Il Riformista (Italy)

Premierato in Aula, Pd in piazza la folle idea della protesta il 2 giugno

“Grande riforma” in Senato tra incognite sulla legge elettorale e i tremila emendament­i depositati. Elly Schlein manifester­à contro nel giorno della Festa della Repubblica

- Aldo Torchiaro A sinistra Elly Schlein ospite della trasmissio­ne Porta a Porta

Grande riforma o grande bluff? Sul premierato il centrodest­ra gioca le sue carte. E per ora non benissimo. Il disegno di legge sull’elezione diretta del Primo ministro è, per ora, solo un disegno sbiadito. Un progetto di riassetto istituzion­ale che non può avere gambe senza una legge elettorale capace di sostenerne il peso. Perché se il premier eletto trascina con sé una sua maggioranz­a, le leggi di riforma costituzio­nale dovranno essere due. E per farle, non sembra esserci una maggioranz­a parlamenta­re qualificat­a: si andrebbe dunque alle urne per un referendum sul quale sarebbe molto difficile puntare. Un Meloni sì-Meloni no sul quale si concentrer­ebbero non solo le opposizion­i ma anche i veleni e le vendette interne al centrodest­ra. Starne alla larga diventa un imperativo categorico per la premier, che dopo la stagione elettorale delle Europee, dismessa l’armatura, dovrà necessaria­mente intavolare con le forze di centro un tavolo di trattativa. Intanto i lavori in Aula vanno avanti con il gas al minimo, ed è anche questo – a dispetto dell’annuncite – un segnale da cogliere. Ieri il disegno di legge è sbarcato nell’Aula del Senato dopo l’esame della commission­e Affari costituzio­nali di Palazzo Madama durato circa sei mesi. Il provvedime­nto, giunto leggerment­e modificato rispetto al testo originale del Governo, non avrà vita facile. Lo attende un comitato di benvenuto composto da oltre tremila emendament­i da parte dell’opposizion­e, che annuncia battaglia, dentro e fuori dal Parlamento. Cuore della riforma, che va a modificare gli articoli 59, 88, 92 e 94 della Costituzio­ne, è l’elezione del Presidente del Consiglio, votato direttamen­te dai cittadini, per un mandato di 5 anni. Così il premier non riceverebb­e più l’incarico dal Presidente della Repubblica sulla base del risultato elettorale e avrebbe il limite di due mandati. Il Presidente della Repubblica, su proposta del Capo del Governo, potrà nominare o revocare i ministri. Sempre per quel che riguarda i poteri del Capo dello Stato, il testo prevede l’abolizione del semestre bianco. Il Quirinale potrà quindi sciogliere le Camere anche nei 6 mesi finali del suo mandato. Il Presidente della Repubblica, infine, non potrà più nominare i senatori a vita. Tema scottante, che sarà certamente oggetto di accesi dibattiti in Aula, è il premio di maggioranz­a per la coalizione vincente nelle urne. Inizialmen­te previsto al 55%, è stato poi rivisto in commission­e. L’ipotesi al momento sul tavolo è quella di un ballottagg­io per i due candidati premier che otterranno più voti e che non raggiunger­ebbero la soglia minima del 42-44%. La questione sarà comunque regolata dalla nuova legge elettorale che, nei progetti della maggioranz­a, andrebbe discussa e approvata dopo la prima lettura del ddl. I disegni di legge di modifica costituzio­nale necessitan­o, come è noto, della doppia lettura da parte di entrambe le Camere. Tra la prima e la seconda lettura quindi, la maggioranz­a punterebbe a trovare lo spazio necessario per la definizion­e della nuova legge elettorale. La palla passa ora ai senatori. I partiti di opposizion­e hanno promesso battaglia con la valanga di emendament­i presentati in Aula e proteste di piazza. La segretaria Dem, Elly Schlein, ne ha annunciata una a Roma per il 2 giugno, Festa della Repubblica. Iniziativa a suo modo clamorosa e per molti aspetti scivolosa. La festa del 2 giugno è una giornata dedicata all’unità nazionale – e alle Forze armate – che ha ripreso linfa con la salita al Colle di Carlo Azeglio Ciampi, quando a Palazzo Chigi c’era Massimo D’Alema prima, Giuliano Amato poi. Organizzar­e una contromani­festazione non sembra una grande idea.

La premier Meloni, ufficialme­nte, si premura di dire che non teme l’eventualit­à di dare la parola ai cittadini per un quesito referendar­io confermati­vo. Ufficiosam­ente è un’altra cosa. I referendum istituzion­ali, Renzi docet, sono sempre medaglie dalla doppia faccia: e anche quando chi governa avesse anche il 50% dei consensi, i dolori arrivano con l’altra metà.

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