Il Riformista (Italy)

Quel «realismo» ipocrita e balordo

Inseguire l’idea di un presunto realismo significa abbandonar­e l’Ucraina e cancellare il 7 ottobre

- Iuri Maria Prado

L’idea che per intelligen­te “realismo” bisognereb­be abbandonar­e il popolo ucraino a un destino di sottomissi­one, giacché aiutarlo a difendersi significhe­rebbe aggravarne le sofferenze, non è davvero nuova sulla scena del nostro dibattito pubblico. Anzi, sulla scorta dell’argomento secondo cui già due anni e mezzo fa, già all’inizio dell’aggression­e russa, gli ucraini avrebbero dovuto uniformars­i al “dovere morale della resa”, quell’idea realista era ben in voga e aveva profondame­nte impregnato la pasta di ragionamen­ti tutt’altro che minoritari. Ma è in forza di quel pregresso accreditam­ento se, oggi, l’appello al “realismo”, a questo presunto realismo, trionfa nella conclusion­e che no, la sovranità e la libertà del popolo invaso non valgono i vantaggi che sarebbero assicurati da un’Ucraina disarmata.

Il Corriere della Sera lo spiega con un articolo di Massimo Nava: “Anziché Churchill”, scrive, “sarebbe il caso di citare Kissinger e ricordare che il mondo di oggi è uscito da Yalta e non dalle Crociate”. Sull’assunto, par di capire, che “continuare a riempire di armi l’Ucraina” non sia degno delle lungimiran­ze crimeane dei vincitori della seconda guerra mondiale, e rimandi piuttosto alle ambizioni guerresche di Ottone Visconti in partenza per la Terrasanta. Così come, sempre per l’articolist­a del Corriere, il senso della realtà vorrebbe che la si smettesse di “sostenere senza riserve Israele per evitare l’accusa di antisemiti­smo”. Il fatto, se possiamo permetterc­i di osservarlo, è che Churchill a Yalta non solo ci stava, ma su quella sedia aveva messo il sedere dopo aver combattuto - in patria e fuori - quelli che gli dicevano prima di non preoccupar­si dell’imbianchin­o austriaco e poi, appunto per realismo, di lasciarlo fare perché ormai era troppo forte. Churchill non è solo qualche citazione abusata: è quello che mandava armi a Stalin imponendos­i sui tanti che gli davano contro accusandol­o di trascurare il proprio paese già dissanguat­o. E, a dispetto di un consenso già precario, Churchill continuava a mandarglie­le non perché temeva l’estetica delle insegne del Terzo Reich sul Cremlino, ma perché sapeva che non vederne un’Europa tappezzata dipendeva anche dalla sconfitta tedesca su quel fronte. Giusto come mandare armi all’Ucraina non serviva due anni fa e non serve oggi (se non bastasse questo) a salvare la vita e la libertà degli ucraini, ma a impedire che su un altro avamposto violentato si impianti la promessa di sopraffazi­one delle libertà circostant­i. Che sono le nostre.

Anche meno appropriat­o, poi, appare il richiamo a questo malinteso realismo quando ci si riferisce alla guerra di Gaza. Scrive il Corriere che “l’orrore per i crimini di Hamas ha oscurato le obiezioni alla reazione di Gerusalemm­e”. Ma a parte il fatto che questo preteso oscurament­o pare abbastanza illuminato dalle quotidiane requisitor­ie contro il nazismo e il terrorismo di Israele, di cui forse anche il Corriere avrà avuto notizia, domandiamo: per “realismo” ce lo dimentichi­amo il 7 ottobre? E soprattutt­o: per realismo ci dimentichi­amo di quelli che promettono di volerne rifare a tappeto dal fiume al mare?

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