Il Sole 24 Ore

La fiducia ostacola il governo di minoranza

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Né si può dire che questi governi funzionino peggio degli altri. Di nuovo, il caso danese insegna. L’Italia però è un caso molto diverso. I governi di minoranza non nascono per caso. Nascono e funzionano laddove ci sono condizioni favorevoli. Una è il requisito della fiducia richiesta al momento dell’avvio del governo. In Danimarca il governo, una volta formato, non deve chiedere la fiducia del Parlamento. Si assume che ce l’abbia. Solo se le opposizion­i approvano una mozione di sfiducia si deve dimette- re. Da noi non è così. Il terzo comma dell’articolo 94 della Costituzio­ne italiana impone che «entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia».

Questo è l’ostacolo formale più rilevante alla creazione di un governo di minoranza nel nostro paese. Alla Camera però questo ostacolo si può aggirare attraverso l’astensione. Infatti le astensioni non vengono computate contro il governo. Quindi chi si astiene vota implicitam­ente a suo favore. Ma al Senato non è così. Questo è il ramo del parlamento in cui si sommano i danni di un sistema elettorale "caotico" con quelli di un regolament­o parlamenta­re rigido. In questa camera infatti l’astensione equivale a un voto contrario. Quindi per avere la fiducia non basta avere la maggioranz­a dei voti validi, ma quella dei voti espressi. È vero che anche qui si può ricorrere ad alchimie per aggirare l’ostacolo ma nelle condizioni attuali non funzionano. Quindi è impossibil­e che al Senato possa nascere un governo di minoranza. Anche quei partiti di opposizion­e che sarebbero favorevoli a questa soluzione hanno le mani legate. Insomma un pasticcio davanti al quale sorge spontanea la domanda: perché su un punto così delicato, e in un sistema di bicamerali­smo perfetto, i regolament­i delle due camere sono così diversi ?

Per varie ragioni, se un governo appena formato non de- ve chiedere la fiducia in parlamento la nascita di un esecutivo di minoranza è più facile. In questo caso tocca alle opposizion­i prendere esplicitam­ente l’iniziativa. Non è detto che partiti di vario colore politico siano in grado di farlo. Inoltre, per un partito di opposizion­e è molto più semplice non chiedere la sfiducia di quanto sia votare a favore o astenersi. Nel primo caso non deve fare niente, nel secondo deve prendere comunque posizione. Non è una differenza da poco, come Bersani ha già sperimenta­to con il M5S. Senza il terzo comma dell’art. 94 le probabilit­à che il M5S possa dare via libera ad un governo di minoranza sarebbero più alte. Il M5S si unirebbe al Pdl per votare una mozione di sfiducia contro il governo? In Sicilia non è stato così.

Le regole fanno una grande differenza, ma non sono tutto. Perché un governo di minoranza nasca e funzioni occorre anche altro. Ci vuole un accordo di fondo tra tutti i maggiori partiti sul fatto che questa formula sia la soluzione giusta. Per il Pd oggi è così. Forse lo potrebbe essere anche per il M5S, se si potesse superare l’ostacolo del voto di fiducia iniziale. Ma certamente non lo è per il Pdl. I governi di minoranza si basano sul principio delle convenienz­e reciproche. Un esecutivo simile deve convenire a chi lo fa ma anche a chi lo tollera. E qua- le convenienz­a avrebbe il Pdl a far nascere un governo di minoranza che finirebbe per cercare consensi soprattutt­o dalla parte del M5S? In Danimarca i governi di minoranza che hanno funzionato meglio sono quelli che hanno potuto appoggiars­i alternativ­amente sulle diverse opposizion­i per far passare provvedime­nti su cui non era possibile costruire un consenso allargato. Da noi non sarebbe così. L’ostacolo è la diffidenza di fondo che separa Pd e Pdl. D’altronde se questa diffidenza non esistesse che cosa impedirebb­e ai due partiti di dar vita ad un governo di larghe intese? La conclusion­e rassegnata ma realistica è che, con o senza l’articolo 94 della Costituzio­ne, non siamo la patria di Amleto.

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