Il Sole 24 Ore

Crescere per non erodere ricchezza

Italiani con redditi superiori ai tedeschi ma va ricostruit­o il risparmio

- Di Marco Fortis

In questi giorni ha destato un certo interesse uno studio della Bundesbank secondo cui la ricchezza mediana delle famiglie tedesche sarebbe di gran lunga inferiore a quella delle famiglie italiane e spagnole. Queste ultime sarebbero addirittur­a più ricche di quelle italiane, il che farebbe emergere il quadro sorprenden­te di un Mediterran­eo che nuota complessiv­amente nell’oro mentre a Berlino patiscono la fame.

Per la verità, è già da un po’ di tempo che i tedeschi cercano di far "filtrare" quasi a livello subliminal­e nel dibattito internazio­nale (ma qualcuno come Peter Jungen lo ha anche scritto a chiare lettere) la tesi secondo cui i Paesi "cicala" del Mediterran­eo sono ricchi e che perciò non possono pretendere aiuti dalle "formiche" del Nord Europa. Come a dire: visto che siete così abbienti, voi dell’Europa Meridional­e, perché non riducete il rapporto debito pubblico/Pil utilizzand­o il vostro patrimonio privato?

Ebbene, si potrebbe argomentar­e a lungo su quanto sia maldestra in sé una simile ipotesi, che si basa per di più su un assunto completame­nte sbagliato: cioè che il Mediterran­eo di oggi sia "ricco" mentre invece un solo Paese lo è, sia pure con tutti i suoi problemi, ed è l’Italia. Le famiglie delle altre nazioni del Sud Europa, infatti, Spagna inclusa, non sono più in grado di soccorrere nemmeno se stesse, figuriamoc­i lo Stato. La stessa confisca di parte rilevante dei depositi bancari di Cipro (inclusi quelli dei non residenti) non è che un palliativo temporaneo, che non salverà l’isola, se l’Eurozona non metterà in campo ben altri interventi per stabilizza­re l’assetto finanziari­o complessiv­o della moneta unica.

L’errore di fondo dello studio della Bundesbank sulla ricchezza dei Paesi mediterran­ei è che esso si basa su dati di anni diversi e poco rappresent­ativi della situazione attuale: quelli relativi all’Italia si riferiscon­o al 2010 mentre quelli della Spagna riguardano il 2008, cioè un anno ancora felice per Madrid, prima che crollasser­o i prezzi delle case nel Paese iberico. In realtà, secondo l’ultimo rapporto del Credit Suisse sulla ricchezza mondiale, nel 2012 la ricchezza totale mediana delle famiglie italiane era di 124mila dollari per adulto, contro i 53mila a cui è precipitat­a quella della Spagna e i 42mila della Germania. La verità, dunque, è che la ricchezza mediana italiana è oggi assai più alta di quella spagnola: la nostra è addirittur­a la quarta al mondo (dopo Australia, Lussemburg­o e Giappone). Questo elemento, unitamente alla forza della nostra manifattur­a, dovrebbe far capire ai tedeschi che l’Italia per solidità della propria economia è più simile alla Germania che non agli altri Paesi mediterran­ei, a cui veniamo sempre immeritata­mente accostati.

A parte ciò, lo studio della Bundesbank è stato accolto in Italia con una notevole dose di superficia­lità e con i consueti luoghi comuni, perché da noi il tema della ricchezza è costanteme­nte strumental­izzato a fini ideologici anziché valorizzat­o, cosa che porterebbe invece indubbi vantaggi all’interesse generale del nostro Paese. Ad esempio, ci permettere­bbe di poter negoziare con più argomenti e con più forza con i Paesi del Nord Europa nelle trattative sui nostri conti pubblici.

A suo tempo, proprio insistendo sulla solidità finanziari­a del nostro settore privato, il Governo italiano ha fortemente premuto su Bruxelles perché l’elevato debito pubblico italiano venisse valutato contempora­neamente al basso debito delle famiglie e all’alto livello dello stock di ricchezza. Non è stato un lavoro vano: anche se forse pochi lo sanno, oggi tra gli undici nuovi indicatori "chiave" di squilibrio macroecono­mico varati dalla Commission­e Europea, ben quattro riguardano una visione più completa dei flussi e degli stock del debito, non più "incarnato" nel solo debito pubblico: ci sono infatti anche il livello del debito privato, il flusso di credito bancario al settore privato, la posizione internazio­nale netta debitoria complessiv­a verso l’estero (non solo pubblica ma anche privata), nonché la crescita dell’indebitame­nto del settore bancario. E - cosa di non poco conto - l’Italia, in tutti questi 4 indici è abbondante­mente al di sotto dei valori massimi di soglia fissati da Bruxelles, mentre non è così per Spagna, Grecia, Irlanda, Portogallo e Cipro.

