Bersani: modifiche in Aula
L’irritazione del leader Pd per il modo in cui è stata condotta la trattativa: non si è cercata l’intesa
«È chiaro che su quel che c’è di buono nell’impostazione del Governo e su quel che c’è da migliorare e da correggere, a questo punto dovrà pronunciarsi seriamente il Parlamento». Al termine di una giornata tutta spesanell’auspicio di unpunto di sintesi («tocca al Governo colmare le distanze», aveva detto a metà giornata), il segretario del Pd Pier Luigi Bersani tira le somme annunciando battaglia in Aula per «migliorare» il testo del Governo: sugli ammortizzatori sociali (il sussidio di disoccupazionedovrà essere davvero universale) e sull’articolo 18. Incassando subito l’appoggio della Cgil: «Sostegno a chi in Parlamento cambia la riforma», dice Susanna Camusso.
Per il Pd il modello resta quello tedesco: la scelta tra reintegro e indennizzo va lasciata al giudice sia nel caso di licenziamenti disciplinari sia nel caso di licenzia- menti economici. Lo spiega l’ex ministro Cesare Damiano, ala sinistra, che in questo caso illustra la posizione del segretario: «Non condividiamo l’idea di avere il solo risarcimento al lavoratore in caso di ingiusto licenziamento per motivi economici. Anche il modellotedesco, per i motivi economici, lascia al giudice la possibilità di scegliere tra reintegro e risarcimento».
Resta il giudizio positivo su altri aspetti della riforma, tra cui le regole più stringenti per quanto riguarda i rapporti di lavoro flessibili in ingresso. Luci e ombre, tengono a sottolineare a Largo del Nazareno. Ma insomma se l’ultima parola spetta al Parlamento – «interlocutore privilegiato», come ha precisato il premier – sarà appunto in quella sede che il Pd proporrà le sue modifiche. Bersani non vuole finire nella tenaglia che si prospetta: da una parte il sostegno responsabile a Monti – sostegno «leale» e non in discussione – e dall’altra il via libera a una riforma con il no della Cgil e con il variegato mondo della sinistra che li accusa di svenderele certezze dei lavoratori senza nulla in cambio.
A irritare Bersani è stato il modo in cui il Governo ha condotto la trattativa, «la poca convinzione messa nel ricercare un accordo». Ledure parole serali del premier («sull’articolo 18 la questione è chiusa, c’è il consenso di tutti tranne della Cgil») lasciano ben pochi margini. Elosfogo di Bersani con i suoi riguarda proprio Monti: «Al vertice di maggioranza si era impegnato a cercare un accordo con le parti sociali e que- sto si aspetta il Pd – è il ragionamento del segretario –. L’idea del "verbale" delle posizioni al posto dell’accordo con i sindacati non va per niente bene e se in Parlamento arriverà una riforma non condivisa ognuno si assumerà le proprie responsabilità». Incalza il "falco" Stefano Fassina: «Il Governo non ha mostrato la stessa responsabilità mostrata daisindacati». Il sospetto dell’ala sinistra delpartito è chemontiabbiavoluto forzare un po’ la mano per dare un segnale ai mercati. Di contro, la parte del partito più montiana e favorevole a una modifica dell’articolo 18 (veltroniani, expopolari, lettiani) potrebbe trovarsi nella difficile scelta di come votare: per le modifiche che il Pd proporrà o per il testo del Governo? «È evidente che se ci fossero emendamenti che scardinano i pilastri senza un accordo di maggioranza il Governo metterebbe la fiducia», avverte il veltroniano Stefano Ceccanti. In queste condizioni diventa più difficile il mantenimento della direzione del partito lunedì prossimo: probabile un rinvio.