La zona franca
Perchédai sindacati edallo stesso Governo (netta la posizione mercoledi sera del ministro Elsa Fornero che aveva smentito l’"aperturista" collega titolare della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi) era arrivato un secco stop. Gli statali, insomma, stavano fuori dalla riforma. E ci sono poi rimasti per tutta la giornata di ieri salvo, in serata, rientrarci con un piede dopo che il ministro Fornero ha richiamato in causa Patroni Griffi. Avvertendo però che le norme nonpossono essere applicate «pari pari» ma che questo «non vuol dire che il Governo non interverrà».
Eppure, sembrerebbe tutto chiaro. Il testo unico che disciplina il lavoro pubblico (Dl 165 del 2001) afferma che «la legge 20 maggio 1970 n˚300 (lo Statuto dei lavoratori, ndr) e successive integrazioni e modificazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescinderedal numerodei dipendenti». Questo testo unico (semplificando: in direzione privatistica) è stato riformato dalla "legge Brunetta" del 2009 e poi dalla recentissima legge 183 del 2011. La quale prevede - per le pubbliche amministrazioniche «hannosituazioni di soprannumero o rilevino comunque eccedenze di personale, in relazione alle esigenze funzionali o alla situazione finanziaria» - la possibilità di licenziamenti, compresi quelli individuali. Dopo un periodo di mobilità cui può seguire unasospensione (per mas- simo due anni) retribuita all’80% dello stipendio, infatti, il contratto di lavoro può essere risolto.
Nonbastasse, ecco la giurisprudenza al più alto livello, quello della Cassazione. Nel 2007 la sezione Lavoro haritenuto applicabile l’articolo 18 dello Statuto ai dipendenti pubblici, dirigenti compresi. E francamente si potrebbe a questo punto pensare che sì, gli statali non possono che rientrare nella sfera di applicazione della riforma prospettata dal Governo.
Maquellocheappare chiaro sulla carta non sempre è legge valida per tutti. Il corpaccione dello Stato, come il salario tanti anni fa, tende sempre ad essere una "variabile indipendente", il punto di incrocio tra interessi corporativi e appetiti elettoralistici della politica. Per cui le riforme scivolano su di esso e non fanno presa, in questo alimentando la frustrazione di tanti dipendenti pubblici che fanno beneil loro mestiere e cheda uncambio di passo non avrebbero che da guadagnare. Ha scritto Luisa Torchia, uno dei massimi esperti di diritto amministrativo in Italia, che «secondolaleggel’amministrazionepubblica dovrebbeessereflessibile come un’impresa privata, i dirigenti dovrebbero poter licenziare il personale incapace oin esubero, organizzare gli uffici e gestire le risorse umane ed economiche secondo la logica dell’efficienza e della produttività».
Dovrebbero, ma non accade. Dovrebbero anche, gli statali, rientrare nella riforma dell’articolo 18. Ma non si sa ancora se, come e quando accadrà. È un balletto che deve finire, questa è l’unica cosa certa.