Infranto il Grande Tabù
I partiti avranno a disposizione anche il "verbale del negoziato" dove sarà annotato il dare-avere della trattativa, così come interpretato da tutti i suoi attori. Né concertazione, né consociativismo. A ciascuno il suo.
Spetterà dunque alla politica la responsabilità ultima della scelta. È auspicabile che il premier abbia già avuto un via libera preventivo sul metodo, magari proprio durante la lunga notte dell’incontro con Alfano, Bersani e Casini a Palazzo Chigi. Altrimenti il rischio è che sul tema più nobile, quello del lavoro, si scarichino tutte le contraddizioni dell’esperienza dell’"esecutivo strano" guidato da Mario Monti: il Pd spalle al muro nel dover scegliere se stare con la Cgil o no con forte impatto su una leadership già intaccata dalle primarie, il Pdl attento a distinguere la sua posizione liberista e di non contaminazione con le istanze sindacali e in collisione con l’ala sinistra della maggioranza, i centristi non sufficientemente numerosi per dare corpo a sfumature intermedie, il Governo non in grado di fare da cuscinetto rispetto a queste spinte confliggenti.
Eppure il lavoro di trattativa è approdato – come anche nel caso delle altre riforme del Governo Monti – a una sorta di "equilibrio per sottrazione", un risultato ottimale fondato sulla quota di sacrifici che ciascuna parte ha messo a disposizione della mediazione finale. Lo "spacchettamento" dell’articolo 18 in tre fattispecie e la nascita del licenziamento per motivi economici, sanzionabile in caso di illegittimità solo con il risarcimento, è compensato dalla stretta sulla cosiddetta flessibilità in ingresso.
Si è stabilito un forte irrigidimento nei confronti dei part time, dei contratti a termine, dei lavori a progetto, delle partite Iva o dei contratti in partecipazione per evitare forme elusive del contratto full time. Sono previsti, in molti casi, anche un eccesso di procedure di dichiarazione di "ingaggio" e invasivi controlli ispettivi; i contratti flessibili diventano più onerosi perché aumenta la quota di contributi a carico del datore di lavoro; gli stage dovranno essere retribuiti sempre; per le partite Iva è istituita una occhiuta procedura di controllo di eventuali monocommittenze che prefigurino contratti di lavoro subordinato. Un pacchetto di oneri certo non graditi alle imprese.
L’articolo 18 non perde il suo valore di scudo contro i licenziamenti discriminatori, la vera funzione originaria di quella norma, e acquisisce una connotazione più europea mutuando il sistema tedesco che affida al giudice la scelta tra indennizzo o reintegro in caso di recessi disciplinari illegittimi. Nella formulazione scelta dalle parti sociali italiane saranno i contratti a definire una casistica dettagliata per i casi di reintegro.
Il capitolo ammortizzatori sociali si è chiuso con una rivisitazione del piano proposto in un primo tempo dal ministro Elsa Fornero, che prevedeva la fine della cassa integrazio- ne straordinaria e l’avvio di un nuovo ammortizzatore sociale assicurativo di durata molto più ridotta. Si è convenuto che se ne parlerà a partire dal 2017 quando, auspicabilmente, saranno già riassorbiti i brutti colpi della recessione in atto, da gestire ancora con gli strumenti tradizionali quali cassa integrazione straordinaria e indennità di mobilità, istituti questi pagati direttamente dalle grandi imprese (e in quota minore dai lavoratori) a differenza delle casse in deroga per le Pmi a carico invece della fiscalità generale. Il compromesso ha in realtà creato nuove forme di contribuzione a carico di artigiani e commercianti per dare corpo al nuovo ammortizzatore sociale, l’aspi, assicurazione sociale per l’impiego. E, soprattutto, prevede una "dote" finanziaria di circa 1,7 miliardi di euro considerata la quota minima per reggere l’urto finanziario di una riforma ambiziosa.
Nel complesso un compromesso equilibrato che le parti sapranno ulteriormente affinare in queste ore di stesura definitiva dei testi. Hanno ceduto un po’ le imprese, hanno ceduto un po’ i sindacati. Come è naturale nei compromessi. Per la Cgil, con una segreteria spaccata e le tute blu della Fiom già impegnate in uno scoppiettio di scioperi spontanei, non è affrontabile un testo in cui compaia l’articolo 18. Un’occasione persa, perché si tratta di "manutenzione" di una norma il cui valore di bandiera resta intatto. Toccherà a Pier Luigi Bersani spiegarlo a Susanna Camusso. Chissà se si capiranno.