Crescere per non erodere ricchezza
Italiani con redditi superiori ai tedeschi ma va ricostruito il risparmio
In questi giorni ha destato un certo interesse uno studio della Bundesbank secondo cui la ricchezza mediana delle famiglie tedesche sarebbe di gran lunga inferiore a quella delle famiglie italiane e spagnole. Queste ultime sarebbero addirittura più ricche di quelle italiane, il che farebbe emergere il quadro sorprendente di un Mediterraneo che nuota complessivamente nell’oro mentre a Berlino patiscono la fame.
Per la verità, è già da un po’ di tempo che i tedeschi cercano di far "filtrare" quasi a livello subliminale nel dibattito internazionale (ma qualcuno come Peter Jungen lo ha anche scritto a chiare lettere) la tesi secondo cui i Paesi "cicala" del Mediterraneo sono ricchi e che perciò non possono pretendere aiuti dalle "formiche" del Nord Europa. Come a dire: visto che siete così abbienti, voi dell’Europa Meridionale, perché non riducete il rapporto debito pubblico/Pil utilizzando il vostro patrimonio privato?
Ebbene, si potrebbe argomentare a lungo su quanto sia maldestra in sé una simile ipotesi, che si basa per di più su un assunto completamente sbagliato: cioè che il Mediterraneo di oggi sia "ricco" mentre invece un solo Paese lo è, sia pure con tutti i suoi problemi, ed è l’Italia. Le famiglie delle altre nazioni del Sud Europa, infatti, Spagna inclusa, non sono più in grado di soccorrere nemmeno se stesse, figuriamoci lo Stato. La stessa confisca di parte rilevante dei depositi bancari di Cipro (inclusi quelli dei non residenti) non è che un palliativo temporaneo, che non salverà l’isola, se l’Eurozona non metterà in campo ben altri interventi per stabilizzare l’assetto finanziario complessivo della moneta unica.
L’errore di fondo dello studio della Bundesbank sulla ricchezza dei Paesi mediterranei è che esso si basa su dati di anni diversi e poco rappresentativi della situazione attuale: quelli relativi all’Italia si riferiscono al 2010 mentre quelli della Spagna riguardano il 2008, cioè un anno ancora felice per Madrid, prima che crollassero i prezzi delle case nel Paese iberico. In realtà, secondo l’ultimo rapporto del Credit Suisse sulla ricchezza mondiale, nel 2012 la ricchezza totale mediana delle famiglie italiane era di 124mila dollari per adulto, contro i 53mila a cui è precipitata quella della Spagna e i 42mila della Germania. La verità, dunque, è che la ricchezza mediana italiana è oggi assai più alta di quella spagnola: la nostra è addirittura la quarta al mondo (dopo Australia, Lussemburgo e Giappone). Questo elemento, unitamente alla forza della nostra manifattura, dovrebbe far capire ai tedeschi che l’Italia per solidità della propria economia è più simile alla Germania che non agli altri Paesi mediterranei, a cui veniamo sempre immeritatamente accostati.
A parte ciò, lo studio della Bundesbank è stato accolto in Italia con una notevole dose di superficialità e con i consueti luoghi comuni, perché da noi il tema della ricchezza è costantemente strumentalizzato a fini ideologici anziché valorizzato, cosa che porterebbe invece indubbi vantaggi all’interesse generale del nostro Paese. Ad esempio, ci permetterebbe di poter negoziare con più argomenti e con più forza con i Paesi del Nord Europa nelle trattative sui nostri conti pubblici.
A suo tempo, proprio insistendo sulla solidità finanziaria del nostro settore privato, il Governo italiano ha fortemente premuto su Bruxelles perché l’elevato debito pubblico italiano venisse valutato contemporaneamente al basso debito delle famiglie e all’alto livello dello stock di ricchezza. Non è stato un lavoro vano: anche se forse pochi lo sanno, oggi tra gli undici nuovi indicatori "chiave" di squilibrio macroeconomico varati dalla Commissione Europea, ben quattro riguardano una visione più completa dei flussi e degli stock del debito, non più "incarnato" nel solo debito pubblico: ci sono infatti anche il livello del debito privato, il flusso di credito bancario al settore privato, la posizione internazionale netta debitoria complessiva verso l’estero (non solo pubblica ma anche privata), nonché la crescita dell’indebitamento del settore bancario. E - cosa di non poco conto - l’Italia, in tutti questi 4 indici è abbondantemente al di sotto dei valori massimi di soglia fissati da Bruxelles, mentre non è così per Spagna, Grecia, Irlanda, Portogallo e Cipro.
