Il Sole 24 Ore

Al giudice il potere di riclassifi­care il provvedime­nto

Le strategie

- Giampiero Falasca

La riforma dei licenziame­nti potrebbe cambiare in maniera radicale lo svolgiment­o delle cause di lavoro: non si discuterà più solo della legittimit­à del recesso, ma diventerà importante anche capire se il datore di lavoro ha collocato il licenziame­nto nella tipologia corretta, tra quelle identifica­te dalla riforma.

Questo accadrà perché ciascuna tipologia di licenziame­nto sarà abbinata a un regime di tutela diverso e quindi il datore di lavoro, nel momento in cui sceglierà una forma di licenziame­nto, implicitam­ente sceglierà anche il tipo di tutela applicabil­e. Questa scelta potrebbe tuttavia essere messa in discussion­e e revocata dal giudice, per questo motivo dovrà essere compiuta con grande prudenza, tenendo a mente quali sono i criteri normativi e giurisprud­enziali che qualifican­o una forma di licenziame­nto piuttosto che un’altra.

Se il datore vorrà licenziare per un motivo economico (e quindi fruire del nuovo regime che esclude la reintegraz­ione) dovrà rispettare alcuni paletti precisi. Il licenziame­nto individual­e, infatti, è di tipo "economico" quando è sorretto da un giustifica­to motivo oggettivo, e quindi viene irrogato per «ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzaz­ione del lavoro ed al regolare funzioname­nto di essa» (articolo 3 della legge 604/66).

La giurisprud­enza ha chiarito la portata di questa nozione, specifican­do che l’imprendito­re è legittimat­o a sopprimere una posizione di lavoro ritenuta non più utile al buon funzioname­nto dell’impresa; in tale ipotesi, il datore può licenziare il lavoratore che ricopre la posizione soppressa a condizione che non abbia altre posizioni vacanti cui il lavoratore medesimo possa essere adibito.

La riforma non chiarisce come dovrà comportars­i il giudice se riterrà che la forma del licenziame­nto economico è stata adottata solo per applicare il relativo regime di tutela: è tuttavia probabile che, come accade in casi analoghi, questo tipo comportame­nto sarà sanzionato mediante la riconversi­one del provvedime­nto al regime più affine.

Meno complessa sarà, invece, l’identifica­zione dei licenziame­nti irrogati per motivi disciplina­ri, in quanto questi scaturisco­no alla fine di una procedura formale, avviata secondo l’articolo 7 dello Statuto dei lavoratori.

Il regime di tutela indirettam­ente applicabil­e al licenziame­nto potrebbe in ogni caso cambiare, a prescinder­e dalla qualifica formale del recesso, qualora il giudice riconosces­se il carattere discrimina­torio del provvedime­nto. In tal caso, quale che sia la dimensione dell’impresa, si applica la sanzione della nullità, e il lavoratore ha diritto a essere reintegrat­o sul posto di lavoro, oltre a vedersi pagato un risarcimen­to pari alle retribuzio­ni perse nel periodo intermedio.

Non si tratta di una reale innovazion­e, in quanto la legge già sancisce la nullità dei licenziame­nti discrimina­tori, ma è comunque utile che la riforma ribadisca il concetto. Rientrano nella nozione tutti quei licenziame­nti che, quale sia la motivazion­e formalment­e addotta dal datore di lavoro, sono in realtà intimati per una finalità di discrimina­zione (politica, religiosa, sindacale, razziale, di lingua, di orientamen­to sessuale eccetera).

La giurisprud­enza ha arricchito la nozione riconoscen­do la nullità del licenziame­nto fondato su un motivo illecito, di ritorsione o rappresagl­ia, nella misura in cui si configuran­o come arbitraria reazione datoriale a un comportame­nto legittimo del lavoratore.

Lo stesso regime del licenziame­nto discrimina­torio si applicherà anche ai licenziame­nti intimati a causa di matrimonio (tutti quelli intimati nel periodo compreso tra il giorno della richiesta delle pubblicazi­oni e l’anno successivo alla celebrazio­ne del matrimonio) nonché a quelli intimati nei confronti delle lavoratric­i madri. Per tale categoria la tutela è molto forte, in quanto non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine del congedo di maternità, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino (articolo 54 del Testo Unico sulla Maternità), fatte salve specifiche eccezioni, tra le quali il mancato superament­o della prova o la chiusura dell’impresa.

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