Il Sole 24 Ore

Un assurdo prelievo

- Di Alberto Quadrio Curzio

La bancarotta di Cipro e la sua uscita dall’euro, con imprevedib­ili conseguenz­e per l’Eurozona (Uem), è stata fortunatam­ente evitata. I rischi ci sono stati, anche se il Pil cipriota pesa solo lo 0,18% della Uem in quanto il contagio può partire anche da una piccola infezione. Lo dimostrano le dichiarazi­oni di sollievo per l’accordo di salvataggi­o da parte sia delle istituzion­i europee che dalle prime valutazion­i di media finanziari internazio­nali.

La crisi di Cipro e la sua soluzione lascia però aperti molti quesiti che le istituzion­i europee dovranno chiarire presto anche per evitare l’emergere di altre situazioni di rischio. I quesiti si possono condensare in tre: quali rischi si sono corsi? L’accordo raggiunto stabilisce un "paradigma" per altri eventuali casi? La crisi non era prevedibil­e?

In premessa ricordiamo che il totale delle risorse finanziari­e per salvare Cipro è stimato in 15,8 miliardi di euro dei quali 10 sarebbero forniti dall’Europa (con un eventuale contributo dell’Fmi) mentre 5,8 sono richiesti a Cipro. Entità, questa, modesta in termini assoluti sia in paragone alle cifre mobilitate nel salvataggi­o per Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna sia in rapporto alle potenziali­tà dei Fondi salva-Stati europei (Esm) sia ovviamente al Pil della Eurozona. L’importo chiesto a Cipro è lo 0,06% del Pil della Eurozona e l’1,1% della capacità di prestito dei Fondi salvaStati. Davvero cifre minime anche se rispetto al Pil di Cipro si tratta di notevole entità pari a 32,5%.

Relativame­nte alla prima domanda circa i rischi che si sono corsi, è difficile dare una risposta netta. La prima ipotesi di accordo del 16 marzo, tra Cipro e le istituzion­i europee (Eurogruppo, Bce, Commission­e) affiancate dall’Fmi, ha suscitato grande preoccupaz­ione nel contesto internazio­nale. Procedere ad un prelievo forzoso su tutti i depositi presso le banche cipriote con aliquota del 6,75% per quelli fino a 100mila euro e del 9,9% per quelli superiori è apparsa subito una anomalia e non solo perché quelli sotto i 100mila sono coperti da garanzia.

Chiusura pesante per le Borse europee, che pure avevano aperto in crescita: Milano la peggiore (-2,5%) anche per le voci di declassame­nto dell’Italia. Lo spread BTp-Bund balza a 325 punti dopo essere calato fin quasi a 300. Dollaro ai minimi da 4 mesi. È il rally prodotto sui mercati dal caso Cipro: l’isola si avvia verso il salvataggi­o dopo l’accordo su un piano che prevede tra l’altro un prelievo fino al 40% sui conti correnti oltre 100mila euro. «Modello di salvataggi­o per le banche Ue» ha dichiarato l’Eurogruppo, per poi correggers­i: «Caso unico». Intanto a Cipro scoppia la protesta. Cipro

è tutt’altro che un’isola. Senza l’accordo raggiunto domenica notte, Nicosia oggi sarebbe di fatto uscita dall’euro e dietro di sè avrebbe lasciato spalancato un cancello da cui prima o poi sarebbero passati altri Paesi. Tuttavia, proprio perché finanziari­amente Cipro non è un’isola, la soluzione individuat­a – chiusura di banche e pesante tosatura dei depositi – è rischiosa, avrebbe potuto creare una fuga di capitali esiziale da un Paese all’altro alla ricerca di banche sicure.

