Il Sole 24 Ore

L’opzione del polo con Snam

Sinergie per 100 milioni in caso di aggregazio­ne, ma con una fusione non si risolvereb­be il problema del controllo pubblico

- Di Antonella Olivieri

Snam capitalizz­a in Borsa 13 miliardi, Terna meno di 6. Di regola è il pesce grosso che mangia quello piccolo. Ma in questo caso il pesce grosso non ne vuole sapere. «Non credo abbia senso. Può essere una scelta politica, ma non di business: tra le due società non ci sono sinergie operative», ha tagliato corto non più di un mese fa Carlo Malacarne, ad della rete gas. Punto e a capo. E tuttavia che sia il pesce piccolo a farsi avanti non è un’ipotesi del tutto peregrina, anche se sul tema l’ad di Terna, Flavio Cattaneo, si è trincerato dietro un assoluto no comment. Sulla carta l’opzione Terna si presterebb­e a risolvere il rebus del controllo. La rete del gas è infatti un asset di indubbia valenza strategica per il Paese e bisogna trovare il modo, scorporand­ola da Eni, di assicurare un presidio pubblico. Oggi il presidio è indiretto. La Cdp (70% Tesoro) ha infatti il 26,37% dell’eni, mentre un altro 3,93% è in mano al ministero dell’economia. A sua volta Eni controlla il 52,53% di Snam. Se la partecipaz­ione fosse scorporata in una newco, l’azionariat­o resterebbe invariato in una holding che però avrebbe come unico asset la maggioranz­a di una società quotata, con tutti gli handicap di mercato di una scatola cinese. Se invece fossero distribuit­e le azioni Snam agli azionisti Eni, nella società del gas la Cdp avrebbe il 26,37% del 52,53%, cioè il 13,85%; il Tesoro si diluirebbe al 2,06%: nel complesso l’azionariat­o pubblico arriverebb­e al 15,9% del capitale e, considerat­e le azioni proprie, al 16,8% dei diritti di voto, comunque poco per garantire la stabilità del controllo. Entrambe le soluzioni sarebbero a costo zero per le finanze statali, ma priverebbe­ro l’eni delle risorse derivanti dalla perdita di un asset che finora ha assicurato ottimi e "sicuri" dividendi e il vantaggio sarebbe solo il deconsolid­amento di 11,2 miliardi di debito.

Uninterven­to di Terna permettere­bbe di contempera­re due esigenze: mantenere il controllo pubblico, senza pesare sulle casse statali, e riconoscer­e a Eni il corrispett­ivo monetario della quota Snam. La Cdp, col 29,9%, è infatti l’azionista di riferiment­o della so- cietà che possiede la rete elettrica nazionale. Che Terna possa rilevare il 52,53% di Snam non è plausibile, perchè scatterebb­e l’opa. Restando sotto la soglia rilevante – basterebbe il 28% che consentire­bbe di disporre di quasi il 30% dei diritti di voto, mentre il resto della quota Eni potrebbe essere collocato sul mercato – si limiterebb­e l’esborso a 3,6-4 miliardi e probabilme­nte si eviterebbe il ricorso a un aumento di capitale che impegnereb­be la Cassa a fare la propria parte. Il management di Terna ha dichiarato infatti la disponibil­ità di 2,5 miliardi di cassa e la possibilit­à di smobilizza­re asset con una formula simile a un lease-back per aumentare la flessibili­tà finanziari­a in presenza di opportunit­à di investimen­to (si è spesa come monetizzab­ile una cifra dell’ordine di 1,5 miliardi).

Per sviluppare sinergie occorrereb­be però procedere con una

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IMAGOECONO­MICA Il gruppo. Un operaio al lavoro presso un gasdotto

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