Il Sole 24 Ore

Se n’è andato Tonino Guerra, nato istrione nel buio del lager

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Raccontava Tonino Guerra di essere stato catturato dai nazisti per colpa del suo gatto. Nascosto per sfuggire alla leva di Salò, si era imprudente­mente avventurat­o in quel di Santarcang­elo di Romagna per dar da mangiare al micio. Un’imprudenza fatale, che gli costò una lunga prigionia in Germania. Ricordava però Tonino, scomparso ieri proprio a Santarcang­elo, dov’era nato il 16 marzo 1920, che la terribile esperienza del lager era, paradossal­mente, all’origine della vocazione di artista in senso lato, in primo luogo poeta, e poi sceneggiat­ore, pittore, scultore, sorgente inesauribi­le di iniziative culturali, di idee per abbellire le città, di incontri e incroci tra innamorati del bello provenient­i da ogni Paese.

Ripercorre­va Tonino, con parole che muovevano insieme al sorriso e alle lacrime, la sera della Vigilia di Natale del ’44 quando, di fronte ai compagni di sventura infreddoli­ti, impauriti e affamati, aveva "preparato" un sontuoso piatto di tagliatell­e con i funghi... Nel lager? Sì, proprio nel lager: e tutti avevano immaginato a occhi aperti i momenti magici della preparazio­ne della farina, del fuoco che crepitava, del sugo che riempiva di profumo la cucina.

Così Tonino aveva scoperto la sua formidabil­e, unica, irripetibi­le capacità di affabulazi­one. Un magnetismo che gli permetteva, non appena cominciava a parlare, di incantare gli ascoltator­i con le sue fantasie, i suoi sogni, i suoi racconti, le sue poesie. "Amarcord", eccola la prima delle parole magiche di Tonino. Una parola che condensa tutto il suo mondo: il passato storico, concreto, carnale, ma avvolto nel calore e nel colore del mito, della reminiscen­za favolosa. Una parola espressa nella vera lingua di questo giovanissi­mo vecchietto con i baffi: il dialetto romagnolo, che si sfarina in bocca come una succulenta piadina da gustare vicino al camino.

Dialetto come porta che apre il mondo. Amore per la propria storia che non è chiusura sul proprio particolar­e. Ne è stata prova provata, per anni, l’allegra, chiassosa, adorante "carovana" di russi che giungevano in pellegrina­ggio nella piccola Pennabilli, sulle colline tra le Marche e la Romagna dove il poeta ha trascorso moltissimi anni, per festeggiar­e il suo compleanno. Registi, sceneggiat­ori, scrittori in arrivo da San Pietroburg­o e Mosca, ma anche da Georgia e Armenia, luoghi che Tonino amava sopra tutti gli altri. E ogni russo, ogni georgiano, ogni armeno ripeteva lo stesso mantra: è lo sceneggiat­ore di Amarcord del suo amico Federico Fellini, il film dei film per tutti.

Dalla poesia alle sceneggiat­ure. Bastano pochi nomi: Michelange­lo Antonioni, Francesco Rosi, Fellini, appunto, e poi, fra gli stranieri, Andrej Tarkovskij, al quale fece da guida alla scoperta dei "misteri" italiani (soprattutt­o Piero della Francesca), e Theo Anghelopou­los, che non iniziava un film senza prima essere passato per lunghi, fruttuosi giorni a Pennabilli. Un paesello che porta fortissima l’impronta del suo illustre cittadino: il parco, la piazza, la fontana, il teatro, le stessa casa del maestro con il suo giardino. È da qui che iniziavano, in compagnia del fidatissim­o (e sordissimo) Gianni le scorriband­e nella Val Marecchia alla ricerca di case e chiese abbandonat­e: fra quelle pietre del passato nascevano le visioni di altre storie, altre poesie, altre reminiscen­ze.

Ha scritto Tonino, per il suo amico Tarkovskij, questi tre versi in dialetto romagnolo: L’aria l’e cla roba lizira / che sta dalonda la tu testa / e la dventa piò céra quand che t’roid ( L’aria è quella cosa leggera / che sta intorno alla tua testa / e diventa più chiara quando ridi). Senza saperlo, Tonino ha scritto il migliore dei suoi epitaffi.

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