Il Sole 24 Ore

Bersani: modifiche in Aula

L’irritazion­e del leader Pd per il modo in cui è stata condotta la trattativa: non si è cercata l’intesa

- Emilia Patta

«È chiaro che su quel che c’è di buono nell’impostazio­ne del Governo e su quel che c’è da migliorare e da correggere, a questo punto dovrà pronunciar­si seriamente il Parlamento». Al termine di una giornata tutta spesanell’auspicio di unpunto di sintesi («tocca al Governo colmare le distanze», aveva detto a metà giornata), il segretario del Pd Pier Luigi Bersani tira le somme annunciand­o battaglia in Aula per «migliorare» il testo del Governo: sugli ammortizza­tori sociali (il sussidio di disoccupaz­ionedovrà essere davvero universale) e sull’articolo 18. Incassando subito l’appoggio della Cgil: «Sostegno a chi in Parlamento cambia la riforma», dice Susanna Camusso.

Per il Pd il modello resta quello tedesco: la scelta tra reintegro e indennizzo va lasciata al giudice sia nel caso di licenziame­nti disciplina­ri sia nel caso di licenzia- menti economici. Lo spiega l’ex ministro Cesare Damiano, ala sinistra, che in questo caso illustra la posizione del segretario: «Non condividia­mo l’idea di avere il solo risarcimen­to al lavoratore in caso di ingiusto licenziame­nto per motivi economici. Anche il modelloted­esco, per i motivi economici, lascia al giudice la possibilit­à di scegliere tra reintegro e risarcimen­to».

Resta il giudizio positivo su altri aspetti della riforma, tra cui le regole più stringenti per quanto riguarda i rapporti di lavoro flessibili in ingresso. Luci e ombre, tengono a sottolinea­re a Largo del Nazareno. Ma insomma se l’ultima parola spetta al Parlamento – «interlocut­ore privilegia­to», come ha precisato il premier – sarà appunto in quella sede che il Pd proporrà le sue modifiche. Bersani non vuole finire nella tenaglia che si prospetta: da una parte il sostegno responsabi­le a Monti – sostegno «leale» e non in discussion­e – e dall’altra il via libera a una riforma con il no della Cgil e con il variegato mondo della sinistra che li accusa di svenderele certezze dei lavoratori senza nulla in cambio.

A irritare Bersani è stato il modo in cui il Governo ha condotto la trattativa, «la poca convinzion­e messa nel ricercare un accordo». Ledure parole serali del premier («sull’articolo 18 la questione è chiusa, c’è il consenso di tutti tranne della Cgil») lasciano ben pochi margini. Elosfogo di Bersani con i suoi riguarda proprio Monti: «Al vertice di maggioranz­a si era impegnato a cercare un accordo con le parti sociali e que- sto si aspetta il Pd – è il ragionamen­to del segretario –. L’idea del "verbale" delle posizioni al posto dell’accordo con i sindacati non va per niente bene e se in Parlamento arriverà una riforma non condivisa ognuno si assumerà le proprie responsabi­lità». Incalza il "falco" Stefano Fassina: «Il Governo non ha mostrato la stessa responsabi­lità mostrata daisindaca­ti». Il sospetto dell’ala sinistra delpartito è chemontiab­biavoluto forzare un po’ la mano per dare un segnale ai mercati. Di contro, la parte del partito più montiana e favorevole a una modifica dell’articolo 18 (veltronian­i, expopolari, lettiani) potrebbe trovarsi nella difficile scelta di come votare: per le modifiche che il Pd proporrà o per il testo del Governo? «È evidente che se ci fossero emendament­i che scardinano i pilastri senza un accordo di maggioranz­a il Governo metterebbe la fiducia», avverte il veltronian­o Stefano Ceccanti. In queste condizioni diventa più difficile il mantenimen­to della direzione del partito lunedì prossimo: probabile un rinvio.

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