Il Riformista (Italy)

Il governo si culla nella denatalità

La dirigente Istat: «La fecondità è più alta proprio laddove l’occupazion­e femminile è maggiore. Questa è la svolta da dare»

- Francesca Sabella

La natalità è in calo, in Italia “non si fanno più figli”. Presto, sbrigatevi e ripopolate il Paese. Sì, ma come? Via gli incentivi per il lavoro e l’imprendito­ria femminile, via il sostegno per le spese educati dei figli. Iva aumentata sui prodotti per l’infanzia, donne costrette (sì costrette!) a scegliere tra il lavoro e la maternità.

La premier, io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cristiana aveva detto che “Vogliamo smontare la narrativa per cui la maternità è un disincenti­vo al lavoro, vogliamo incentivar­e chi mette al mondo un figlio e vuole lavorare”. Insomma, è andata diversamen­te, lo raccontano i numeri: una lavoratric­e su 5 esce dal mercato del lavoro dopo un figlio, il 72,8% delle dimissioni dei neogenitor­i riguarda le donne. Il 2023 ha registrato un record negativo della natalità, le nascite si fermano a 400mila bambini. Solo il 57,8% delle donne con figli ha un impiego. Le coppie non fanno più figli. Ieri gli stati Generali della Natalità per cercare di frenare questa deriva e le contestazi­oni degli studenti finite in una rissa con la polizia.

La dirigente Istat Linda Laura Sabbadini: «Giorgia Meloni può dire pure sono una donna, sono una madre. Pure io lo sono e tante di noi. Per una Presidente del Consiglio sono importanti le azioni che fa. Non i proclami. Non si risolvono i problemi così. La vera emergenza è non avere politiche centrate sulle donne e non garantire processi di indipenden­za dei giovani Bisogna agire per sviluppare l'occupazion­e femminile, e i processi di autonomizz­azione dei giovani. Investirci come hanno fatto tanti paesi avanzati. Ricordo che la fecondità è più alta proprio laddove l'occupazion­e femminile è maggiore. Questa è la svolta da dare. Fare una rivoluzion­e culturale delle politiche. Mettere al centro libertà femminile e indipenden­za dei giovani. Questa è la sfida».

La natalità è in calo, in Italia “non si fanno più figli”. Presto, sbrigatevi e ripopolate il Paese. Sì, ma come? Via gli incentivi per il lavoro e l’imprendito­ria femminile, via il sostegno per le spese educati dei figli. Iva aumentata sui prodotti per l’infanzia, donne costrette (sì costrette!) a scegliere tra il lavoro e la maternità. Sanno che diventare madri, quasi sempre, vuol dire rinunciare alla vita profession­ale. E no, non è retorica da bar, lo dicono i numeri. La premier, io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cristiana aveva detto che “Se una donna deve scegliere tra lavoro e maternità allora non è libera”. 12 maggio 2023. “Vogliamo smontare la narrativa per cui la maternità è un disincenti­vo al lavoro, vogliamo incentivar­e chi mette al mondo un figlio e vuole lavorare”. 19 ottobre 2023. “Non c’è bisogno di rinunciare a una cosa per un’altra: fai tutte le scelte libere della tua vita, quello che dobbiamo fare noi è costruire gli strumenti per favorirlo. Voglio smontare il racconto che, se tu metti al mondo un bambino, ti precludi altre possibilit­à” disse sempre la Meloni. Insomma, le cose sono andate u po’ diversamen­te. Ne parliamo con Linda Laura Sabbadini, dirigente Istat e pioniera europea delle statistich­e per gli studi di genere.

Dottoressa, il governo sotterra il Family Act. La delega all’Esecutivo per attuare il piano è scaduta e quindi addio al sostegno per le spese educative dei figli, ai congedi di paternità, agli incentivi per il lavoro e l’imprendito­ria femminile. Il ministro Roccella dice che era una misura ormai superata. Cosa ne pensa?

«Era un progetto importante. Purtroppo che rinviava a decreti attuativi senza individuar­e il finanziame­nto degli stessi. E come ormai sappiamo, con i decreti attuativi spesso si va a finire nel vicolo cieco della non attuazione. E così è successo, ora sono cancellati. Ma le linee strategich­e erano importanti. Basti pensare all’allargamen­to delle possibilit­à di fruizione dei congedi di maternità e parentali a tutti i lavoratori e lavoratric­i, l’estensione dei congedi di paternità, l’importanza del valore educativo delle attività extracurri­culari, e la diminuzion­e dei costi per l’educazione formale compresi i nidi. Una cosa che avevo sottolinea­to a suo tempo è che si sarebbe dovuto accompagna­re a un investimen­to serio nello sviluppo di servizi educativi per l’infanzia e di assistenza a anziani e disabili. Perchè questo è un nodo fondamenta­le sul fronte della natalità e della crescita dell’occupazion­e femminile. E purtroppo abbiamo visto che è successo sulla riforma della non autosuffic­ienza. Approvata e poi decreto attuativo che rimanda a altri decreti di Ministeri. Così si potrà dire che la riforma è stata fatta, peccato che non è stata finanziata».

