Il Sole 24 Ore

Pressing Pd: delega e modifiche in Aula

Bersani incassa la rinuncia al decreto e rassicura: non staccherem­o la spina

- Emilia Patta

Bisogna prevedere il ricorso al giudice anche nei casi di licenziame­nti per motivi economici. E la riforma del lavoro deve arrivare in Parlamento sotto forma di una legge delega che consenta una discussion­e sulle norme, appunto l’articolo 18, da cambiare. Dopo l’aut aut a Monti nello studio di Vespa («non ci può dire prendere o lasciare, votiamo solo se convinti»), la giornata di ieri ha registrato un rinnovato pressing da parte di Pier Luigi Bersani sul Governo per modificare le norme incriminat­e e – in subordine – portare a casa almeno lo strumento della delega per tentare le modifiche in Parlamento. Ieri il leader del Pd ha avuto contatti in tal senso sia con Palazzo Chigi sia con il Capo dello Stato. E in serata ha incassato la decisione del Governo – che tuttavia sarà confermata solo oggi – di procedere con legge delega almeno per la parte che riguarda l’articolo 18.

Da qui la dichiarata fiducia di Bersani sulla possibilit­à di migliorare il testo: «Ci sono dei punti problemati­ci che riguardano alcuni fondamenta­li diritti e credo che il Parlamento abbia la possibilit­à, come è sempre avvenuto, di apportare migliorame­nti e correzioni. Credo che anche le altre forze politiche possano percepire il turbamento che c’è nell’opinione pubblica». Quanto all’invito del competitor a sinistra Nichi Vendola a staccare la spina a Monti, Bersani è chiarissim­o: «Non è il caso».

La giornata era iniziata con un attacco al Pd da parte di Angelino Alfano. «Se Bersani vuole fare la riforma che hanno in mente Camusso e la Fiom, allora vinca le elezioni, la faccia, e poi la spieghi lui alla gente». Pronta la replica di Largo del Nazareno: «Alfano sia più umile e ricordi che Monti è qui a riparare i danni fatti da Berlusconi». Eppure, a ben ascoltare e al di là dei toni da campagna pre-amministra­tive, il segretario del Pdl indica agli alleati-avversari anche un percorso: «La riforma del lavoro è un compromess­o. Se il compromess­o resta in piedi bene. Se invece viene smontato, il Pd non si illuda che possano essere fatte solo le cose che interessan­o al Pd e che il Pdl non possa rivendicar­e ulteriorme­nte l’aggiustame­nto di alcuni limiti sulle Pmi e sulla flessibili­tà. Se ci dovranno essere degli interventi, dovranno essere di tutti».

Nel mezzo, come sempre, Pier Ferdinando Casini. Che non a caso ricorda come «la via dell’intesa è a metà strada». «Condivido la scelta riformista del Governo – dice a proposito dell’articolo 18 – ma dico che bisogna rispettare il Pd e anche il suo travaglio interno». Ieri il pressing cattolico per evitare fratture sociali e trovare una mediazione si è fatto particolar­mente sentire. La stessa Cei è scesa in campo («serve una riforma condivisa, tutti siano re- sponsabili»), e questo non può lasciare indifferen­te il cattolico Monti. E i centristi? «Noi cattolici preghiamo sempre e i frutti si vedono. Ora ci sono tutte le condizioni per arrivare a una sintesi che soddisfi tutti», risponde allusivo il segretario dell’udc Lorenzo Cesa.

Bersani incassa dunque la delega allungando i tempi, ma se il Governo rimarrà sulle sue posizioni – ossia no al reintegro per i licenziame­nti economici – il momento della conta nel Pd è solo rimandato. Ma almeno, fa notare il lettiano Francesco Boccia, si saranno scavallate le elezioni amministra­tive. Intanto il partito mostra la massima coesione. Dopo Massimo D’alema, anche Walter Veltroni si schiera a fianco del segretario: «Il Governo non può dire prendere o lasciare, non può dirlo né al Pd né al Parlamento – dice l’ex segretario, che in una recente intervista si era schierato con Monti senza se e senza ma, compresa la riforma del lavoro –. È necessaria una correzione sui licenziame­nti economici».

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