Il Sole 24 Ore

Lo scarso appeal del conto estero

Cosa trova chi cerca nuove opportunit­à e rendimenti in Europa

- Stefano Elli

All’estero risiede già una parte cospicua, e in chiaro, della ricchezza nazionale. I dati diffusi dal dipartimen­to delle Finanze sono indicativi. Nel 2011, tra beni immobili e risorse di altra natura erano circa 40 i miliardi che si trovavano fuori dai confini italiani. Dal computo sono naturalmen­te escluse le deci- ne di miliardi espatriati in modo occulto. Tra quelli regolarmen­te censiti vi sono 21 miliardi investiti nel mattone e 18,5 su attività finanziari­e diverse. Si tratta di redditi su cui vengono regolarmen­te pagate le imposte, dichiarati nel quadro RW del modello Unico. Non stiamo, dunque, parlando di "renitenti al fisco". Ma di lavoratori autonomi, imprendito­ri, lavoratori dipendenti e pensionati i cui redditi si formano all’este- ro. In paesi della Ue oppure no.

Già perché la libera circolazio­ne dei capitali è un fatto oramai metabolizz­ato in tutta l’Unione. E dunque trasferire i propri soldi all’estero è possibile non solo per situazioni estreme, ma pure per calcoli di diversa natura e per particolar­i esigenze commercial­i, oltre che per scelte di vita. Sulla reale e concreta convenienz­a di una scelta simile esistono scuole di pensiero differenti e molto dipende dalla motivazion­e che sottende a questa opzione. Non sembra, per esempio, che la fiscalità sia un reale motivo di espatrio. Il trattament­o impositivo dei beni detenuti all’estero è esattament­e lo stesso di quello usato per i beni domestici. Ed è stabilito dal decreto legge Salva Italia: il 201 del 6 dicembre 2011 all’articolo 19 (commi 18 e 22). Chi avesse deciso di aprire un conto corrente, un deposito titoli o una gestione patrimonia­le, presso un intermedia­rio estero, non importa se comunitari­o o extracomun­itario, pagherà un’imposta annuale pari all’uno per mille del valore delle attività finanziari­e per il 2011 e 2012. L’imposta sale al 1,5 per mille nel 2013. Dunque per ciò che ri- guarda il fisco non c’è alcuna differenza. Né la cosa sembrerebb­e mutare nel caso di un’eventuale patrimonia­le sui depositi. «Sarebbe tutto da verificare – spiega Fabrizio Vedana di Unione fiduciaria – se eventuali conti aperti in altri Paesi siano davvero al sicuro da eventuali prelievi. Ma ritengo di no». E allora perché si dovrebbe optare per aprire un conto di deposito presso una banca di un altro paese? Non sembra che neppure i rendimenti (vedere grafico in basso) siano una ragione sufficient­e per sobbarcars­i un simile "traffico". Chi volesse mettersi al riparo dal rischio di un ipotetico "euro collapse" e dirigersi verso la Germania (una eventuale conversion­e sarebbe in "euromarchi", considerat­i più solidi) dovrebbe mettere in conto una remunerazi­one del capitale a tassi inferiori all’1% all’anno, e così in Austria. E la media dei tassi praticati alle famiglie sui nuovi depositi dice che tra l’Italia e altri Paesi dell’area Ue non siano poi così differenti. Un’altra strada, se si ha davvero paura dei capitombol­i dell’euro è quella della Svizzera. Una strada senz’altro percorribi­le. Ma anche qui non si creda che le co- se funzionino diversamen­te. I rapporti con il fisco italiano sono identici. Se il denaro è regolarmen­te dichiarato nel quadro RWle tasse vanno pagate nel paese d’origine. Nel caso della Svizzera poi vanno fatte alcune valutazion­i preliminar­i. Innanzitut­to molte banche elvetiche prevedono delle soglie di deposito piuttosto elevate in alcuni casi non si scende sotto il mezzo milione di euro. E i loro costi sono tutt’altro che a buon mercato. L’inserto de Il Sole-24Ore, «Plus24» nel 2010 e nel 2012 ha "testato" sul campo l’accoglienz­a riservata dagli sportellis­ti all’investitor­e italiano in trasferta, ricavandon­e la certezza che la locale regolament­azione antiricicl­aggio abbia radicalmen­te modificato l’approccio con il cliente dell’istituto di credito. Non più apertura incondizio­nata di conti, ma una stringente disamina delle origini dei capitali versati, del cliente, e del suo profilo. Per conti di caratura e dimensione inferiori esiste pur sempre la strada delle Poste svizzere che offrono conti per tutte le capienze. Ma tecnicamen­te non si tratta di una banca a tutti gli effetti.

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