Sui costi da illecito necessario allineare le regole tributarie a quelle penali
L’articolo 8 del decreto semplificazioni tenta di migliorare la norma sull’indeducibilità di costi e spese penalmente illeciti (articolo 14, comma 4-bis, legge 537/1993). Ma si tratta di una norma che dovrebbe essere integralmente cancellata, perché lega la tassazione agli illeciti penali, come se commettere un reato fosse indice di capacità contributiva. Per di più, l’avviso di accertamento è portato a esecuzione prima della sentenza penale definitiva di condanna, violando la presunzione costituzionale di non colpevolezza.
La norma, invece, è stata riscritta. È stata eliminata la clausola di salvaguardia dei diritti costituzionalmente garantiti, che era priva di senso. L’intervento rettifica solo in parte prassi sbagliate dell’agenzia delle entrate (circolare n. 42/E/2005) ma non chiarisce che la norma si applica solo all’irpef e non all’ires ( societas delinquere non potest). Il lato positivo è nella formula secondo cui la norma si applica solo ai costi di per sé illeciti, e non già (come ritiene l’agenzia) a tutti i costi, anche leciti, riconducibili ad attività penalmente illecite. Un’altra modifica si pone sul piano procedimentale. La norma precedente affidava agli stessi uffici impositori il compito di diagnosticare il reato, per farne discendere il recupero dei costi. E l’agenzia aveva ritenuto che (addirittura) già la trasmissione al Pm di una notizia di reato la autorizzasse ad applicare la norma. Ora l’accertamento tributario dell’indeducibilità è agganciato all’esercizio dell’azione penale, cioè alla richiesta di rinvio a giudizio, e si prevede il rimborso di quanto versato (solo) se il processo penale si chiude con sentenza definitiva di assoluzione. Dovrebbe essere chiaro che la richiesta di rinvio a giudizio non cristallizza l’indeducibilità, che può cessare già a conclusione dell’udienza preliminare, se è pronunciata sentenza di non luogo a procedere. Sentenza che deve essere considerata idonea a far cessare l’indeducibilità dei costi e a dare diritto al rimborso.
Restano aperti numerosi problemi. Se la richiesta di rinvio a giudizio legittima di per sé un avviso di accertamento che recupera i costi illeciti, il contribuente non ha motivi fondati per contestare l’indeducibilità. Il ricorso contro l’avviso dovrebbe essere presentato solo in vista di una sentenza penale assolutoria, ma il processo tributario non può essere sospeso perché pende il processo penale. Se il processo tributario si conclude con sentenza definitiva di rigetto del ricorso, una successiva sentenza penale di assoluzione permette al contribuente di essere rimborsato? Se l’avviso di accertamento non è impugnato, il contribuente che ha pagato ha diritto al rimborso dopo una sentenza penale assolutoria? La norma è lacunosa. Nulla dice sulle sentenze di improcedibilità dell’azione penale per mancanza di una condizione di procedibilità. Nulla è detto a proposito delle sentenze che dichiarano l’estinzione del reato. Ad esempio, se l’imputato, dopo aver ricevuto un avviso di accertamento, e dopo aver pagato l’imposta accertata, muore nel corso del processo penale, gli eredi hanno diritto al rimborso? Occorre, insomma, che il legislatore tributario raccordi la norma sull’indeducibilità, agganciata alla richiesta di rinvio a giudizio, con i diversi possibili sbocchi del processo penale, che non si conclude necessariamente con la condanna o con l’assoluzione, ma in vari altri modi, a cui il legislatore tributario non ha pensato. Vi sono più cose, nel processo penale, di quante ne immagini il legislatore tributario.