Ecco come si «balcanizza» il mondo creditizio
L’Europadelle bancheèsempre più "balcanica" e sempre meno unita. A ogni focolaio di crisi, oggi la piccola Cipro ieri Grecia, Spagna e Italia, la forbice tra Nord e Sud Europa del credito si approfondisce. Il rischio, sempre incombente sui Paesi fragili, finisce per acuire la fuga dei depositi stranieri dalle banche del Sud. A Cipro i capitali esteri avevano cominciato a fuoriuscire da mesi; la Grecia ha visto un’emorragia di 70 miliardi dai conti; 65 miliardi per lo più esteri sono scappati da Madrid nell’acme della crisi.
E come ricorda l’Abi, alle banche italiane mancano tuttora circa 35 miliardi di depositanti stranieri, usciti a cavallo della crisi del 2011-2012 a mai rientrati. E di certo non aiutano a invertire la situazione le parole del presidente dell’Eurogruppo, Dijsselbloem, che indica nel prelievo forzoso un modello daseguireper nuove crisi. Unassist prezioso e sciagurato a incentivare la frammentazione del credito in Europa. Perché quei capitali esteri in fuga tornano nei paesi di provenienza, Germania, Olanda, Finlandia. Basti vedere l’andamento dei depositi con la Grecia, che ha perso nel 2012 un altro 9%; la Spagna un 4% e l’Italia che è riuscita nel 2012 a supplire solo grazie all’apporto dei correntisti italiani che hanno apportato 75 miliardi nelle casse delle nostre banche. Di converso il trend è fortemente positivo in Germania e Olanda. Ecco la balcanizzazione, una sorta di nuovo protezionismo finanziario. Maquesto esodo ha un effetto collaterale che alimenta una spirale perversa. Si finisce così per rafforzare la disponibilità di credito a tassi bassi nei Paesi del Nord Europa e di amplificare invece il credit crunch in atto da tempo nei Paesi del Sud. Che già vivono una recessione profonda con le sofferenze sui prestiti che pesano come un macigno su banche spagnole e italiane. E così la disponibilità nella raccolta facile di denaro permette alle banche tedesche di alimentare al massimo il ciclo positivo della loro economia, mentre in Italia come in Spagna stretta del credito e recessione vanno a braccetto. Unasituazione difficile con il mercato che finisce per punire oltre misura le banche del Sud Europa. Così si chiude il circolo vizioso della balcanizzazione.
Messa al sicuro Cipro in realtà nessuno è più al sicuro, e senza l’impegno dei governi a favore di una rapida realizzazione dell’unione bancaria, sarà un miracolo se i mercati rimarranno tranquilli. Le reazioni in Italia alle voci di un nuovo declassamento, dimostrano quanto cresca il nervosismo nell’area euro.
Senza fondi di risoluzione e di ricapitalizzazione comuni, investire in una banca europea è da ieri più rischioso. Perfino depositare somme superiori a 100mila euro è meno sicuro di una settimana fa. Inoltre bisogna capire quanto "temporanee" siano le imprecisate "misure amministrative" che devono evitare la fuga dei capitali da Cipro.
Anche se non saranno un vero freno alla libera circolazione dei capitali, rappresentano un nuovo fattore di frammentazione del mercato finanziario europeo. In una fase in cui le banche europee devono aumentare il loro capitale e devono poter contare su una base stabile di depositi per non tagliare i prestiti all’economia, l’accordo di Cipro è come minimo una fotografia delle difficoltà europee.
Quanto all’idea che Cipro fosse un caso unico ed eccezionale, ieri il presidente dell’Eurogruppo, il ministro olandese Dijsselbloem, ha ammesso il contrario: il metodo seguito in questa crisi sarà la regola in futuro. Una decisione affrettata per andare incontro all’elettorato di Finlandia, Germania e Olanda stufo di finanziare Paesi indebitati. Per anni infatti l’euroarea si è avvitata in un circolo vizioso di crisi bancarie che producevano debiti sovrani. Da domenica si è deciso che a pagare il conto di banche mal gestite non saranno gli Stati bensì gli azionisti e i depositanti. Ma il circolo vizioso rischia di scattare lo stesso: le banche chiudono, i depositanti si impoveriscono, l’economia va in crisi e il debito pubblico aumenta.
In una notte per esempio Cipro ha smesso di essere un centro finanziario. Il sistema bancario rappresentava il 9,2% del reddito dell’isola, ma attraeva anche turismo e servizi professionali, forse in tutto il 12-15% del Pil. È probabile che tutto ciò sarà spazzato via da un accordo che è molto severo per azionisti e depositanti e dalle nuove norme anti-riciclaggio.
Anche le banche risparmiate dall’accordo vedranno aumentare le perdite. I capitali esteri spariranno. L’occupazione ne risentirà severamente. Tamponando una crisi finanziaria se ne è aperta una di natura economica. Nel futuro prossimo i ciprioti vedranno scendere il loro reddito di almeno il 10%. Se seguirà anche una crisi politica, entro pochi anni Cipro dovrà essere nuovamente assistita dai partner dell’euro area.
Liquidare le sofferenze dei ciprioti come un prezzo da pagare per la trasparenza ritrovata è ipocrisia. Non solo aiutare i cittadini di Cipro è doveroso a fronte della giusta opera di pulizia finanziaria, ma dovremmo far seguire la loro strada a Lussemburgo (il rapporto tra banche e Pil è 22 volte quello di Cipro), Liechtenstein, Isole britanniche del Canale e a tutti gli altri centri offshore europei.
La responsabilità dei partner europei va anche oltre. L’accordo raggiunto ha infatti caratteri innovativi mai testati su altri Paesi e i cui effetti sono infatti sconosciuti. Il principio secondo cui una banca gestita come un casinò non deve essere salvata dai contribuenti è corretto perché disciplina i comportamenti finanziari azzardati, così come quello che le perdite finiscano per gravare, seguendo una gerarchia logica, su azionisti e obbligazionisti e anche su depositanti facoltosi. Ma se la stessa logica fosse stata applicata nel 2008 alle banche di Germania, Francia e Olanda, oggi ci sarebbe un deserto finanziario in mezzo all’Europa.
Quello di Cipro è il quinto intervento di assistenza dell’Euroarea. In ognuno dei casi precedenti, la personalità politica europea è cresciuta insieme alle difficoltà. Sorprende per esempio la forza con la quale Bruxelles (e Berlino) hanno saputo trattare con Mosca nei giorni scorsi.
Non era mai successo che emergesse una personalità internazionale europea in grado di dettare le condizioni a potenze poco interessate al dialogo. La stesso "potere della volontà" deve ora riguardare l’unione bancaria.