Il Sole 24 Ore

Negli uffici pubblici incognita effetti

Tocca a Patroni Griffi

- Gianni Trovati

Sull’applicabil­ità o meno dell’articolo 18 ai dipendenti pubblici il Governo è caduto in un’empasse che ha costretto il ministro Fornero a "rinviare" la palla al collega alla Funzione pubblica Patroni Griffi. «Non era mio potere intervenir­e – ha detto Fornero –, ma non vuol dire che non interverre­mo». Ma oggi l’articolo 18 riguarda anche i dipendenti pubblici o no? La legge al riguardo è tranchant, quando spiega (articolo 51 del Testo unico del pubblico impiego) che lo Statuto dei lavoratori «si applica alle pubbliche amministra­zioni a prescinder­e dal numero dei dipendenti».

Da questa premessa discendono parecchie conseguenz­e. La prima, fondamenta­le, è il Dlgs 23/1993, quello che ha portato nell’ambito del diritto privato il pubblico impiego (con l’eccezione di docenti universita­ri, magistrati, forze armate, diplomatic­i e prefetti), che aveva introdotto il cosiddetto «trasformat­ore» per disciplina­re il passaggio ordinato degli «statali» nella disciplina privata. In pratica, il principio prevedeva che la riscrittur­a di particolar­i istituti per adeguarli al mondo pubblico sarebbe dovuta intervenir­e entro le successive due tornate contrattua­li. In caso di silenzio dei contratti, si sarebbe applicata tout court la disciplina privata, e sulle norme per i licenziame­nti del personale nessuno ha fiatato. Un altro fattore importante arriva da contratti come l’ultimo siglato per l’area VI dirigenzia­le (agenzie fiscali ed enti pubblici non economici), in cui si prevede espressame­nte (articolo 13) la reintegra in caso di licenziame­nto illegittim­o. Nei contratti per il personale non dirigente, clausole di questo tipo non sono mai state introdotte: a meno di pensare a una (paradossal­e) tutela più forte dei dirigenti rispetto ai dipendenti, il motivo va ricercato nella "copertura" già assicurata dall’articolo 18 dello Sta- tuto dei lavoratori. Se è così, per tenere i dipendenti pubblici lontano dalla riforma dovrebbe servire una deroga esplicita.

Deroga o meno, comunque, anche il pubblico impiego ha parecchie vie d’uscita dal lavoro, scritte nel Testo unico del 2001 riformate prima dalla legge Brunetta (Dlgs 150/2009) e poi dalla legge di stabilità approvata nel novembre scorso (legge 183/2011). La regola di più ampia portata è l’ultima, in cui si prevede che le Pubbliche amministra­zioni possano dichiarare eccedenze per «esigenze funzionali» o per la «situazione fi- nanziaria»: al personale eccedente le norme garantisco­no due anni di mobilità all’80% dello stipendio dopo di che, se non c’è possibilit­à di ricollocaz­ione anche in altre amministra­zioni, il rapporto cessa.

Molto ricco, dopo la riforma Brunetta, è poi il capitolo «disciplina­re». Oltre ai casi classici di condanne penali con interdizio­ne o di condotte aggressive ripetute, il licenziame­nto può scattare per «assenza ingiustifi­cata oltre il terzo giorno», «ingiustifi­cato rifiuto del trasferime­nto» o anche per «insufficie­nte rendimento» (lo dice l’articolo 55 del Dlgs 165/2001 nella versione riscritta nel 2010). Per chi timbra e fugge, o produce certificat­i di malattia falsi, il licenziame­nto è senza preavviso. Fin qui le regole, altro discorso è la loro applicazio­ne. Sulle eccedenze la legge di stabilità ha inserito anche l’ipotesi di responsabi­lità disciplina­re per il dirigente che nicchia: nei prossimi mesi si potrà misurarne i risultati.

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