Az. O. S.anna e S. Sebast.
Caserta CAMPANIA dei risultati più "sicuri".
Le performance che mostrano i 32 indicatori delle prestazioni (altri 13 riguardano l’ospedalizzazione e non misurano le performance, ma l’efficienza delle cure) sono estremamente diversificate. Per infarto acuto del miocardio la mortalità a 30 giorni va dal 28,32% dell’ospedale S. Giovanni Evangelista di Tivoli in provincia di Roma al 4,11% dell’ospedale di Città di Castello su una media italiana del 10,95%. Ma l’agenas ricorda che non sempre i casi "migliori" sono necessariamente veritieri: un dato molto basso può essere legato a un’errata diagnosi.
Meno distanti i risultati della mortalità a 30 giorni dopo un bypass aortocoronarico. Alla casa di cura Montevergine, (Avellino) il rischio è dell’8,22% mentre all’ospedale Mazzini di Teramo dello 0,23% contro una media nazionale del 2,78%. Va molto male la mortalità per ictus al Civita- castellana (Viterbo) dove dopo 30 giorni dal ricovero muore oltre il 35% di pazienti contro l’1,17% del «Veris delli Ponti» di Lecce. Enorme la differenza per le fratture di femore operate entro 48 ore: dal 93,87% del Villa Scassi a Genova (dato fortemente in dubbio) all’1,02% del San Biagio di Marsala. Queste le classifiche corrette scientificamente. Nel confronto tra grandi strutture con grandi volumi di prestazioni, a prescindere dalla correzione finale, in cima per l’infarto ci sarebbe l’umbrto I di Torino e in coda l’umberto I di Roma. Per la mortalità dopo intervento di bypass il Niguarda sarebbe in testa, per la frattura di femore operata in 48 ore in coda ci sarebbe il Policlinico di Verona e in cima l’oliveto Citra di Palermo. Insomma, il solito puzzle dell’italia delle cure.