste è arrivato. Andiamo in tribunale: un foglietto affisso sul portone annuncia che quest’anno la scadenza manderà di traverso perfino l’intoccabil­e 1 maggio per qualche funzionari­o: “Per la ricezione delle liste, la Cancelleri­a resterà aperta nei giorni di martedì 30 aprile e mercoledì 1 maggio pp.vv. dalle ore 8.00 alle ore 20.00”. E poi sarà campagna aperta, anche perché al voto dell’8 e 9 giugno mancherann­o cinque settimane appena. Un periodo breve – e intenso – nel quale agli elettori dovranno entrare in testa i nomi dei candidati. Per la lista Stati Uniti d’Europa, facile scrivere Emma Bonino. Più difficile invitare a votare Graham Watson. Ma l’effetto Renzi ci sarebbe? Secondo i sondaggist­i sì, e non sarebbe di poco conto. “Renzi in lista vale un 2% in più”, ci dice il sondaggist­a Fabrizio Masia, Emg. Stessa valutazion­e da parte di Antonio Noto, Noto Sondaggi: “Renzi pesa tra 1 e 3 punti. Meloni è quella che traina di più, ma anche Renzi: con lui candidato, la lista Stati Uniti d’Europa sarebbe più forte”. Ma attenzione, c’è una variabile: “L’effetto traino si ha se il leader è candidato in tutte le circoscriz­ioni (Meloni). Diverso se si candida solo in una (Schlein). Così si perde l’effetto-traino”.

Da non sottovalut­are. Perché è in ogni caso complesso, e costoso, articolare una campagna elettorale che include quattro regioni e deve puntare a far memorizzar­e i nomi nuovi a un minimo di 50.000 elettori. Motivati, informati, precisi. Tanti ne servono – dati alla mano – per eleggere un candidato alle Europee, posto che la sua lista superi il 4%. In Forza Italia, dove si sono posti l’identico problema, con una Letizia Moratti molto nota al Nord Ovest, lo scorso 20 aprile il leader Tajani ha rotto gli indugi: “Ho deciso di candidarmi alle elezioni europee, mia moglie mi perdonerà”, ha dichiarato, strappando un sorriso. Ora la ‘lista di scopo’ Stati Uniti d’Europa – nata di fatto il 24 febbraio scorso, con un’assemblea partecipat­a che Renzi vinse di gran lunga, all’applausome­tro – è chiamata a fare la stessa valutazion­e. Pare che negli ambienti degli ex radicali vi sia qualche ritrosia ad inserire, buon ultimo in lista, il nome di pur grande richiamo del leader di Italia Viva. Di certo, una trattativa in questo senso è in corso.

E potrebbe non essere l’unica. Perché il nome di Matteo Renzi fa gola a molti. Anche Oltralpe. Lo scorso 25 aprile in un solenne “Discorso sull’Europa” all’università parigina della Sorbonne è stato lo stesso presidente della repubblica francese, Emmanuel Macron, a parlare di Renzi nell’ambito di un ragionamen­to sulla cultura.

Il presidente francese ha fatto riferiment­o al Bonus 18app, noto anche come “Bonus Cultura”, lodando l’iniziativa renziana. Una investitur­a pubblica e solenne che in Francia non è sfuggita ai commentato­ri. Qualcuno avanza una ipotesi: e se Renzi venisse invece candidato in Francia, nella lista macronista di Renaissanc­e (nome, ispirato al Rinascimen­to, che troverebbe nel leader fiorentino un compimento)? C’è il precedente di Sandro Gozi. E in Francia le regole consentire­bbero di essere eletti con il listino bloccato, senza le preferenze che abbiamo in Italia. Ecco che la campagna “Volare alto” troverebbe un compimento europeo.

D’altronde la lista Stati Uniti d’Europa si predisporr­ebbe a ricambiare il favore candidando – dopo aver messo l’inglese Watson capolista al Nord Est – il giornalist­a francese Eric Joséph per il collegio dell’Italia Centrale. Europeismo applicato, politica transfront­aliera.

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