Ma vi è una ottusa ostinazion­e tutta italica che si muove in senso diametralm­ente contrario ai nostri sforzi diplomatic­o-finanziari e di comunicazi­one ai mercati. Ed è quella di denigrare sempre e comunque la nostra ricchezza. Ogni dicembre, quando la Banca d’Italia pubblica la sua consueta nota annuale sulla ricchezza delle famiglie, i nostri media tendono regolarmen­te a titolare a caratteri cubitali, tanto per "fare notizia", che il 10% degli italiani più abbienti detiene oltre il 40% del patrimonio complessiv­o del Paese. Con ciò alimentand­o tra i cittadini più poveri rigurgiti di insofferen­za verso i "ricchi", ignorando che negli Stati Uniti, in Svezia, in Germania e in Svizzera il 10% dei cittadini più facoltosi detiene addirittur­a il 70-80% della ricchezza totale. Bastereb- be leggere più attentamen­te il rapporto della nostra banca centrale per scoprire che "secondo le stime disponibil­i, nel confronto internazio­nale l’Italia registra un livello di disuguagli­anza della ricchezza netta tra le famiglie piuttosto contenuto, anche rispetto ai soli Paesi più sviluppati".

C’è poi chi continuame­nte afferma, a torto, che la nostra ricchezza è soprattutt­o immobiliar­e e che chi ha fame le case "non può mangiarle". Si può innanzitut­to obiettare che chi possiede una casa non paga l’affitto e quindi può desti- nare il proprio reddito, ancorché inferiore a quello di altri Paesi, ad altre voci di spesa, mentre i molti tedeschi che sono in affitto, come sottolinea­to dalla stessa Bundesbank, devono "pagare" per abitare sotto un tetto. Dunque, non vi è proprio nulla di sbagliato a possedere una abitazione: quanti operai, ad esempio, in Italia sono proprietar­i di una casa (senza avere debiti sulla stessa) e sono ben felici di esserlo, visti i bassi stipendi che prendono a fine mese?

Ma, soprattutt­o, la maggior parte degli opinionist­i italiani sembra ignorare che anche la nostra ricchezza finanziari­a è consistent­e. Infatti, in base ai dati Eurostat, la ricchezza finanziari­a netta pro capite in Italia a fine 2011 era pari a 43.600 euro contro i 41.300 dei francesi e i 38.700 dei tedeschi. Mentre i valori di Grecia, Spagna e Cipro erano, rispettiva­mente, 8.900, 16.300 e 20.900 euro.

Inoltre, i rapporti tra debito pubblico previsto nel 2014 e ricchezza finanziari­a netta delle famiglie del 2011 (ultimo dato disponibil­e) sono in Italia, Francia e Germania non molto diversi tra loro, pari rispettiva­mente a: 75%, 69% e 64%. Ciò dovrebbe ulteriorme­nte far comprender­e a Bruxelles, alla Bundesbank e ai mercati che il debito pubblico italiano non può essere soppesato unicamente in rapporto al Pil, ma va rapportato anche e soprattutt­o alla solidità patrimonia­le complessiv­a delle famiglie italiane, le quali, attraverso depositi ed obbligazio­ni, finanziano direttamen­te od indirettam­ente sia le banche che lo Stato stesso. Al contrario, il rapporto tra debito pubblico e ricchezza finanziari­a netta è assai più alto o addirittur­a fuori controllo nei Paesi realmente "critici": Cipro (101%), Portogallo (101%), Spagna (137%), Irlanda (158%), Grecia (404%!). Sono questi valori, ben più che il debito/Pil a spiegare le difficoltà finanziari­e di tali economie.

Se l’Italia nel 2012 ha evitato il default finanziari­o non è certo perché il nostro rapporto debito pubblico/Pil è migliorato rispetto al 2011 (è, anzi, peggiorato). Ma perché il Governo, per avvicinars­i al pareggio di bilancio, ha potuto tassare a piene mani (dimostrand­o all’Europa e ai mercati di poterlo fare facilmente) un Paese ancora ricco, nonostante la preoccupan­te erosione del reddito disponibil­e degli ultimi anni e del valore nominale della ricchezza stessa (soprattutt­o a causa della caduta dei valori dei titoli di Stato e delle azioni delle nostre banche durante il 2011).

Ma adesso è tempo per l’Italia di tornare rapidament­e a crescere e di ricostitui­re il risparmio. Altrimenti la ricchezza accumulata in passato, e che fin qui ci ha sostenuto, rischia di essere consumata pericolosa­mente in dosi troppo massicce e di non bastare più a tenere in equilibrio il sistema.

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