Il Riformista (Italy)

Israele-Hamas, negoziato sugli ostaggi Gli Stati Uniti spingono per l’intesa

L’amministra­zione Biden ha tutta l’intenzione di arrivare a un accordo che risolva, almeno temporanea­mente, due problemi: la crisi umanitaria nella Striscia e i timori di un attacco a Rafah. Tarda ad arrivare il via libera all’operazione Netanyahu al bivi

- Lorenzo Vita

Attaccare Rafah o fermare l’operazione. Sperare in un accordo con Hamas assecondan­do i parenti dei rapiti, buona parte dell’opinione pubblica e i partner internazio­nali o dare ragione alla destra radicale che vede col fumo negli occhi qualsiasi intesa con chi ha colpito lo Stato ebraico.

Per il premier Benjamin Netanyahu sono ore decisive. E lo sono anche in quell’ultima città nel sud della Striscia di Gaza, dove sono rifugiati i restanti battaglion­i di Hamas: il luogo della battaglia decisiva tra la milizia palestines­e e Israele.

Da giorni gli aerei delle Tsahal hanno ripreso a bombardare la zona dove i combattent­i di Hamas si nascondono tra i tunnel, gli edifici civili e facendosi scudo con gli ostaggi e milioni tra residenti e profughi. Solo l’ultimo attacco realizzato dai jet dello Stato ebraico avrebbe fatto più di 20 morti. Ma Netanyahu, che ha più volte avvertito di un attacco non solo imminente ma anche indispensa­bile, appare intenziona­to a prendere tempo aspettando soprattutt­o due evoluzioni.

La prima, quella del negoziato con Hamas sulla liberazion­e dei rapiti (33 secondo Kan News) e la tregua.

La seconda, quella del nuovo tour del segretario di Stato Usa, Anthony Blinken, in Medio Oriente, che - dopo essersi recato in Arabia Saudita - è atteso anche in Israele.

Le trattative con Hamas sono a un punto di svolta.

La massima pressione con la minaccia dell’assedio di Rafah sembra avere indotto la milizia palestines­e a una maggiore propension­e all’ascolto. I funzionari di Hamas sono tornati al Cairo per discutere l’ultima offerta di Israele (40 giorni di tregua e migliaia di detenuti palestines­i rilasciati, secondo il ministro degli Esteri britannico, David Cameron).

Il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, ieri ha detto di essere “fiducioso” sulle discussion­i poiché “la proposta ha tenuto conto delle posizioni di entrambe le parti”.

E anche Blinken ha fatto capire che il pallino del gioco è nelle mani palestines­i. “Hamas ha davanti a sé una proposta straordina­riamente generosa da parte di Israele.

E in questo momento, l’unica cosa che si frappone tra il popolo di Gaza e un cessate il fuoco è Hamas.

Devono decidere e devono decidere in fretta. E spero che prendano la decisione giusta”, ha detto il capo della diplomazia Usa. Segno che l’amministra­zione Biden ha tutta l’intenzione di arrivare a un accordo che risolva, almeno temporanea­mente, due problemi: la crisi umanitaria nella Striscia e i timori di un attacco a Rafah che Washington ha ribadito di non volere.

Netanyahu lo sa, ed è per questo che sta aspettando a dare il via libera all’operazione. Gli Stati Uniti continuano a lavorare al completame­nto del molo che deve portare gli aiuti via mare all’exclave palestines­e. Ma quello che preoccupa Biden non è solo l’allargamen­to del conflitto (ieri altri 20 razzi sono stati lanciati dal Libano contro Israele proprio da frange di Hamas nel Paese dei cedri) ma soprattutt­o una Striscia senza un piano per il presente e per il futuro. Al punto che Blinken ha già messo a punto con i sauditi un progetto per normalizza­re i rapporti tra Arabia e Israele, soprattutt­o in chiave anti Iran, che passa anche per il dopoguerra a Gaza.

“Per andare avanti con la normalizza­zione, saranno necessarie due cose: la calma a Gaza e un percorso credibile verso uno Stato palestines­e”, ha detto alla riunione del World Economic Forum a Riad.

Tema su cui l’Alto responsabi­le della Politica estera Ue, Josep Borrell, sempre dalla capitale saudita, è andato anche oltre, annunciand­o che entro la fine di maggio diversi Stati membri riconoscer­anno la Palestina come Stato.Il pressing Usa è molto sentito da Netanyahu, che sa che Washington è un alleato troppo importante per rinunciarv­i.

Tuttavia anche le pressioni interne hanno un peso non indifferen­te nell’esecutivo israeliano.

E se i parenti degli ostaggi continuano a mobilitare l’opinione pubblica per far sì che il premier concluda un accordo il prima possibile, Bibi deve prestare attenzione anche a una destra radicale sul piede di guerra.

Il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, ha già chiarito che il governo che non invade Rafah “non avrà diritto di esistere”.

E il ministro della Sicurezza interna, Itamar Ben-Gvir, ha sostenuto che “un accordo sconsidera­to equivale allo scioglimen­to del governo”.

A sostenere l’intesa è invece l’opposizion­e interna al governo di emergenza, quella dell’ex generale Benny Gantz (e probabile prossimo premier in caso di elezioni anticipate), che al contrario dell’ultradestr­a pensa che “se si raggiunge un piano responsabi­le per la restituzio­ne degli ostaggi con il sostegno dell’intero apparato di sicurezza - il che non implica la fine della guerra - e i ministri che hanno guidato il governo il 7 ottobre lo impediscon­o, il governo non avrà il diritto di continuare ad esistere”.

L’esecutivo è spaccato. E mentre Hamas studia la controffer­ta israeliana, Rafah attende il suo destino tra la richiesta di aiuti e le Israel defense forces pronte a scatenare l’offensiva.

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