L’utile Acea scende a quota 86 milioni
Niente saldo sul dividendo
La fine della joint venture con Gdf-suez e gli accantonamenti sui crediti problematici relativi ai mancati conguagli sulle bollette dell’acqua degli Ato5-frosinone e Gori impattano sui conti di Acea. Ieri il cda dell’utility capitolina ha approvato i risultati 2011 che mostrano un arretramento dell’utile netto a 86 milioni (92,1 milioni nel 2010), al netto dei 44 milioni accantonati nella semestrale 2011 per il comparto idrico. Per effetto di ciò, quindi, la società non distribuirà il saldo sul dividendo 2011: l’acconto di 0,28 euro per azione effettuato a titolo di anticipo a dicembre assorbe per intero il 70% dell’utile consolidato.
Tornando ai risultati, l’ebitda si ferma a 655,8 milioni, in calo dell’1,6% rispetto al 2010, e arretrano dell’1,9 per cento anche i ricavi, a quota 3,53 miliardi di euro. In calo poi gli investimenti che passano dai 473 milioni del 2010 ai 413 dell’anno dopo. Sale l’indebitamento netto che raggiunge i 2,32 miliardi di euro, in crescita di 122,1 milioni se confrontato con il dato 2010. «I risultati 2011 – sottolinea il presidente Giancarlo Cremonesi – confermano la solidità economico-finanziaria del gruppo». Mentre l’amministratore delegato, Marco Staderini, volge lo sguardo in avanti. «Nel prossimo esercizio ci impegneremo per realizzare quanto indicato nel piano industriale, con particolare attenzione al consistente programma di investimenti da oltre 2 miliardi di euro che abbiamo messo in cantiere».
Il cda di ieri non ha poi sciolto il nodo della possibile partecipazione, ventilata nel piano industriale, alla gara per la distribuzione del gas nel Comune di Roma. Il termine per la presentazione delle offerte scade domani, anche se non è da escludere una proroga in zona Cesarini. Ma l’impegno finanziario (850 milioni da capitolato più, si stima, altri 500 milioni tra ristrutturazione della rete e manutenzione dei terreni) suggeriscono prudenza ai vertici della società capitolina.
Su Acea pesano poi gli sviluppi della cessione del 21% dell’utility in mano al Comune di Roma. Ieri il sindaco della capitale, Gianni Alemanno, è tornato a rassicurare sugli esiti dell’operazione. «Scendere al 30% non significa perderne il controllo. L’importante è non avere cumuli privati come contraltare». Sulla tempistica della cessione, però, non ci sono al momento certezze. Come pure sui possibili protagonisti della partita, sebbene il primo cittadino abbia più volte evidenziato un interesse del Fondo strategico italiano (Fsi) di Cassa Depositi e Prestiti. «È un’ipotesi ragionevole formulata dal sindaco – spiega una fonte del Campidoglio – ma al momento non ci sono stati contatti». Il presidente della Cdp, Franco Bassanini, non ha mai nascosto l’interesse della società, controllata al 70% dal Tesoro, per il settore delle ex municipalizzate. Ma più che verso una singola realtà, Cdp potrebbe muoversi in vista del progetto di una grande multi-utility nazionale. Quanto, invece, a un intervento del fondo guidato da Maurizio Tamagnini, Acea non sembrerebbe corrispondere perfettamente ai requisiti richiesti dal Fsi, focalizzato su realtà di «rilevante interesse nazionale» che abbiano però anche una forte spinta verso l’internazionalizzazione.