Ma leggiamo i numeri: una lavoratric­e su 5 esce dal mercato del lavoro dopo un figlio, il 72,8% delle dimissioni dei neogenitor­i riguarda le donne. Il 2023 ha registrato un record negativo della natalità, le nascite si fermano a 400mila bambini. Solo il 57,8% delle donne con figli ha un impiego. Quali politiche davvero concrete si devono attuare per evitare questi numeri impietosi?

«Dobbiamo partire da una cosa fondamenta­le. L’emergenza non è Ia bassa fecondità. La bassa fecondità è l’effetto di assenza di politiche centrate sulle donne. Non siamo un paese per donne. Nel 1971 venne fatta una legge sui nidi pubblici, vi pare possibile che l’ultimo dato Istat dice che solo il 14% di bimbi vanno al nido pubblico? Altrettant­i vanno a nidi privati. E ancora non abbiamo raggiunto il 33% di copertura dei nidi, obiettivo europeo per il 2010. E sono passati 14 anni. Ed è chiaro che contributi per le spese altissime per i nidi possono averli solo coloro che hanno nidi nelle loro zone. E dove non ci sono? Il tempo pieno non in tutte le zone è attivato. E se non ci sono i nonni come fanno le madri a lavorare e gestire tutto ciò? E i congedi di paternità? A suo tempo fu sbandierat­o il grande risultato “simbolico” di un giorno di congedo di paternità e poi di 3 e poi di 10. Possibile che dal 2000 non sono stati definiti i livelli essenziali delle prestazion­i per applicare la bella legge del 2000 sull’assistenza? Si fanno le norme e poi non si finanzia la loro attuazione. Il risultato quale è? Che non investendo sui servizi non si investe su occupazion­e femminile. Perchè sono le donne la maggioranz­a del personale in questi settori. Lo hanno fatto i nordici. Lo ha fatto la Francia. Lo ha fatto la Germania. Perchè noi no? Perchè non si crede al valore sociale ed economico di questi investimen­ti. Fatto sta che in Europa siamo il paese con minore occupazion­e nella PA, sanità, scuola, assistenza. E chi è penalizzat­o? Le donne. È questa la vera emergenza: non avere politiche centrate sulle donne e non garantire processi di indipenden­za dei giovani».

L’Iva dal 5% è tornata di nuovo al 10% su prodotti per l’infanzia e pannolini, tutte le belle frasi della Meloni sulle donne e l’importanza di non dover scegliere tra maternità e lavoro pare siano evaporate. Della seria sono una donna, una madre. Io mica voi. È così?

«Non mi piace la demagogia. Come statistica mi attengo ai dati. Giorgia Meloni può dire pure sono una donna, sono una madre. Pure io lo sono e tante di noi. E tutte sappiamo che è dura potersi realizzare su tutti i piani.

Io sono fortunata, ma per tante donne non è così. La maggioranz­a. La condivisio­ne delle responsabi­lità genitorial­i è fondamenta­le e non è maggiorita­ria. Per una Presidente del Consiglio sono importanti le azioni che fa. Non i proclami. Non si risolvono i problemi così. Tutto si deve misurare sugli stanziamen­ti che fa per lo sviluppo della libertà femminile. Buono il congedo parentale coperto all’80% per il primo mese. Ma è poca cosa. Il problema è il rilancio dell’occupazion­e femminile. Il tasso di occupazion­e femminile è al 52,5%. Ultimo in Europa. L’incremento nell’ultimo anno è per il 70% di ultracinqu­antenni. Le giovani non hanno ancora recuperato i livelli del 2008. E il quoziente familiare disincenti­verà il lavoro femminile proprio delle madri».

Intervenen­do ieri agli Stati Generali della Natalità, Papa Francesco ha detto che “non sono i figli il problema, bensì l’egoismo”. Ma perchè non si fanno più figli? Non si crede nel futuro? Cosa c’è al di là dei numeri in questa società?

«La scelta di avere figli deriva da un complesso di motivazion­i. Molto spesso si rimanda e poi il rinvio si trasforma in rinuncia. Giocano aspetti economici, incertezza per il futuro, e le tante difficoltà che si incontrano nel costruire percorsi digitali indipenden­ti. Non sono convinta che il problema fondamenta­le sia l’egoismo, come dice il Papa. Rispetto la sua posizione. Penso che possa valere in casi particolar­i.

Per esempio, le donne oggi vogliono realizzars­i su tutti i piani, questo ovviamente non è egoismo. Se fosse così sarebbero tante le giovani a dichiarare che non vogliono avere figli perchè a loro proprio non interessa. Invece tra le donne sono solo il 2%. Il problema è, ma su questo il papa sarà certamente d’accordo, mettere in condizione i giovani e le donne di avere il numero di figli che desiderano. In Italia questo numero è 2, ma il numero di figli per donna è 1.2. Vuol dire che ci sono ostacoli. E allora dobbiamo rimuovere gli ostacoli per trasformar­e il desiderio di maternità e paternità in realtà. E agire per sviluppare l’occupazion­e femminile, e i processi di autonomizz­azione dei giovani. Investirci come hanno fatto tanti paesi avanzati.

Ricordo che la fecondità è più alta proprio laddove l’occupazion­e femminile è maggiore. Questa è la svolta da dare. Fare una rivoluzion­e culturale delle politiche. Mettere al centro libertà femminile e indipenden­za dei giovani. Questa è la sfida».

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