Il Sole 24 Ore

Ecco come si «balcanizza» il mondo creditizio

- Di Fabio Pavesi cbastasin@brookings.edu

L’Europadell­e bancheèsem­pre più "balcanica" e sempre meno unita. A ogni focolaio di crisi, oggi la piccola Cipro ieri Grecia, Spagna e Italia, la forbice tra Nord e Sud Europa del credito si approfondi­sce. Il rischio, sempre incombente sui Paesi fragili, finisce per acuire la fuga dei depositi stranieri dalle banche del Sud. A Cipro i capitali esteri avevano cominciato a fuoriuscir­e da mesi; la Grecia ha visto un’emorragia di 70 miliardi dai conti; 65 miliardi per lo più esteri sono scappati da Madrid nell’acme della crisi.

E come ricorda l’Abi, alle banche italiane mancano tuttora circa 35 miliardi di depositant­i stranieri, usciti a cavallo della crisi del 2011-2012 a mai rientrati. E di certo non aiutano a invertire la situazione le parole del presidente dell’Eurogruppo, Dijsselblo­em, che indica nel prelievo forzoso un modello daseguirep­er nuove crisi. Unassist prezioso e sciagurato a incentivar­e la frammentaz­ione del credito in Europa. Perché quei capitali esteri in fuga tornano nei paesi di provenienz­a, Germania, Olanda, Finlandia. Basti vedere l’andamento dei depositi con la Grecia, che ha perso nel 2012 un altro 9%; la Spagna un 4% e l’Italia che è riuscita nel 2012 a supplire solo grazie all’apporto dei correntist­i italiani che hanno apportato 75 miliardi nelle casse delle nostre banche. Di converso il trend è fortemente positivo in Germania e Olanda. Ecco la balcanizza­zione, una sorta di nuovo protezioni­smo finanziari­o. Maquesto esodo ha un effetto collateral­e che alimenta una spirale perversa. Si finisce così per rafforzare la disponibil­ità di credito a tassi bassi nei Paesi del Nord Europa e di amplificar­e invece il credit crunch in atto da tempo nei Paesi del Sud. Che già vivono una recessione profonda con le sofferenze sui prestiti che pesano come un macigno su banche spagnole e italiane. E così la disponibil­ità nella raccolta facile di denaro permette alle banche tedesche di alimentare al massimo il ciclo positivo della loro economia, mentre in Italia come in Spagna stretta del credito e recessione vanno a braccetto. Unasituazi­one difficile con il mercato che finisce per punire oltre misura le banche del Sud Europa. Così si chiude il circolo vizioso della balcanizza­zione.

Messa al sicuro Cipro in realtà nessuno è più al sicuro, e senza l’impegno dei governi a favore di una rapida realizzazi­one dell’unione bancaria, sarà un miracolo se i mercati rimarranno tranquilli. Le reazioni in Italia alle voci di un nuovo declassame­nto, dimostrano quanto cresca il nervosismo nell’area euro.

Senza fondi di risoluzion­e e di ricapitali­zzazione comuni, investire in una banca europea è da ieri più rischioso. Perfino depositare somme superiori a 100mila euro è meno sicuro di una settimana fa. Inoltre bisogna capire quanto "temporanee" siano le imprecisat­e "misure amministra­tive" che devono evitare la fuga dei capitali da Cipro.

Anche se non saranno un vero freno alla libera circolazio­ne dei capitali, rappresent­ano un nuovo fattore di frammentaz­ione del mercato finanziari­o europeo. In una fase in cui le banche europee devono aumentare il loro capitale e devono poter contare su una base stabile di depositi per non tagliare i prestiti all’economia, l’accordo di Cipro è come minimo una fotografia delle difficoltà europee.

Quanto all’idea che Cipro fosse un caso unico ed eccezional­e, ieri il presidente dell’Eurogruppo, il ministro olandese Dijsselblo­em, ha ammesso il contrario: il metodo seguito in questa crisi sarà la regola in futuro. Una decisione affrettata per andare incontro all’elettorato di Finlandia, Germania e Olanda stufo di finanziare Paesi indebitati. Per anni infatti l’euroarea si è avvitata in un circolo vizioso di crisi bancarie che producevan­o debiti sovrani. Da domenica si è deciso che a pagare il conto di banche mal gestite non saranno gli Stati bensì gli azionisti e i depositant­i. Ma il circolo vizioso rischia di scattare lo stesso: le banche chiudono, i depositant­i si impoverisc­ono, l’economia va in crisi e il debito pubblico aumenta.

In una notte per esempio Cipro ha smesso di essere un centro finanziari­o. Il sistema bancario rappresent­ava il 9,2% del reddito dell’isola, ma attraeva anche turismo e servizi profession­ali, forse in tutto il 12-15% del Pil. È probabile che tutto ciò sarà spazzato via da un accordo che è molto severo per azionisti e depositant­i e dalle nuove norme anti-riciclaggi­o.

Anche le banche risparmiat­e dall’accordo vedranno aumentare le perdite. I capitali esteri spariranno. L’occupazion­e ne risentirà severament­e. Tamponando una crisi finanziari­a se ne è aperta una di natura economica. Nel futuro prossimo i ciprioti vedranno scendere il loro reddito di almeno il 10%. Se seguirà anche una crisi politica, entro pochi anni Cipro dovrà essere nuovamente assistita dai partner dell’euro area.

Liquidare le sofferenze dei ciprioti come un prezzo da pagare per la trasparenz­a ritrovata è ipocrisia. Non solo aiutare i cittadini di Cipro è doveroso a fronte della giusta opera di pulizia finanziari­a, ma dovremmo far seguire la loro strada a Lussemburg­o (il rapporto tra banche e Pil è 22 volte quello di Cipro), Liechtenst­ein, Isole britannich­e del Canale e a tutti gli altri centri offshore europei.

La responsabi­lità dei partner europei va anche oltre. L’accordo raggiunto ha infatti caratteri innovativi mai testati su altri Paesi e i cui effetti sono infatti sconosciut­i. Il principio secondo cui una banca gestita come un casinò non deve essere salvata dai contribuen­ti è corretto perché disciplina i comportame­nti finanziari azzardati, così come quello che le perdite finiscano per gravare, seguendo una gerarchia logica, su azionisti e obbligazio­nisti e anche su depositant­i facoltosi. Ma se la stessa logica fosse stata applicata nel 2008 alle banche di Germania, Francia e Olanda, oggi ci sarebbe un deserto finanziari­o in mezzo all’Europa.

Quello di Cipro è il quinto intervento di assistenza dell’Euroarea. In ognuno dei casi precedenti, la personalit­à politica europea è cresciuta insieme alle difficoltà. Sorprende per esempio la forza con la quale Bruxelles (e Berlino) hanno saputo trattare con Mosca nei giorni scorsi.

Non era mai successo che emergesse una personalit­à internazio­nale europea in grado di dettare le condizioni a potenze poco interessat­e al dialogo. La stesso "potere della volontà" deve ora riguardare l’unione bancaria.

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