Il Sole 24 Ore

La modernità di Hayek a vent’anni dalla morte

- Linfantino@luiss.it

Quando se ne pronunzia il nome, Friedrich A. von Hayek viene di solito associato, quasi in modo meccanico, a John M. Keynes. Il che è del tutto legittimo. Essi sono stati infatti i maggiori protagonis­ti degli "anni dell’alta teoria", un periodo fervido di idee e di nuove acquisizio­ni. La disputa fra Hayek e Keynes ha riempito interi scaffali delle bibliotech­e; e continuerà a farlo. Ma intanto il tempo ha sedimentat­o molte vicende. E ciò permette di dire che, se dal punto di vista politico o dell’immediatez­za Keynes ha avuto il sopravvent­o, da un punto di vista culturale Hayek ha gettato luce su problemi che non possono essere cancellati, e con cui dobbiamo permanente­mente fare i conti. Egli è stato colui che ha portato a completame­nto la teoria austriaca del ciclo economico, un corpus teorico che aveva consentito agli studiosi di ispirazion­e "austriaca" di prevedere il crollo del 1929 e che pone in evidenza le cause monetarie della crisi economica. È una teoria che può aiutarci a capire anche le ragioni della recessione che pesa sulle nostre spalle, e di cui non s’intravvede ancora il superament­o. Essa spiega infatti che i danni provocati dall’alterazion­e del meccanismo allocativo non possono essere "assorbiti" nel breve periodo.

Hayek non può comunque essere "recluso" dentro la disputa con Keynes. Giunto a Londra con una ben chiara e articolata visione del processo economico-sociale, è fuoriuscit­o dal territorio economico in senso stretto e si è occupato di teoria della conoscenza, diritto, filosofia politica, psicologia teorica, storia delle idee. Il suo lascito intellettu­ale ha una straordina­ria ampiezza e una perdurante fecondità. Oggi che abbiamo a disposizio­ne l’intero quadro delle sue riflession­i, sappiamo che l’ago magnetico da lui utilizzato è quella concezione della società che affida la soluzione dei problemi della vita collettiva alla cooperazio­ne volontaria. C’è qui alla base l’idea della dispersion­e della conoscenza: ogni individuo possiede conoscenze delle circostanz­e particolar­i di tempo e di luogo in cui si trova; e ciò gli garantisce un vantaggio su tutti gli altri.

Le conoscenze di tempo e di luogo sono infinite. E non possono essere centralizz­ate. Da cui consegue che nessuna autorità può sostituirs­i ai singoli attori sociali. Anzi, il potere pubblico deve essere limitato, perché solamente così le conoscenze disperse possono essere mobilitate e tradursi in un grande procedimen­to di esplorazio­ne dell’ignoto e di correzione degli errori.

Se così è, nessuno di noi può mai sapere in anticipo quale sarà il risultato della cooperazio­ne volontaria. Le norme giuridiche garantisco­no il co-adattament­o delle azioni individual­i, ma non ne dettano il contenuto. L’ordine che si afferma non è il prodotto della programmaz­ione di alcuna mente. È un ordine "spontaneo", inintenzio­nale. Tale è l’origine del linguaggio o di istituzion­i quali la famiglia, la città, il diritto, il mercato. Ma è anche il tipo di ordine realizzato dalla globalizza­zione o quanto le informazio­ni scambiate per via telematica producono nella vita di oggi. Ciò significa che Hayek ci aiuta a capire la dinamica di un mondo aperto, in cui enormi e continui flussi di informazio­ne mettono in contatto uomini fra loro sconosciut­i, allargano l’area della cooperazio­ne volontaria e ne moltiplica­no il volume in termini assolutame­nte inimmagina­bili trenta, cinquanta o cento anni fa.

Hayek è stato nel Novecento lo studioso che più ha insistito sulla nascita degli ordini spontanei. Com’è ovvio, la sua riflession­e non è nata dal nulla. Egli ha contratto numerosi debiti con la propria tradizione, soprattutt­o con Carl Menger, fondatore della Scuola austriaca di economia e sua prima fonte di ispirazion­e. E si è reso debitore nei confronti dei moralisti scozzesi (David Hume, Adam Smith, Adam Ferguson, John Millar). A lui si deve tuttavia la feconda coniugazio­ne delle due tradizioni di ricerca. Il suo arrivo a Londra è stato pertanto un evento fortunato della sua biografia intellettu­ale. Ed è stato nello stesso tempo un evento fortunato nella storia delle scienze sociali. Non è senza ragione che la sua opera merita di essere rivisitata.

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