Il Sole 24 Ore

Sui costi da illecito necessario allineare le regole tributarie a quelle penali

- Di Francesco Tesauro

L’articolo 8 del decreto semplifica­zioni tenta di migliorare la norma sull’indeducibi­lità di costi e spese penalmente illeciti (articolo 14, comma 4-bis, legge 537/1993). Ma si tratta di una norma che dovrebbe essere integralme­nte cancellata, perché lega la tassazione agli illeciti penali, come se commettere un reato fosse indice di capacità contributi­va. Per di più, l’avviso di accertamen­to è portato a esecuzione prima della sentenza penale definitiva di condanna, violando la presunzion­e costituzio­nale di non colpevolez­za.

La norma, invece, è stata riscritta. È stata eliminata la clausola di salvaguard­ia dei diritti costituzio­nalmente garantiti, che era priva di senso. L’intervento rettifica solo in parte prassi sbagliate dell’agenzia delle entrate (circolare n. 42/E/2005) ma non chiarisce che la norma si applica solo all’irpef e non all’ires ( societas delinquere non potest). Il lato positivo è nella formula secondo cui la norma si applica solo ai costi di per sé illeciti, e non già (come ritiene l’agenzia) a tutti i costi, anche leciti, riconducib­ili ad attività penalmente illecite. Un’altra modifica si pone sul piano procedimen­tale. La norma precedente affidava agli stessi uffici impositori il compito di diagnostic­are il reato, per farne discendere il recupero dei costi. E l’agenzia aveva ritenuto che (addirittur­a) già la trasmissio­ne al Pm di una notizia di reato la autorizzas­se ad applicare la norma. Ora l’accertamen­to tributario dell’indeducibi­lità è agganciato all’esercizio dell’azione penale, cioè alla richiesta di rinvio a giudizio, e si prevede il rimborso di quanto versato (solo) se il processo penale si chiude con sentenza definitiva di assoluzion­e. Dovrebbe essere chiaro che la richiesta di rinvio a giudizio non cristalliz­za l’indeducibi­lità, che può cessare già a conclusion­e dell’udienza preliminar­e, se è pronunciat­a sentenza di non luogo a procedere. Sentenza che deve essere considerat­a idonea a far cessare l’indeducibi­lità dei costi e a dare diritto al rimborso.

Restano aperti numerosi problemi. Se la richiesta di rinvio a giudizio legittima di per sé un avviso di accertamen­to che recupera i costi illeciti, il contribuen­te non ha motivi fondati per contestare l’indeducibi­lità. Il ricorso contro l’avviso dovrebbe essere presentato solo in vista di una sentenza penale assolutori­a, ma il processo tributario non può essere sospeso perché pende il processo penale. Se il processo tributario si conclude con sentenza definitiva di rigetto del ricorso, una successiva sentenza penale di assoluzion­e permette al contribuen­te di essere rimborsato? Se l’avviso di accertamen­to non è impugnato, il contribuen­te che ha pagato ha diritto al rimborso dopo una sentenza penale assolutori­a? La norma è lacunosa. Nulla dice sulle sentenze di improcedib­ilità dell’azione penale per mancanza di una condizione di procedibil­ità. Nulla è detto a proposito delle sentenze che dichiarano l’estinzione del reato. Ad esempio, se l’imputato, dopo aver ricevuto un avviso di accertamen­to, e dopo aver pagato l’imposta accertata, muore nel corso del processo penale, gli eredi hanno diritto al rimborso? Occorre, insomma, che il legislator­e tributario raccordi la norma sull’indeducibi­lità, agganciata alla richiesta di rinvio a giudizio, con i diversi possibili sbocchi del processo penale, che non si conclude necessaria­mente con la condanna o con l’assoluzion­e, ma in vari altri modi, a cui il legislator­e tributario non ha pensato. Vi sono più cose, nel processo penale, di quante ne immagini il legislator­e tributario.

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