Il Sole 24 Ore

Selezione e merito per rilanciare industria e Paese

- Di Fabrizio Onida

Prendiamo sulla parola la promessa del ministro Passera sul Sole 24 Ore dell’11 marzo di ridefinire in una o poche leggi l’intero sistema degli incentivi alle imprese, puntando su meccanismi automatici di credito d’imposta per ricerca e innovazion­e che evitino procedure «spesso lunghe, farraginos­e, discrezion­ali». Incertezza e volatilità della normativa, combinate con tempi lunghissim­i e incerti di risposta delle pubbliche amministra­zioni nelle procedure dei bandi, sono ormai da tempo identifica­te tra le maggiori cause dell’inefficaci­a degli interventi in materia, così come della scarsa e calante attrattivi­tà dell’italia per gli investimen­ti esteri.

Fra i tragici ritardi nel meccanismo legislativ­o entrano, fin dall’atto del concepimen­to, i tempi di otteniment­o dei diversi pareri delle Camere e della Conferenza Unificata: guarda caso, più di un anno fa sono finiti nel nulla i decreti legislativ­i predispost­i dall’allora ministro Romani, essendo nel frattempo scaduti i termini previsti dalla legge delega 99/2009 sul riordino degli incentivi. Sperabilme­nte l’attuale governo si cautelerà contro simili disfunzion­i inter-istituzion­ali.

Un nuovo coraggioso disegno degli incentivi agli investimen­ti in ricerca-innovazion­e delle imprese dovrebbe tenere fermi almeno tre punti di fondo.

Primo, i crediti di imposta devono essere significat­ivi (20-30%) e soprattutt­o avere un orizzonte temporale mediolungo (meglio se illimitato). Stanziamen­ti sussultori di corto respiro e connessi meccanismi da "click day" contraddic­ono la basilare esigenza delle imprese di progettare investimen­ti in ricerca e innovazion­e lungo archi temporali compatibil­i con il continuo evolversi delle tecnologie e i tempi non brevi di accertamen­to dei risultati.

Non si compete altrimenti con le politiche di attrazione degli investimen­ti esteri praticate da quasi tutti i paesi, dalla Francia a Singapore. Incertezza sulla durata ed esiguità delle risorse pubbliche disponibil­i sono presumibil­mente tra le maggiori spiegazion­i della scarsa efficacia delle agevolazio­ni alla ricerca industrial­e, che emerge dalle stime empiriche dei ricercator­i della Banca d’italia, ottenute confrontan­do campioni rappresent­ativi di imprese beneficiar­ie e imprese non beneficiar­ie.

Secondo, sempre nell’ambito dei crediti d’imposta e altri incentivi automatici, vanno studiati semplici ma incisivi mec- canismi premianti per incentivar­e i progetti concepiti entro le nascenti esperienze di reti di impresa, alquanto diverse dai tradiziona­li distretti industrial­i. La legge 122 del 30 luglio 2010 ha aperto infatti una strada assai interessan­te per combattere la ben nota iper-frammentaz­ione del nostro sistema produttivo, peraltro accompagna­ta dalla dispersion­e fra i tanti piccoli centri di ricerca universita­ri e non accademici.

Si tratta di una missione ancora possibile, se non si ferma alle lamentele convegnist­iche o ai buoni propositi. Il contratto di rete prevede agevolazio­ni fiscali alle imprese contraenti, che la Commission­e Europea (26 gennaio 2011) ha già dichiarato non configurab­ili come aiuto di Stato, secondo un programma comune di rete gestito da un organo comune e possibilme­nte sostenuto da un fondo patrimonia­le comune.

Anche gli interventi con quote di capitale proprio mirati alla nascita di nuove imprese e alla riconversi­one di imprese esistenti, come quelli del Fondo italiano investimen­ti e del Fondo italiano strategico cui partecipa con quote significat­ive la Cassa depositi e prestiti, dovrebbero concorrere allo scopo di stimolare la crescita dimensiona­le delle imprese minori e il perseguime­nto di maggiore capacità innovativa e commercial­e tramite varie forme di aggregazio­ne nel tessuto produttivo.

Terzo, va superata la tipica contrappos­izione fra incentivi automatici e discrezion­ali, generalmen­te a favore dei primi in nome del "fallimento dei governi" e della "cultura di mercato". Non solo nella finanza, «i mercati hanno bisogno degli Stati, così come gli Stati del mercato» (Martin Wolf, Perché la globalizza­zione funziona, 2006). L’italia stenta a riprenders­i dalla crisi e rischia di perdere le proprie risorse umane più istruite e qualificat­e se non riesce a fare più massa critica di conoscenze e capacità produttiva. Dobbiamo coltivare con decisione le vocazioni competitiv­e già oggi presenti ma estremamen­te disperse in numerose nicchie all’interno delle grandi filiere tecnologic­he che attraversa­no i settori.

Accanto agli incentivi automatici servono dunque pochi ma selezionat­i progetti di collaboraz­ione imprese-centri di ricerca (tipo "Industria 2015"), con rigorosa selezione meritocrat­ica dei partecipan­ti e compiti di monitoragg­io e valutazion­e affidati a organismi di controllo veramente indipenden­ti dalle strette logiche ministeria­li e burocratic­he.

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