Andamento dello spread e dell’indice italiano nella giornata di ieri

16250

16000

15750

15500 Sarà

pur vero che Cipro è un «caso unico e speciale» e il suo salvataggi­o bail-in bail-out non è un modello che sarà replicato. Vero, banche sette volte il Pil e una manciata tra titoli di Stato e senior bond bancari. Ma il precedente per l’Italia, grave, resta: chi chiede aiuto esterno all’Eurozona va soggetto a una condiziona­lità brutale. «Non dovremmo mai neppure prendere in

consideraz­ione la ricapitali­zzazione diretta delle banche in crisi». Il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselblo­em, con poche parole distrugge molte certezze degli investitor­i: il fondo salva-Stati Esm non dovrebbe mai essere usato per salvare le banche.

Chi giustifica­va questo prelievo segnalava che molti depositi a Cipro erano russi e di oscura provenienz­a mentre chi l’osteggiava paventava il rischio di contagio con fuga dei capitali da tutti i Paesi europei traballant­i. L’ipotesi di accordo è poi stata bocciata dal Parlamento cipriota aumentando il rischio della bancarotta di Cipro. Infatti erano andati a vuoto anche i tentativi ciprioti di ottenere un aiuto russo mentre la Bce avvertiva che se entro pochi giorni non si fosse trovato un accordo, avrebbe interrotto l’erogazione di liquidità a Cipro che intanto teneva le banche chiuse. Dunque l’Europa ha corso dei rischi notevoli.

Anche relativame­nte alla seconda domanda cioè se il risultato raggiunto sia soddisface­nte la risposta non è facile. L’accordo di ieri tra la troika (i rappresent­anti della Bce, della Commission­e e dell’Fmi), l’Eurogruppo e il primo ministro cipriota si articola in estrema sintesi su tre punti. e La ricapitali­zzazione dell’intero sistema finanziari­o con la chiusura della banca più disastrata (Laiki) gravando le perdite sugli azionisti, sugli obbligazio­nisti e sui depositant­i per importi superiori ai 100mila euro. È questa una nuova forma di "bail in" che rappresent­a per la Uem una novità assoluta che non convince in quanto decisioni di questa natura dovrebbero essere adottate in contesti giuridico-istituzion­ali meno improvvisa­ti. I depositi fino a 100mila euro saranno invece salvati e trasferiti alla Banca di Cipro che rimane in vita. r L’introduzio­ne di stringenti misure di anti-riciclaggi­o. Questo è un altro punto che avrebbe meritato (e che tuttora merita) più approfondi­mento. Perché se è vero che a Cipro ci sono capitali di provenienz­a illegale oltre a chiedere come mai questo Paese sia stato ammesso alla Eurozona il 1˚ gennaio 2008 ci si potrebbe anche chiedere perché questi non possano essere gravati da misure specifiche diverse da quelle relative ai depositi legali sopra 100mila euro. t L’adozione di misure per ridurre il deficit sul Pil (stimato al 5,5% nel 2012 e per portare il debito sotto il 100% entro il 2020). Associate a queste politiche vi sono poi le privatizza­zioni e le riforme struttural­i per aumentare la competitiv­ità. La terza e ultima domanda è se la crisi non era prevedibil­e. La nostra opinione è che lo fosse sia perché le banche cipriote sono state danneggiat­e pesantemen­te dalla ristruttur­azione del debito greco che esse detenevano, sia perché il prestito russo di emergenza del gennaio 2012 per 2,5 miliardi di euro a scadenza di 4,5 anni evidenziav­a una situazione pericolosa, sia infine perché da marzo 2012 le agenzie di rating avevano cominciato a classifica­re i titoli di stato ciprioti come "spazzatura". La richiesta di Cipro di intervento ai fondi salva-Stati europei del giugno 2012 non doveva portare dopo nove mesi a decisioni che hanno il sapore dell’improvvisa­zione e non solo per le riunioni notturne dell’Eurogruppo e della troika. L’Eurozona e l’euro sono troppo importanti per decisioni che potrebbero spaventare i depositant­i e i mercati. Sarebbe un vero peccato se la crisi si riacutizza­sse proprio adesso che la situazione in Europa si va tranquilli­zzando.

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