Ma vi è una ottusa ostinazione tutta italica che si muove in senso diametralmente contrario ai nostri sforzi diplomatico-finanziari e di comunicazione ai mercati. Ed è quella di denigrare sempre e comunque la nostra ricchezza. Ogni dicembre, quando la Banca d’Italia pubblica la sua consueta nota annuale sulla ricchezza delle famiglie, i nostri media tendono regolarmente a titolare a caratteri cubitali, tanto per "fare notizia", che il 10% degli italiani più abbienti detiene oltre il 40% del patrimonio complessivo del Paese. Con ciò alimentando tra i cittadini più poveri rigurgiti di insofferenza verso i "ricchi", ignorando che negli Stati Uniti, in Svezia, in Germania e in Svizzera il 10% dei cittadini più facoltosi detiene addirittura il 70-80% della ricchezza totale. Bastereb- be leggere più attentamente il rapporto della nostra banca centrale per scoprire che "secondo le stime disponibili, nel confronto internazionale l’Italia registra un livello di disuguaglianza della ricchezza netta tra le famiglie piuttosto contenuto, anche rispetto ai soli Paesi più sviluppati".
C’è poi chi continuamente afferma, a torto, che la nostra ricchezza è soprattutto immobiliare e che chi ha fame le case "non può mangiarle". Si può innanzitutto obiettare che chi possiede una casa non paga l’affitto e quindi può desti- nare il proprio reddito, ancorché inferiore a quello di altri Paesi, ad altre voci di spesa, mentre i molti tedeschi che sono in affitto, come sottolineato dalla stessa Bundesbank, devono "pagare" per abitare sotto un tetto. Dunque, non vi è proprio nulla di sbagliato a possedere una abitazione: quanti operai, ad esempio, in Italia sono proprietari di una casa (senza avere debiti sulla stessa) e sono ben felici di esserlo, visti i bassi stipendi che prendono a fine mese?
Ma, soprattutto, la maggior parte degli opinionisti italiani sembra ignorare che anche la nostra ricchezza finanziaria è consistente. Infatti, in base ai dati Eurostat, la ricchezza finanziaria netta pro capite in Italia a fine 2011 era pari a 43.600 euro contro i 41.300 dei francesi e i 38.700 dei tedeschi. Mentre i valori di Grecia, Spagna e Cipro erano, rispettivamente, 8.900, 16.300 e 20.900 euro.
Inoltre, i rapporti tra debito pubblico previsto nel 2014 e ricchezza finanziaria netta delle famiglie del 2011 (ultimo dato disponibile) sono in Italia, Francia e Germania non molto diversi tra loro, pari rispettivamente a: 75%, 69% e 64%. Ciò dovrebbe ulteriormente far comprendere a Bruxelles, alla Bundesbank e ai mercati che il debito pubblico italiano non può essere soppesato unicamente in rapporto al Pil, ma va rapportato anche e soprattutto alla solidità patrimoniale complessiva delle famiglie italiane, le quali, attraverso depositi ed obbligazioni, finanziano direttamente od indirettamente sia le banche che lo Stato stesso. Al contrario, il rapporto tra debito pubblico e ricchezza finanziaria netta è assai più alto o addirittura fuori controllo nei Paesi realmente "critici": Cipro (101%), Portogallo (101%), Spagna (137%), Irlanda (158%), Grecia (404%!). Sono questi valori, ben più che il debito/Pil a spiegare le difficoltà finanziarie di tali economie.
Se l’Italia nel 2012 ha evitato il default finanziario non è certo perché il nostro rapporto debito pubblico/Pil è migliorato rispetto al 2011 (è, anzi, peggiorato). Ma perché il Governo, per avvicinarsi al pareggio di bilancio, ha potuto tassare a piene mani (dimostrando all’Europa e ai mercati di poterlo fare facilmente) un Paese ancora ricco, nonostante la preoccupante erosione del reddito disponibile degli ultimi anni e del valore nominale della ricchezza stessa (soprattutto a causa della caduta dei valori dei titoli di Stato e delle azioni delle nostre banche durante il 2011).
Ma adesso è tempo per l’Italia di tornare rapidamente a crescere e di ricostituire il risparmio. Altrimenti la ricchezza accumulata in passato, e che fin qui ci ha sostenuto, rischia di essere consumata pericolosamente in dosi troppo massicce e di non bastare più a tenere in equilibrio il sistema.